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Storia del Lodigiano

Breve storia del LODIGIANO

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La Provincia di Lodi è stata istituita con il DL 6 marzo 1992 n°. 251 in attuazione della Legge 8 giugno 1990 n°. 142 (art. 63), ma le origini storiche del territorio lodigiano sono più che bimillenarie.

La sua specificità etnico-economica viene formandosi nel corso dei cinque secoli a.C. attorno al villaggio celtico-romano, di cui parla Plinio il Vecchio, ben inserita in una tipologia ambientale omogenea di bassa pianura, delimitata dai grandi fiumi.

Essa trova il suo riconoscimento giuridico nell’89 a.C. con Pompeo Strabone che concede a Lodi la cittadinanza latina – da cui appunto il nome di Laus Pompeia – alla quale segue la concessione della cittadinanza romana nel 49 a.C. da parte di Giulio Cesare.
Una specificità che si rafforzerà come identità marcatamente spirituale e culturale con il sorgere nel 374 della Diocesi.
Essa e il suo Vescovo garantiranno anche nei tempi più calamitosi la coesione di tutto il territorio.
Una specificità che diventerà pure economico-sociale specie nel basso Medioevo quando, con un’eccezionale opera di bonifica dei vasti luoghi paludosi del territorio attraverso uno splendido lavoro di ingegneria idraulica senza eguali nel tempo, il Lodigiano si trasformerà in una delle terre più fertili d’Europa.

 

I caratteri peculiari del Lodigiano resistettero nei secoli anche dopo la distruzione di Lodi da parte di Milano nel 1158 e la sua ricostruzione operata da Federico Barbarossa.
Anzi, sia il capoluogo che il territorio raggiunsero in quei secoli traguardi di notevole livello culturale, artistico e sociale.
Può esserne un segno significativo anche il fatto che dal capoluogo partirono due grandi espressioni di pace civile e religiosa.
L’indizione nel 1413 del Concilio di Costanza, che vide la fine dello scisma d’Occidente, e la “Pace di Lodi” del 1454, che rese possibili 40 anni di relativa tranquillità per l’Italia.

 

C’è insomma un popolo con un antico costume civile ed una piccola ma autentica e sicura identità, ancorata ad un mondo che conosce la laboriosità, la tenacia e la solidarietà.
Al territorio venne di conseguenza riconosciuta dai vari dominatori, successivi all’epoca dei Comuni, una certa facoltà di amministrazione, seppur subordinata e ben limitata.

 

Fu però con l’avvento degli Austriaci nel ‘700 che si ebbe il riconoscimento pieno del “proprio” del Lodigiano. Il territorio infatti assunse forma di Provincia nel 1757 e poi, in maniera più precisa e definitiva, nel 1786 con la riforma di Giuseppe II. Dopo la tumultuosa parentesi napoleonica, che modificò più volte la situazione, ritorna la Provincia che acquisisce anche il territorio cremasco e prende il nome di Provincia di Lodi e Crema.
La Provincia venne abolita nel settembre 1859 dal governo del regno di Sardegna, a soli tre mesi dalla conquista della Lombardia, con una evidente e sommaria precipitazione. Da allora in varie occasioni furono avanzate richieste al Governo per la ricostruzione della Provincia. In particolare e in modo formale nel 1861-62 e nel 1931-32, ma il tutto inutilmente.

 

Nel dopoguerra il Lodigiano, nel clima della ritrovata libertà, cerca di recuperare le tradizioni come patrimonio etnico, morale e culturale, pur nelle mutate situazioni che vedono la trasformazione strutturale dell’agricoltura, la crescita del pendolarismo, la diffusa micro-imprenditorialità, l’aumento residenziale nel nord del territorio e lo spopolamento nella “Bassa”.
In questa prospettiva già alla fine degli anni ’40 del nostro secolo sorge l’ATSIL, associazione di tutela e sviluppo del Lodigiano.
Ma sono soprattutto i Sindaci che si muovono per riottenere almeno una parziale autonomia.
Giunge così nel 1959 la decisione di far nascere un consorzio tra i Comuni lodigiani pur nell’ambito della Provincia di Milano. Il 4 maggio 1965 con Decreto prefettizio viene costituito il Consorzio del Lodigiano.

 

Quando nel 1970 vengono istituite le Regioni incomincia a prendere corpo l’ipotesi di una possibile maggior apertura verso una più autentica autonomia.
Tra il dicembre 1974 e il gennaio 1975 si raccoglie l’unanime richiesta dei Comuni lodigiani, cui fa seguito il 6 marzo 1975 l’istituzione del Circondario di Lodi da parte della Regione Lombardia.
E’ il riconoscimento di fatto che per la Regione il territorio lodigiano ha i requisiti del livello provinciale.
Si riapre la strada per ottenere la Provincia.
Nel gennaio 1992 la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica esprimono parere favorevole all’istituzione della Provincia di Lodi.
Il 27 febbraio 1992 il Consiglio dei Ministri ne delibera l’approvazione. Il giorno dopo arriva anche il consenso della Regione Lombardia.
Con decreto legislativo del 6 marzo 1992 il Presidente della Repubblica istituisce ufficialmente la Provincia di Lodi.

 

Il 20 giugno 1992 il Papa Giovanni Paolo II visita la nostra città.
Nella primavera del 1995 si tengono le prime elezioni amministrative della nuova realtà provinciale. Il 7 maggio 1995 Lorenzo Guerini viene eletto primo Presidente della Provincia di Lodi.
Il 25 maggio 1995 si tiene la prima seduta ufficiale del Consiglio provinciale, a Palazzo Broletto in Lodi.
Con le elezioni del 13 e 27 giugno 1999 si è rinnovata per la prima volta l’Amministrazione provinciale di Lodi dopo il primo quadriennio di attività.
L’esito elettorale ha confermato alla Presidenza dell’Ente Lorenzo Guerini, con un mandato la cui scadenza naturale è prevista dopo cinque anni, dunque nel 2004.
La prima riunione del nuovo Consiglio provinciale è del 14 luglio 1999.

 

La nascita della Provincia di Lodi
Le tappe dell’iter che ha portato alla nascita della Provincia di Lodi:
Anno 1981: deliberazione dei Consigli Comunali
Anno 1982: la Regione Lombardia approva l’istituzione di due nuove provincie, Lodi e Lecco
Anno 1992: con il decreto istitutivo N. 251 del 6 marzo, Lodi diventa capoluogo di provincia. La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica è del 1 aprile dello stesso anno.
Anno 1995: il 23 aprile e il 7 maggio si svolgono le prime elezioni provinciali. Il 25 maggio si tiene la prima seduta del Consiglio Provinciale.
Alcuni dati della Provincia di Lodi

 

Superficie totale: 782 kmq 
Abitanti: 191.701 
Densità: 245 ab./kmq 

 

LA STORIA                                     
Quel ramo del lago Gerundo

Il Lago Gerundo è protagonista della storia e delle leggende del Lodigiano, del Bergamasco e del Cremonese, territori che nel medioevo erano sott’acqua

Draghi, eroi e misteri: il Lago Gerundo è protagonista della storia e delle leggende del Lodigiano, del Bergamasco e del Cremonese, perché era così vasto da ricoprire con le sue paludi buona parte di questi territori. Tra le leggende più diffuse, quella di Tarantasio il drago.

Uno dei racconti lo vuole ucciso da Azzone, il primo dei Visconti: «Per questo, secondo alcuni, sullo stemma del casato c’è un enorme biscione che mangia un bambino», spiega lo studioso Valerio Ferrari. Altre trame raccontano che ad annientare la bestia fosse stato San Cristoforo: «A Lodi, nella chiesa intitolata al santo — aggiunge Ferrari — c’era appesa una costola ritenuta del drago». Infatti, queste storie sono nate da oggetti ritenuti strani o da fatti inspiegabili per gli uomini del tempo.Proprio come «alcuni resti animali — spiega Damiana Tentoni, responsabile del museo di Pizzighettone —. Come la costola di mammuth trovata nel letto dell’Adda, che conserviamo nella sezione paleontologica del museo».

La costola del museo è simile a un «osso appeso nella chiesa di San Bassiano a Pizzighettone — racconta Tentoni —: non è ancora stato analizzato, ma o è di mammuth o di cetaceo, il che ci riporta all’epoca antichissima in cui la pianura Padana era sommersa dal mare». «Un tempo le chiese erano usate come fossero musei, ci venivano messi anche antichi reperti — sottolinea Valerio Ferrari, che conferma —: dalle ossa ritrovate sono sorte molte leggende».

 

Ma il mito ricorda anche la Tarasque (mostro della tradizione provenzale, ndr) uccisa da Santa Marta. «E forse non è un caso se in molti paesi che si affacciavano sul Gerundo ci siano chiese dedicate a Santa Marta, come a Pandino o a Rivolta d’Adda», assicura Ferrari. Oltre che dalle ossa, le leggende prendevano spunto anche dai miasmi della palude: «Secondo la gente del tempo la puzza era l’alito del drago, mentre i fuochi fatui erano segnale della sua presenza», racconta Silvano Vicardi, presidente dell’Associazione medioevale di Corneliano Bertario, che l’anno scorso in occasione della manifestazione storica che si tiene in paese ogni settembre, ha portato in scena la leggenda del drago. «Il mito del mostro nel lago è comune a molte culture. Si pensi ad esempio a Loch Ness e al suo famoso mostro», sottolinea Ferrari.

 

La casa di Tarantasio era in realtà un insieme di stagni che si sono originati in un periodo di forte piovosità, tra il 400 e il 750 dopo Cristo. Come ricordano gli studiosi Giancarlo Dossena e Antonio Veggiani, in un articolo apparso su “Insula Fulcheria” nel numero 14 del dicembre 1984, per questi mutamenti climatici le bonifiche fatte dai Romani vennero messe in crisi, anche per l’innalzamento dell’alveo del Po che provocò un grande sovralluvionamento. Furono coinvolti anche i percorsi dell’Adda e del Serio: alla fine si formò una grande zona paludosa, appunto il Lago Gerundo. Valerio Ferrari racconta che «si parla per la prima volta di questa palude nel Codice Diplomatico Laudense del 1204, dove si tratta la permuta di un terreno, di cui si dice che confinava a oriente con la costa e la ripa del Mare Gerundo». Il termine “mare” deriva dal medievale “mara” «che significa palude», suggerisce Ferrari.

 

«I terreni sono stati bonificati, ma si vedono ancora oggi dei campi a mezzaluna — svela Ferrari —: indicano che in quel punto l’Adda ha modificato il suo percorso, formando paludi». Testimoni della presenza delle paludi sono anche le cronache dell’attività di bonifica dei monaci di Abbadia Cerreto, che dal 1139 si prodigarono per ricavare dalle paludi aree destinate all’agricoltura.

 

«Dopo la fase di sovralluvionamento altomedioevale ci fu un periodo, tra il 750 e il 1150, con scarse precipitazioni e aumento della temperatura media», scrivono i due studiosi Dossena e Veggiani, raccontando quindi il “periodo caldo medioevale”. L’alveo del Po si abbassò, così fecero anche gli altri fiumi, Adda compreso. Il lago Gerundo si svuotò, finché secondo alcuni studiosi, «prima del mille, la vasta plaga occupata dal lago non esisteva più».

 

Tuttavia, il passato del Gerundo ha lasciato segni e reperti che sono arrivati fino ai nostri giorni. Ad esempio, l’articolo di Dossena e Veggiani ricorda che «nel Museo di Crema si trovano undici piroghe monossili rinvenute, a iniziare dal 1972, nel letti dei fiumi Oglio, Adda e Po». I reperti sono di origine altomedioevale date le loro grandi dimensioni. Di una di queste piroghe si ipotizza che fosse usata tra il 400 e il 750 dopo Cristo, perché è apparsa dopo l’erosione di alcuni depositi alluvionali che contenevano tracce fluviopalustri del Lago. In ogni caso, sia solo un racconto per bambini o uno spunto di studio per scienziati e storici, il lago Gerundo è un elemento essenziale del patrimonio culturale lodigiano.

 

di N.P. del Giorno Lodi-Pavia
I Mille del Lodigiano
di FRANCESCO NERI

APPENA A LODI giunse la notizia della partenza da Quarto di Garibaldi, oltre 150 giovani accorsero al Comitato nazionale di Soccorso, a Genova, per chiedere di essere arruolati e spediti in Sicilia. In poco tempo i lodigiani formarono una vera e propria compagnia che fu impiegata in due battaglie decisive, nel 1860, a Milazzo e a Volturno. Gli storici locali ormai sono concordi nel definire «fondamentale» il contributo dei lodigiani al Risorgimento. Così, in occasione del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, a Lodi si terrà un ciclo di quattro conferenze dedicate alla memoria dei volontari partiti per aderire all’impresa dell’Eroe dei due Mondi. La manifestazione è stata promossa dall’associazione “Lodi Protagonista” (i giovani della destra del Pdl) e si terrà dal 15 ottobre al 14 gennaio nelle sale di Palazzo San Cristoforo, sede della Provincia di Lodi. «Queste conferenze sono il frutto di una collaborazione con l’Istituto per la Storia del Risorgimento — spiega Andrea Dardi, presidente di Lodi Protagonista —: tra i temi trattati sarà dedicato ampio spazio alle figure lodigiane che hanno contribuito alla costruzione dello Stato italiano».

 

IL PRIMO INCONTRO è fissato per il 15 ottobre e sarà dedicato a Garibaldi e al movimento garibaldino nel Lodigiano. «L’apporto del territorio dato all’unificazione d’Italia è stato grande — assicura Marco Baratto, commissario provinciale dell’Istituto per la storia del Risorgimento Italiano (nella foto) —. Il Lodigiano è stato un bacino importante per i garibaldini, ha fornito molti uomini pronti a battersi per la causa ma anche molte figure di spicco che hanno ricoperto ruoli amministrativi. Bisogna ricordare che non ci fu solamente la spedizione dei Mille, ma che il fenomeno si estese in tutta Europa: il movimento garibaldino venne preso da molte nazioni come modello da seguire per poter affermare la loro indipendenza. I valori del Risorgimento e dell’unità dell’Italia — continua Baratto — sono valori di aggregazione tra i nuovi e i vecchi italiani. L’Italia deve essere un simbolo per riscoprire , soprattutto in questo 150esimo anniversario, le virtù in cui si devono riconoscere gli italiani più giovani. A proposito di Garibaldi qualcuno scrisse che si presentò “in Italia, Francia, America, Inghilterra come un sogno diventato realtà”. Per fare un esempio, la Romania è stata unificata anche grazie allo stimolo del Risorgimento italiano che ha travalicato i confini nazionali diventando un vero movimento d’ispirazione europeo, se non addirittura mondiale. È questo che si dovrebbe riscoprire. Speriamo di riuscire a trasmettere questo spirito durante il ciclo di incontri che si terranno a Palazzo San Cristoforo».
Lodigiano era anche il garibaldino più giovane. Si tratta di Luigi Baj, arruolato appena 15enne. «Visse la sua coscienza patriottica fino alla fine dei suoi giorni — ricorda Baratto —. Ha sempre affermato che riconosceva un solo Duce, Garibaldi. È una figura che spero possa diventare un simbolo e un modello per i forti ideali che ha saputo trasmettere».

 


4 PASSI PER LODI

…..…nel paese di mia madre v’è un campo quadrato, cinto di gelsi.
Di là da quel campo altri campi quadrati, cinti da gelsi.
Roggie scorrenti ci sono, fra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire.
La terra s’allarga a misura del cielo, e non si sa dove vada a finire
Nel paese di mia madre v’han ponti di nebbia, che al vespro solleva da placidi fiumi:
varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi…
Ada Negri – “Nel paese di mia madre”

 

Lodi sorge nel cuore della Bassa, Terra Grassa, pianeggiante. Terra ricca di acqua prima di tutto e di conseguenza di agricoltura, d’industria e di commercio.
Il paesaggio è caratterizzato da campi coltivati ed è costituito dalle tipiche cascine, rogge, canali, lo scorrere del fiume Adda, filari di pioppi.

 

Oggi la città si è arricchita di una moderna periferia che circonda un centro storico di origine medioevale.
Parlando di Lodi è importante ricordare i suoi sapori ad esempio il Grana Lodigiano, la “raspadura” (veli di un particolare formaggio grana), il pannerone (formaggio di un gusto forte e amaro), il mascarpone, la “buseca” (la trippa), e infine la torta di Lodi (la tortionata: torta a base di mandorle e burro).
Un prodotto dell’artigianato Lodigiano è la ceramica “Vecchia Lodi”, una decorazione tipica che risale al 1600 di cui è conservata una raccolta dei pezzi più significativi nel Museo Civico. Gli artigiani di Lodi imposero il loro gusto e la loro arte portando in tutto il mondo il nome della ceramica “Vecchia Lodi”.
Ora diamo un’occhiata alla sua storia, molto antica che risale al 1158. E’ stata fondata da Federico Barbarossa e le strade, i palazzi, le chiese testimoniano e racchiudono tanti tesori.
Lodi è una città di dimensioni abbastanza ridotte, tuttavia è dal 1992 capoluogo di provincia e vicinissima alla metropoli di Milano.
I Lodigiani distinguono ancora oggi una parte della città: la “città alta” e la “città bassa”. Quest’ultima è costruita sulla riva dell’Adda, a ridosso del vecchio ponte. Questa era un tempo la zona povera della città, abitata da barcaioli e lavandaie (figure oggi scomparse), che vivevano dell’attività legata al fiume.

 

ADA NEGRI

Ada Negri è la poetessa lodigiana a cui è dedicata la nostra scuola.
Ha amato profondamente la nostra città e ne ha celebrato il ricordo e il rimpianto nelle sue liriche più belle, anche dopo aver lasciato, per i vari casi della vita, Lodi.
… La porta del Duomo, con i leoni di pietra a guardia della Cattedrale…
Ada Negri – da “Stella Mattutina”

 

…Piazza Broletto, dietro il Duomo ne guarda l’abside austera, ornata in alto da mensole e piccoli archi di cotto, così belli che cantano da sé le lodi del Signore…

 

Ada Negri – da “Stella Mattutina”

 

… L’Incoronata è uno scrigno del Bramante… L’Incoronata è tutta d’oro…
Ada Negri  – da “Stella Mattutina”

 

…”L’antico tempio, presso l’ospedale,
svolgea sue linee semplici e divine.
Per due bifore in alto, snelle e fine,
rideva il ciel d’opale”
Ada Negri – “Piazza di San Francesco”

 

…”S’entro nel tempio, presso la cappella, presso la cappella
dei Fissiraga rivedrò la panca
dov’io conobbi i rapimenti primi
della preghiera; e tra la pinta selva
delle colonne cercherò la mia
Madonna, quella che adorai, che mia soltanto fu…
..chiusa in un manto d’ermellino, bianca
imperatrice al divin Figlio serva. …”
Ada Negri – “Piazza di San Francesco in Lodi”

 

Ada Negri è  nata proprio vicino alla sede del nostro istituto, nella portineria di un palazzo signorile di corso Roma nel 1870.
La madre lavorava al “Filatoio” e quindi, tornava a casa tardi ma non rinunciava a raccontare favole alla figlia. Nonostante le ristrettezze economiche, nel 1887, Ada otterrà il diploma di maestra e inizierà ad insegnare, lasciando Lodi. Ricorderà sempre, però, la sua infanzia passata della portineria della nonna, costretta a seguire gli ordini dei padroni, guardando i vicini campi nelle giornate di nebbia. E ciò sarà il contenuto delle sue poesie. Diventata adulta, andrà a Milano. Morirà nel ’45 e il suo corpo verrà in seguito sepolto nella chiesa di San Francesco, davanti alla “sua” Madonna.

 

LA CERAMICA LODIGIANA

Le foglie nel patimento estremo s’avvivano di
tinte inimitabili, di magie struggenti;
cresce e gode la vita dei fiori di campo, e la
vite vergine che invade orti e cortili, sfoggia
quel paonazzo che torna spesso nei ceramisti della vecchia Lodi”
Cesare Angelini – da “L’autunno è di Lodi”

Il Civico Museo ha una importante sezione dedicata alle ceramiche; essa è costituita da una ricchissima collezione di pezzi prodotti dalle epoche più lontane fino verso la fine dell’ottocento. La parte più numerosa ed importante è formata dalla produzione artistica delle fabbriche lodigiane del 1700.
Il secolo XVII rappresenta per l’industria ceramica lodigiana il periodo di maggior sviluppo e di splendore, parecchie erano allora le fornaci e fra di esse quella di Giovanni Coppellotti (1641) divenne famosissima. La produzione delle fabbriche lodigiane competeva brillantemente con quelle delle migliori fornaci italiane.
Ma anche nel XVIII secolo l’attività vascolare lodigiana primeggiava non solo per l’eleganza e la leggerezza delle forme, per lo splendore degli smalti, ma anche per il buon gusto delle decorazioni e per la brillantezze e la trasparenza dei colori, alcuni dei quali ancora oggi improducibili. Le maggior fabbriche erano quelle dei Coppellotti (1641/1787), di Giorgio Giacinto Rossetti (1729/1736), dei Ferretti (1725/1810). A quest’ultima va la paternità della particolare maniera di decorare detta “Vecchia Lodi”, decorazione a fiori di tinte vivacissime.
Oggi i pezzi della ceramica lodigiana sono ricercatissimi, molti conservati dei musei di Londra, Mosca, Strasburgo, Limoges, Sevres, Torino, Pavia; molti altri sono in possesso di fortunati privati, che li conservano gelosamente.

 

FESTIVITA’ LODIGIANE

 

SAN BASSIANO, IL PATRONO DI LODI –
La festa di San Bassiano si svolge il 19 gennaio. Nel giorno del Santo è consuetudine accorrere sotto i portici del Broletto per assaporare le specialità lodigiane: la trippa e il vin brulet. Lodi è in festa e la piazza si riempie di bancarelle. Quella più caratteristiche è quella che vende i “filson de san Bassan”, castagne cotte, ancora col loro guscio e legate a formare una collana.

 

SANTA LUCIA –
Un’altra tipica festa, principalmente dedicata ai bambini, è quella di Santa Lucia che porta i doni nella notte tra il 12 e il 13 dicembre. Anche per questa occasione la festa si riempie di bancarelle. La sera della vigilia, in tutte le case lodigiane, i bambini preparano una bevanda calda per Santa Lucia e del fieno per il suo asinello. La mattina successiva, al risveglio, trovano i doni.

 

IL PALIO DI LODI –
Il palio è una rappresentazione che si svolge la seconda domenica di settembre. Otto cavalli metallici, a rappresentanza di rioni, si affrontano in una corsa, spinti alla conquista del “Baston de San Basan”. La piazza richiama da tutto il circondario una grande folla. Le otto contrade di Lodi si affrontano anche in competizioni, gare sportive e costruzione di barche allegoriche.

 

IL DIALETTO LODIGIANO

Lùdesàn larghi de bùca e streti de man  – lodigiani, prodighi a parole e avari nei fatti

 

San Basàn, un’ùra in man – a S. Bassiano la giornata offre un’ora pi più di sole

 

Sùche e melòn a la sò stagiòn  –  zucche e meloni alla loro stagione, i comportamenti devono conformarsi alle varie età

 

Tre cose sono impossibili: fa sta ferm i fiòi, fa tas le dòne, fa cur i vègi – tre cose sono impossibili: far star fermi i figli, far star zitte le donne, far correre i vecchi.

L’è no tut òr quel che lusìs – le apparenze ingannano

Intant che el grand el se volta indrè el picinin la già fai el so mestè – mentre l’adulto si gira, il bambino ha già combinato un guaio

Se el sul el se volta indrè, duman ghèm l’acqua ai pè – se il sole ritorna al tramonto, domani pioverà

Mangià no, alsà de spess el gumed e fùmà trop… la tò vita la dùra poch – non mangiare, bere spesso e fumare troppo… la tua vita durerà poco.

 

VISITIAMO IL CENTRO STORICO

 

IL DUOMO

Il Duomo è il monumento più antico di Lodi. La costruzione cominciò con la cripta e nel 1163 poteva già ospitare le reliquie di S. Bassiano. Si pensa che la costruzione sia giunta a compimento verso la metà del 1300 e nel 1539 si iniziò la costruzione dell’attuale campanile. Nel 1759 si chiamò l’architetto Francesco Croce che propose di decorare l’interno della cattedrale secondo il gusto Barocco. I restauri del 1958 la riportarono allo stile originario.

Sulla facciata è presente l’imponente rosone del 1506 e, nell’edicola sotto la cuspide del tetto, la statua di San Bassiano protegge la città. Due leoni stilofori sostengono il protiro e accolgono i fedeli davanti all’ingresso della chiesa.
All’interno, nella cappella del fonte battesimale, troviamo due polittici della famiglia Piazza, importanti pittori cinquecenteschi lodigiani.
Sotto l’antico presbiterio  troviamo la cripta nella quale sono custodite le salme di San Bassiano e Sant’Alberto, co-patroni di Lodi. I Lodigiani sono molto affezionati ai “Caragnon del Dom”, una deposizione del 1400. Sopra l’ingresso alla cripta troviamo il bassorilievo romanico del “L’ultima cena”.
Una leggende riguarda il quadro della “Madonna della scala”, ora posizionato nell’abside di destra. Si racconta che questo quadro, colpito da un peccatore, un certo Cadamosto, avrebbe emesso sangue e gli avrebbe predetto la morte.
L’INCORONATA

Il tempio civico dell’Incoronata si trova nell’omonima via. Nel 1437, al suo posto, c’era un’osteria, una casa di malaffare. Un giorno alcune persone cominciarono a picchiarsi e si racconta che l’affresco della Madonna, dipinto sul muro, si mise a piangere. In seguito a questo miracolo di decise di abbattere la casa e di costruire, al suo posto, questa chiesa.
La prima pietra fu posta il 29 maggio 1486 e il progetto fu affidato a Giovanni Battagio e poi vi subentrò Giovanni Dolcebuono. Il campanile è di Lorenzo Maggi.
L’Incoronata ha una pianta ottagonale, come molte chiese dedicate alla Madonna o alle Sante. Nel 1600 venne abbattuto il muro dietro all’altare maggiore per costruire l’attuale altare e il coro.
Nella parte superiore sono presenti 16 busti in terracotta del De Fondulis. Il bel matroneo con le colonne blu e oro invita ad alzare lo sguardo verso la cupola a spicchi.
La decorazione originale della chiesa è ancora presente nelle lesene blu e oro dell’ottavo centrale. Un’idea di come fosse il tempio la troviamo nella “Presentazione al Tempio” del Borgognone. In questo dipinto la scene è ambientata nella nostra Chiesa.
Nel 1529 i Piazza vennero incaricati di ridecorare il tempio. La famiglia Piazza era una famiglia di pittori di Lodi. Callisto Piazza, il più famoso, fu allievo del Romanino e ha reso questo luogo, insieme ai fratelli, un vero capolavoro.

 

PIAZZA SAN FRANCESCO O PIAZZA DELL’OSPEDALE

Il monumento principale della piazza è la chiesa di San Francesco costruita in stile “lombardo” nella seconda metà del XIII secolo.

Nella piazza si trova anche la statua dello scienziato lodigiano Paolo Gorini (1813/1898) che durante la sua vita si dedicò alla pietrificazione e alla mummificazione dei defunti. In particolare imbalsamò Giuseppe Mazzini. Alla sua morte portò con sé le formule utilizzate per la conservazione dei corpi. Nel Museo Gorini, posto nel chiostro dell’Ospedale Vecchio, sono raccolte le testimonianze dei suoi esperimenti.

 

LA CHIESA DI SAN FRANCESCO

L’attuale chiesa di San Francesco è stata costruita al posto di una chiesa dedicata a San Nicolò. La famiglia Fissiraga donò la chiesa ai Francescani.

La facciata è decorata con un rosone ed è ingentilita da due bifore a “cielo aperto”, tipiche del lodigiano, che danno un senso di leggerezza. L’entrata è preceduta da un protiro con arcate gotiche. Sul portone centrale, di epoca medievale, durante l’ultimo restauro è stato rinvenuto inciso lo stemma della famiglia Fissiraga.
L’interno è diviso in tre navate con transetto, la copertura è a volte a crociera con costoloni, tipicamente gotici. La regolarità dell’interno è interrotta dalla Cappella di San Bernardino, aperta nel 1477, e riccamente affrescata.
Nel transetto sono presenti cappelle tipiche dello stile francescano. Nel transetto di destra si trova la tomba si Antonio Fissiraga, un cenotafio, cioè una tomba vuota, mai usata, decorato da due affreschi giotteschi.
Spicca la decorazione dei piloni che sono stati affrescati da artisti lombardi nei secoli XIV e XV.
Vicino all’ingresso, a sinistra si trova la tomba della grande poetessa lodigiana Ada Negri posta proprio di fronte al pilone affrescato con una Madonna che è conosciuta come la “Madonna di Ada Negri” in quanto cantata in una sua poesia.

 

PALAZZO MOZZANICA

Si trova in via XX Settembre e fu costruito dall’architetto Giovanni Battagio sui resti un castelletto. Si nota subito il portale rinascimentale in pietra, finemente decorato con gli stemmi di famiglia e medaglioni con personaggi illustri. Il fregio che divide in due la facciata è un bassorilievo che rappresenta putti, tritoni e naiadi. Le finestre del piano nobile sono decorate con terracotte.

 

PALAZZO MODIGNANI

Anche questo palazzo è situato in via XX settembre. E’ stato costruito nel 1600 dai fratelli Sartorio e le sue belle sale affrescate hanno ospitato personaggi illustri  fra cui Napoleone Bonaparte e Vittorio Emanuele II.

Il cancello d’ingresso, del battiferro lodigiano Alessandro Mazzucotelli, immette nel cortile con alberi secolari. Una originale scala ellissoidale collega i vari piani.

 

IL CASTELLO VISCONTEO

Il castello visconteo fu fatto costruire nel 1370 da Bernabò Visconti, sopra un preesistente fortilizio eretto da Napo Toriani nel 1270. Nel XV secolo Francesco Sforza costruì il torrione,  massiccia torre rotonda. Questo castello ospitò numerosi condottieri e principi lombardi.
Sotto l’imperatore Giuseppe II il castello, subendo una radicale trasformazione, venne adibito a caserma. Divenne poi proprietà del Comune di Lodi, che vi insediò scuole pubbliche. Nel torrione fu inserito il serbatoio dell’acquedotto. Nel periodo fascista fu abbattuto il lato destro del castello per far posto all’Istituto Tecnico “Bassi”.

 

La nostra Lodi

Quando ci capita di dire, conversando con estranei, che siamo Guide Turistiche del Lodigiano , il nostro interlocutore prima abbozza un sorriso divertito, poi curioso e un po’ ironico chiede “Ah, perché c’è il turismo a Lodi? E cosa c’è da vedere?”
Reazione lecita nonché comprensibile. Inutile fingere: Lodi non è né le famose e importanti Milano e Bologna, né le più piccole e ugualmente vicine Mantova o Parma.
Allora, per rispondere al nostro interlocutore, essendoci armati di pazienza, saremmo tentati di cominciare a raccontare una storia. Una storia che inizi con Gneo Pompeo Strabone, nell’89 a.c., e arrivi ai giorni nostri. O forse con una leggenda, quella del drago Tarantasio e di quel lago che probabilmente ricopriva le nostre terre ai tempi che furono.
Ma poi, riflettendoci, capiremmo che se da un lato il nostro interlocutore non avrebbe tutto quel tempo – e forse anche la pazienza – che a noi servirebbe per portare a termine il racconto, dall’altro questo nostro piacevole sforzo servirebbe a poco.
Perché le parole, senza un riscontro visivo, non sono sufficienti.
Perché una risposta possibile sarebbe “Ci sono diverse cose da vedere. Forse varrebbe la pena farci un giro”. Un paio d’ore, un pomeriggio, una giornata. Ritagliarla per noi stessi, ritagliarla per la piccola Lodi e la sua giovane provincia.
Nonostante vi abbiano lavorato artisti, architetti e pittori di notevole rilievo – la bottega dei Piazza, Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, Giovanni Battagio, Francesco Carminati detto il Soncino, Carlo Carloni, Enrico Scuri e tanti altri – mancano a Lodi le grandi firme che fanno accorrere a frotte i turisti.
Il cuore della città è medioevale. Come un foro romano, sulla Piazza Maggiore si affacciano il Duomo e il Palazzo del Comune . Dietro, il Palazzo Vescovile ; a pochi passi una delle chiese più antiche , San Lorenzo , e un paio di vie più in là la bella e quieta San Francesco, cara alla poetessa Ada Negri, tempio della spiritualità Lodigiana.
Tutto è dolcemente e finemente misurato, quasi rispondendo a un austero ed elegante richiamo alla sobrietà. Quella modestia forse caratteristica della “buona indole dei Lodigiani”.
Uno dei gioielli più preziosi e importanti della città – Il Tempio dell’Incoronata – si scorge a malapena dalla strada. Le arti più bizzarre, come il Barocco, si sono modellate sulla città senza stravolgerne l’assetto. Durante gli anni influenzati dagli apporti Liberty, nel centro storico si è preferito conservare l’assetto tardo-gotico della città. Le vie si sono così gentilmente arricchite di leggeri balconate, piccoli e grandi cancelli; i portoni si sono impreziositi di decori floreali e naturali; sulle finestre troneggiano volti femminili e piccoli angeli. Le facciate diventano spalliere di rose stabili tutto l’anno, il ferro battuto ingentilisce i balconi con corpose farfalle, quasi invisibili ai più distratti.
La piccola dimensione della città ha facilitato l’integrazione e la cooperazione tra potere laico e religioso, espresse al massimo grado sia nell’erezione del Tempio dell’Incoronata sia nell’edificazione dell’ Ospedale Vecchio , simbolo della solidarietà dei Lodigiani.
Fuori dal centro storico, un proliferare di ville, villini, quartieri nuovi e moderni: la città con il Ventesimo secolo si allarga.
E in pochi chilometri si esce dalla periferia e ci si immerge nella campagna. Qui, in mezzo ai campi e agli argini della provincia, svettano, eleganti e memori degli antichi fasti, chiese, abbazie, castelli, sontuose ville che non aspettano altro che potersi raccontare ed essere visitate.
Ecco, questa è la nostra piccola Lodi e il suo territorio.
La nostra Lodi dal colore del mattone e della terracotta, la nostra Lodi e le sue ceramiche, i suoi palazzi, le chiese. La nostra Lodi e il suo profondo e sentito culto per la Madonna. La cucina e le tradizioni, gli organi e i corali miniati. La sua provincia e la campagna, i tre fiumi che la bagnano – Adda, Po, Lambro -, le sue oasi e parchi naturalistici.
È nostra , secondo le diverse maniere e sensibilità con cui ciascuna di noi guide se ne è impossessata, e innamorata.

 

Storia di Lodi

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Laus Pompeia
Le origini
L’antica Laus Pompeia si trovava in corrispondenza dell’odierna Lodi Vecchio, a circa 7 km dal luogo in cui sorge la città attuale; il borgo era situato sulla confluenza delle strade che da Placentia (Piacenza) e da Acerrae (Pizzighettone) conducevano a Mediolanum (Milano), e nel punto di incrocio con la strada che da Ticinum (Pavia) proseguiva fino a Brixia (Brescia).
Plinio il Vecchio afferma che fu fondata dai Celti Boi, sebbene storicamente quel territorio fu sempre occupato dagli Insubri. In ogni caso non ci è stato tramandato il toponimo gallico dell’antico borgo. I romani vi giunsero tra il 223 a.C. e il 222 a.C., anni in cui i consoli (Publio Furio Filo e Gaio Flaminio Nepote prima, Marco Claudio Marcello e Gneo Cornelio Scipione poi) attaccarono e sconfissero gli Insubri. Questa prima occupazione durò poco in quanto gli Insubri, approfittando della discesa diAnnibale, si ripresero la loro indipendenza e la mantennero per un paio di decenni. Solo nel 195 a.C. la resistenza degli Insubri fu definitivamente estirpata; da allora fino al 49 a.C., Laus fece parte della provincia della Gallia Cisalpina.
Nell’89 a.C. il borgo assunse finalmente il nome di Laus Pompeia in onore del console romano Gneo Pompeo Strabone, che proprio quell’anno aveva concesso il diritto latino agli abitanti delle comunità in Transpadana. Questo provocò una trasformazione radicale non solo sotto il profilo giuridico dei cittadini, ma anche e soprattutto sotto quello culturale (il latino divenne lingua ufficiale) e urbanistico (l’abitato venne riedificato in forma rettangolare).
La Basilica dei Dodici Apostoli nei pressi dell’antica Laus Pompeia

 

Nel 49 a.C., Laus divenne municipio di cittadini romani, e iniziò ad essere retta da un quattuorvirato. Da allora smise di far parte della Gallia Cisalpina.
Tra l’agosto del 14 d.C. e il luglio del 23 d.C. fu collocata su una porta di Laus l’epigrafe: «Tiberio Cesare Augusto, figlio di Augusto, e Druso Cesare, figlio di Augusto, fecero costruire questa porta». Evidentemente quindi doveva esistere una cinta muraria.
Il culto più praticato sul territorio era quello di Ercole, che nella tarda romanità assunse il valore di simbolo del potere dello stato e quello della civiltà che sconfigge la barbarie. In realtà, questa grande diffusione fu verosimilmente dovuta all’identificazione con un precedente dio celtico: Ogmios. Il tempio di Ercole sorgeva fuori città, sulla riva destra dell’Adda, dove oggi, a Lodi Nuova, si trova la chiesa della Maddalena. Come in ogni altro luogo dell’impero romano, era vivissimo il culto dei defunti.
Fin dal III secolo si hanno notizie dell’esistenza di una comunità cristiana (il 12 luglio 303 vi furono decapitati San Felice e San Nabore) ma l’organizzazione di essa in diocesi avvenne solo con san Bassiano Vescovo, verso la fine del IV secolo. Un’epistola di sant’Ambrogio afferma che nel novembre 387 Bassiano invitò Felice Vescovo di Como e lo stesso Ambrogio alla cerimonia di consacrazione della Basilica dei Dodici Apostoli, situata nel suburbiodi Laus Pompeia. Successivamente (fine del V secolo?) fu costruita la Cattedrale di Santa Maria, posta sul lato sud dell’antico foro.

 

L’alto Medioevo
Come già detto, Laus era attraversata da strade di grande importanza, le quali, nel III secolo iniziarono ad essere percorse dai barbari invasori: nel 271 Iutungi e Alamanniscesero in Transpadana, occupando e devastando le campagne fra Milano e Piacenza.
Le invasioni ripresero agli inizi del V secolo: il 18 novembre 401 Alarico oltrepassò le Alpi, puntando su Milano e seminando terrore e devastazione nelle campagne indifese; nel febbraio 402 la strada che conduceva da Milano a Piacenza era impercorribile, tanto che Quinto Aurelio Simmaco, per recarsi a Milano ad incontrare l’imperatore Onorio, una volta arrivato a Piacenza, dovette passare per Pavia.
Nel 452 gli Unni di Attila penetrarono in Italia, puntando nuovamente su Milano e colpendo direttamente Laus Pompeia.
Le campagne laudensi furono sicuramente interessate anche dagli scontri fra Flavio Oreste ed Odoacre, re degli Eruli, e fra quest’ultimo e Teodorico, re dei Goti. Lo stesso vale per la guerra ventennale che Giustiniano condusse contro i Goti d’Italia.
Nel 568 fu la volta dei Longobardi, che scesero nell’Italia settentrionale. Il 3 agosto 569 entrarono in Milano, ma occuparono Laus solo nel 575, dopo la resa di Pavia. Questo può significare che non ci fu una guerra combattuta, ma un arretramento volontario del fronte, dovuto al fatto che la zona di Laus era forse diventata indifendibile. Poco si sa di ciò che avvenne nei secoli successivi, se non che iniziarono a diffondersi le prime colture sul territorio (vitipraticerreticastagneti, sebbene fossero abbondantissime le paludi) e le prime attività commerciali importanti: in una concessione del re Liutprando nel 715 si legge che il commercio fluviale da e per l’Adriatico era garantito a Laus ed al suo territorio da due porti fluviali, posti alla confluenza dell’Adda e del Lambro nel Po.
Nel 774 ebbe inizio la dominazione dei Franchi e la città costituì un comitatus.
Tra la fine del IX secolo e l’inizio del X secolo, in pieno periodo di anarchia feudale, vi furono due invasioni degli Ungari alle quali seguì un periodo di stasi, grazie agli accordi stretti con loro dal re Berengario. Tuttavia, queste incursioni diffusero un sentimento di paura collettiva che spinse alla costruzioni di castelli nel basso lodigiano.
Il 24 novembre 975, con un diploma dell’imperatore Ottone II, il Vescovo di Lodi Andrea ottenne per la prima volta il riconoscimento del potere temporale sui territori laudensi; l’imperatore concedeva i possessi terrieri, le famiglie di servi della gleba, i mercati, le gabelle e le dogane. Queste concessioni furono ulteriormente ampliate nel luglio 981 con un nuovo diploma con il quale il Vescovo poté presiedere i processi. La figura del vescovo Andrea fu quindi fondamentale per la storia di Laus, in quanto egli pose le basi per la futura autonomia cittadina in forma di vassallaggio diretto al sovrano.

 

Le lotte con Milano
All’inizio dell’XI secolo il territorio laudense costituiva la chiave del commercio milanese per via fluviale, specialmente mediante il corso del Lambro che la metteva in contatto con il Po e l’Adriatico; Laus richiedeva dei pedaggi alle navi che risalivano il fiume, e quindi impadronirsi della città avrebbe significato espandere notevolmente la propria potenza politica e commerciale.
Quando nel 1027 morì il Vescovo Notker, l’Arcivescovo di Milano Ariberto da Intimiano ne approfittò, sfruttando un diritto concessogli dall’imperatore a Costanza, occupò il lodigiano, assediando la città. Capendo di non avere possibilità di resistere, i cittadini firmarono un accordo di pace, accentando il Vescovo Ambrogio II, imposto da Ariberto. Nei decenni successivi in tutte le città assoggettate all’Arcivescovo di Milano scoppiarono rivolte e tumulti, sempre seguite da razzie e devastazioni. Questo continuo stato di tensione sfociò nello scoppio di una guerra quadriennale nel 1107 che portò alla distruzione della città il 24 maggio 1111.

 

Resti della Cattedrale di Santa Maria

 

Le ostilità iniziarono quando Laus alleata con Pavia e Cremona, partecipò all’assedio di Tortona, alleata di Milano. In questo periodo le difese cittadine erano rappresentate sostanzialmente dalle cerchia di mura romane, risalenti alI secolo d.C.; non si trattava quindi di un ostacolo invalicabile. Inoltre la città si era allargata notevolmente oltre la cerchia con una serie di borghi, attorno ai quali era stato scavato un fossato.
La presa di Laus fu ritardata solo dall’imperatore Enrico V che, tra la fine del 1110 e l’inizio del 1111, scese in Italia per farsi incoronare imperatore dal papa Pasquale II. I milanesi non aspettarono neanche che l’imperatore valicasse il Brennero: il 22 maggio il sovrano si trovava a Verona ed il 24 maggio Laus Pompeia fu rasa al suolo. Per prima cosa furono distrutte le mura, con una veemenza tale che oggi, nonostante le ricerche, non è stato possibile trovarne traccia; quindi i milanesi passarono al saccheggio delle case e alla distruzione e all’incendio di tutto ciò che stava all’interno dell’antica cerchia muraria.
Gli accordi di pace imposti ai lodigiani prevedevano il divieto di ricostruire gli edifici distrutti, e il giuramento di “fedeltà perpetua” alla città di Milano. Un’altra clausola prevedeva il trasferimento del mercato settimanale che si teneva ogni martedì, a cui partecipavano i mercanti di tutta la Lombardia, costituendo un’enorme fonte di guadagno per i cittadini. In questi anni i laudensi dovettero sottostare a Milano senza alcuna ombra di autonomia; lo testimonia anche il fatto che furono costretti ad inviare un contributo di 200 fanti durante l’assedio di Como nel 1126.
Nonostante questo, Laus riuscì in parte a riprendersi: lo storico lodigiano Ottone Morena, testimone oculare, racconta che i cittadini, dopo aver abbandonato gli edifici distrutti, «cominciarono ad abitare in sei borghi nuovi». Inoltre i luoghi di culto, risparmiati dalla distruzione, continuarono a funzionare, in particolare la Cattedrale. Vi fu un generale, seppur lentissimo rifiorire dell’economia.
Nel 1152, appena eletto, Federico I detto il “Barbarossa” convocò una dieta a Costanza, per occuparsi, fra l’altro, dei problemi italiani. Nel marzo 1153, due commercianti laudensi (Albernando Alamanno ed Omobono Maestro) che si trovavano lì per caso, chiesero udienza al re, per parlare del torto subito (l’abolizione del mercato) ad opera dei milanesi. I due, dopo aver riferito i fatti del 1111, chiesero ufficialmente al sovrano di scrivere una lettera a Milano, imponendole di restituire ai laudensi il loro mercato.
Monumento dedicato a Federico Barbarossa

 

In effetti il Barbarossa agì in questo modo, ma non appena i due commercianti rientrarono in patria, furono duramente rimproverati dai concittadini che temevano la potenza militare milanese e vedevano il re troppo lontano per poter costituire una difesa. Pregarono il messo regio di non compiere la sua missione, ma non ascoltandoli, Sicherio si recò dai consoli di Milano che lo coprirono di minacce, costringendolo a fuggire. Nell’anno seguente, il “Barbarossa” discese in Italia per farsi incoronare imperatore del Sacro Romano Impero Germanico e convocò una dieta a Roncaglia, dove arrivò il 30 novembre 1154. Qui ascoltò le lamentele rivolte a Milano dai consoli di Lodi, Pavia e Como, oltre che l’autodifesa dei consoli milanesi che proposero al re un’enorme somma di denaro pur di ottenere mano libera su Como e Laus. Il 15 dicembre i milanesi vennero dal sovrano per consegnare il loro denaro, ma Federico lo rifiutò, chiedendo loro di «sottomettersi tutti a lui, senza condizione alcuna». In ogni caso pare che i cittadini di Laus ottennero la riapertura del mercato cittadino, che permise in parte all’economia laudense di rifiorire.
I milanesi dovettero quindi aspettare che l’imperatore tornasse in patria per colpire i loro principali nemici singolarmente: prima Cremona (estate 1157), poi Pavia (inverno 1157-1158), e quindi Laus. I consoli milanesi stabilirono una serie di ritorsioni che di fatto impedivano ai laudensi di vendere le proprie terre per sottrarsi alle imposizioni di Milano, inasprirono le tasse, ed imposero che tutti i maschi giurassero sottomissione al Comune di Milano, e di obbedire a tutto ciò che gli venisse ordinato (cosa che non avrebbero mai fatto, per non tradire la fedeltà giurata all’imperatore solo tre anni prima). Il 15 aprile 1158 i milanesi passarono ai fatti e concedettero un lasso di tempo di dieci giorni affinché i laudensi prestassero il giuramento; non aspettando neanche il termine dell’ultimatum, il 23 aprile giunsero a Laus, vi entrarono e la saccheggiarono, sotto gli occhi dei cittadini che non opposero alcuna resistenza. Nei due giorni successivi la città e il territorio circostante fu completamente bruciato e distrutto; i profughi si diressero soprattutto verso Pizzighettone.

 

La fondazione di Lodi Nuova
Busti di marmo collocati ai lati del palazzo municipale, raffiguranti i due “fondatori” della città: a sinistra Gneo Pompeo Strabone, a destra Federico Barbarossa

 

L’8 giugno dello stesso anno, Federico Barbarossa tornò in Italia. Accampatosi a sud di Milano, ricevette una processione di esuli laudensi che chiedevano giustizia. Il 3 agosto 1158, Lodi venne rifondata dall’imperatore. Si racconta che quello stesso giorno la pioggia, come segno propiziatore, ruppe il sereno di quella domenica d’estate. Il sito prescelto non fu quello delle rovine di Laus, ma sul Monte Guzzone, lungo le rive dell’Adda, nei pressi dell’antico tempio di Ercole, dove già sorgeva un porto fluviale ed un ponte detto del Fanzago. Questa nuova posizione fu scelta per consentire una posizione di maggior controllo sul territorio ed una più facile difesa; adesso infatti la città poteva essere attaccata su un solo lato. Si suppone anche questa posizione fu scelta anche per un altro motivo: spostandosi dal Lambro all’Adda, fiume su cui Milano non aveva pretese, si evitava una delle più gravi ragioni di attrito che la divideva con la rivale.
Una volta sconfitti i milanesi, il Barbarossa convocò una seconda dieta a Roncaglia per regolare una volta per tutte la questione dei diritti feudali nell’Italia settentrionale. L’imperatore accordò a Lodi straordinari privilegi, fra cui quello di costruire ponti su tutti i corsi d’acqua del territorio e di navigare per tutta la Lombardia con piena esenzione delle tasse.
Durante il Sinodo di Lodi, tenutosi nel 1161, il Barbarossa nominò Vittore IV antipapa, in opposizione a papa Alessandro III. Nello stesso concilio, su inizitiva dell’antipapa, Federico Barbarossa nominò arcivescovo di Magonza Corrado di Wittelsbach, allo scopo di porre fine allo scisma tra Rodolfo di Zähringen e Cristiano di Buch. Questo provocò la scomunica dell’imperatore da parte di Alessandro III; le città ribelli si sentirono quindi sciolte dall’obbedienza e passarono al contrattacco: il 12 marzo 1160 anche il Vescovo di Lodi Alberico da Merlino fu colpito da scomunica (in quanto sostenitore dell’antipapa Vittore IV) e già il 22 marzo i milanesi cinsero d’assedio Lodi. Questo attacco e quello successivo di luglio furono respinti, ma già dal 3 agosto dello stesso anno si iniziò la costruzione delle mura di Lodi, volute e finanziate da Federico I. Le operazioni militari si conclusero nella primavera del 1162, quando i milanesi, stremati da un blocco durato un inverno, chiesero di trattare; il Barbarossa impose la resa a discrezione: la distruzione di Milano iniziò il 27 marzo 1162 e vi parteciparono anche i fanti lodigiani.

 

L’interno del Duomo di Lodi

Durante la sua terza discesa in Italia, l’imperatore si fermò di nuovo a Lodi (il 2 novembre 1163) e per l’occasione furono trasferite le reliquie di San Bassiano nella nuova Cattedrale, la costruzione della quale fu in parte finanziata dalla coppia imperiale (furono offerte in totale 35 libbre d’oro). Una volta tornato in Germania però, iniziò una serie di abusi da parte dei messi imperiali, che fecero crescere il malcontento generale per una situazione che sembrava ormai anacronistica. Anche durante la quarta discesa in Italia del Barbarossa (novembre 1166), le lamentele dei Comuni lombardi non furono ascoltate e anche per questo il 7 aprile del 1167, questi giurarono nel monastero cluniacense di Pontida, di far fronte comune e di ricostruire Milano. Nonostante i ripetuti tentativi diplomatici per convincere i lodigiani a far parte della Lega Lombarda, questi continuarono a rifiutarsi e così, il 12 maggio 1167 la città fu cinta d’assedio, capitolando il 22 maggio. Fra le condizioni di resa, figurava l’impegno della Lega a costruire una cerchia di mura spesse due braccia e alte dodici (circa un metro per sei).
L’assenza di Federico I dall’Italia durò sette anni, durante i quali la Lega Lombarda si consolidò ulteriormente. Quando l’imperatore tornò in Lombardia per la quinta volta, cinquanta milites lodigiani parteciparono alla battaglia di Legnano, dove fu definitivamente sconfitto il 29 maggio 1176.
Alla morte del Barbarossa sembrò riaprirsi il contrasto con Milano, a causa del fatto che il nuovo sovrano Enrico VI aveva confermato ai lodigiani il libero uso delle acque del Lambro. Vi furono nuovi scontri tra i due Comuni nel 1193, e si giunse alla pace solo nel 1198: Lodi cedeva ai milanesi i diritti sulle acque del Lambro e in cambio otteneva garanzie commerciali e doganali, oltre il riconoscimento dell’autorità sul proprio territorio e l’esclusiva del porto sull’Adda.

 

Le signorie
Nel XIII secolo Lodi continuò a crescere. Nel 1220 si iniziò la costruzione del canale Muzza, alla quale contribuirono sia proprietari lodigiani, sia capitali milanesi. Questaopera idraulica, per secoli contribuì alla floridezza dell’agricoltura del territorio. Iniziarono inoltre a formarsi una serie di fazioni interne, soprattutto a causa dell’affermarsi della borghesia artigiana. In questo periodo la fazione dei nobili è capeggiata dalla famiglia degli Overgnaghi, mentre quella del ceto emergente dai Sommariva.
Intanto, la tregua fra i comuni della Lega Lombarda e il nuovo imperatore Federico II diventava sempre più precaria; il 27 novembre 1237 si arrivò allo scontro pressoCortenuova, con esito disastroso per la Lega. Lodi si arrese e il sovrano vi fece solenne ingresso il 12 dicembre. Federico fece rafforzare le fortificazioni e costruì un castello a fianco di Porta Cremonese, sopra la palude di Selvagreca. Lodi tornò ad essere un punto strategico nelle operazioni contro ai milanesi. In questi anni, oltre alle divisioni politiche, si aggiunsero le divisioni religiose. Si arrivò ad un punto tale che il papa Gregorio IX, sdegnato per la messa al rogo di un frate francescano, colpì la città con l’interdetto, privandola della dignità vescovile. Nel 1250 con la morte di Federico II, il nuovo papa Innocenzo IV entrò trionfalmente in Milano, incitando a distruggere la fortezza ghibellina di Lodi. Si giunse alla pace nell’anno seguente, e il governo fu affidato per dieci anni a Sozzo Vistarini, uno dei più ricchi capi nobili che però aveva abbandonato la fazione degli Overgnaghi mettendosi a capo del “popolo”. Nel 1252 il papa restituì a Lodi la dignità vescovile.

 

Palazzo Vistarini

Il potere straordinario concesso a Sozzo Vistarini è il chiaro segno di un mutamento del regime cittadino, con l’inizio dell’età signorile: formalmente contuarono ad eleggersi i consoli, ma nella pratica il governo era tenuto da una famiglia, impersonata dal proprio capo. Ai Vistarini successero i Torriani di Milano con Martino (dal 1259 al1263), Filippo (fino al 1265) e quindi Napo. Nei decenni successivi ci furono una serie di tumulti tra gli Overgnaghi e i Vistarini da un lato e i Sommariva dall’altro, finché nel 1292 ebbe la meglio il partito guelfo, capeggiato daAntonio Fissiraga.
In questi anni intanto la città vide una forte espansione, con il rifacimento e l’ampliamento della cerchia muraria e l’inizio della costruzione delle chiese di San Francesco e di San Domenico. Attorno al 1300 si diffuse la leggenda del drago Tarantasio che avrebbe infestato le paludi dell’Adda e che sarebbe morto per intercessione di San Cristoforo; per questo fu ampliata la chiesa in suo onore, all’interno della quale pare fosse appesa unamascella fossile di un cetaceo, scomparsa dopo la profanazione del tempio. Quando nel 1945 Enrico Mattei scoprì dei pozzi di gas metano nella vicina Caviaga, alcuni iniziarono a pensare che l’animale, scomparso sotto terra dopo la bonifica delle paludi, fosse riapparso in forma di gas; il cane a sei zampelogo dell’azienda, sarebbe quindi lo stesso Tarantasio.
Nel 1301 ripresero le ostilità coi Visconti di Milano. Il Fissiraga strinse alleanze con i signori di Pavia e di Piacenza, radunando le forze antiviscontee nella primavera del1302. L’esercito si diresse verso Milano, affrontando Matteo Visconti, ma a causa di una rivolta scoppiata nella città, Matteo è costretto a trattare ancor prima di combattere. In questi trattati stipulati il 14 giugno 1302, i Torriani rientrarono a Milano, affidando il ruolo di podestà proprio ad Antonio Fissiraga.
La situazione mutò nel 1311 con la discesa in Italia dell’imperatore Enrico VII che occupò Lodi, permettendo il ritorno dei Vistarini e degli altri ghibellini esiliati, ed esigendo che i rappresentanti del comune giurassero sulle reliquie di San Bassiano che gli sarebbero rimasti fedeli, osservando le clausole di pacificazione. La guida del partito ghibellino a Lodi era Bassiano Vistarini che, con l’aiuto di Matteo Visconti, nel 1321 si fece proclamare signore di Lodi; a lui succedettero i figli Giacomo e Sozzo i quali tennero il potere fino al 1328.
Dopo una parentesi guelfa guidata dall’ex mugnaio Temacoldo, durante la quale furono consegnate al papa Giovanni XXII le chiavi della città, il 31 agosto 1335, dopo un lungo assedio, Lodi cadde sotto i colpi di Azzone Visconti. Da questo momento la storia di Lodi fu strettamente legata a quella di Milano. In questo periodo fu ristabilita la pace fra le famiglie lodigiane in lotta e furono iniziati i lavori per la costruzione del maestoso castello di Porta Regale (concluso nel 1370).
Con la morte di Gian Galeazzo Visconti, avvenuta il 3 settembre 1402, Lodi fu assegnata a Giovanni Maria, erede al titolo ducale. La debolezza di quest’ultimo causò la disgregazione dello stato: a Lodi, Luigi Vistarini si proclamò rettore della città, ma i Fissiraga reagirono provocando tumulti. Fu acclamato signore Antonio II Fissiraga; la sua politica a favore dei Visconti però generò il malcontento e presto fu costretto ad asserragliarsi dentro il suo palazzo. A questo punto Giovanni Vignati, discendente da nobile famiglia guelfa del contado, con un piccolo esercito prese il castello entro il quale si era rifugiato Antonio Fissiraga e dove probabilmente fu ucciso. Nominato signore il 23 novembre 1403, Giovanni Vignati condusse una politica di stacco netto dai Visconti. Radunò tutte le forze ostili ai Visconti ed organizzò un’azione contro Milano nel 1404, che però, dopo una serie di attacchi e contrattacchi, si risolse in un nulla di fatto.
Il 7 novembre 1406, Giovanni Vignati ricevette l’ambito titolo di patrizio veneto; la Repubblica di Venezia, infatti, vedeva di buon occhio le piccole signorie nate dalla debolezza dei Visconti. Altri scontri nel 1409 e 1410 permisero al Vignati di conquistare Melegnano e Piacenza. Il 16 settembre 1412 il nuovo duca Filippo Maria firmò un accordo nel quale riconosceva Giovanni come signore di Lodi e di Piacenza, ma lo obbligava all’assistenza politica e militare. Questo patto si rivelò l’inizio del declino di Giovanni Vignati.
Il 9 dicembre 1413, dal Duomo di Lodi, l’imperatore Sigismondo del Lussemburgo e l’antipapa Giovanni XXIII convocarono il Concilio di Costanza, che avrebbe poi risolto lo Scisma d’Occidente. La città fu sede di ambascerie da ogni parte d’Italia e Giovanni Vignati fu insignito del titolo ereditario di conte di Lodi.
Nell’agosto 1415 il duca di Milano catturò Giacomo, uno dei figli del Vignati. Questi venne a patti, e dovette dichiararsi vassallo del duca, prestando giuramento di fedeltà. Recatosi a Milano per ottenere la liberazione del figlio prevista dai patti, fu arrestato a sorpresa con l’accusa di tradimento. Intanto Francesco Bussone, detto il Carmagnola, occupava Lodi (20 agosto) e uccideva Ludovico, l’altro figlio del Vignati. Dopo aver ucciso anche Giovanni, i due cadaveri furono trascinati per le strade di Milano ed esposti per tre mesi nel rione Vigentino. D’ora in poi la storia di Lodi si identificherà completamente con quella del Ducato di Milano.

 

L’età rinascimentale
Nel 1419 divenne vescovo di Lodi Gerardo Landriani, grande cultore degli studi letterari e in rapporto con i più noti umanisti del tempo. Nello stesso periodo operò Maffeo Vegio, considerato uno dei migliori poeti in latino del XV secolo.

 

La Pace di Lodi

La pace di Lodi, firmata il 9 aprile 1454 a palazzo Broletto, fu uno degli eventi più significativi della storia italiana delQuattrocento. Essa pose fine al lungo conflitto tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia che durava dai primi anni del secolo, sancendo l’inizio di un’alleanza tra Francesco Sforza e la Serenissima.
L’importanza storica del trattato, che fu ratificato dai principali Stati regionali, consiste nell’aver garantito all’Italia un assetto territoriale stabile e quarant’anni di pace, favorendo di conseguenza la rifioritura artistica e letteraria delRinascimento.

 

Dopo la morte di Filippo Maria Visconti, il Ducato di Milano cadde nel caos: venne istituita la Repubblica Ambrosiana e a Lodi i cittadini proclamarono la loro appartenenza alla Repubblica di Venezia, che ratificò l’adesione il 12 ottobre 1447. Tuttavia la situazione cambiò rapidamente quando Francesco Sforza assunse il comando delle truppe della Repubblica Ambrosiana: dopo la sconfitta di Caravaggio, Venezia cedette Lodi a Milano, evitandole almeno il saccheggio; la città fu comunque assediata e devastata dai soldati delPiccinino. Seguirono una serie di rivolte, conflitti e devastazioni, dopo le quali l’11 settembre 1449 si giunse alla proclamazione di Francesco Sforza a signore di Lodi e duca di Milano. A causa della sua posizione di confine, il territorio lodigiano fu più volte percorso dagli eserciti milanesi e veneti, in guerra fra loro, ma già l’anno seguente iniziarono le trattative di pace che prevedevano che il confine veneto fosse stabilito poco oltre l’Adda. Il 9 aprile 1454, presso il castello di Porta Regale, sede locale della corte degli Sforza, gli Stati regionali italiani firmarono la Pace di Lodi, che assicurò quarant’anni di stabilità politica.
Questo periodo, segnato dal lungo vescovato di Carlo Pallavicino (14561497), è ricordato come uno dei più felici della storia lodigiana dal punto di vista artistico e culturale; in questi decenni opererarono il già citato Maffeo Vegio oltre che Franchino Gaffurio e Giovanni Battagio, e videro la luce opere come l’Ospedale Maggiore, il Tempio Civico dell’Incoronatapalazzo Mozzanica e il Tesoro di San Bassiano. Inoltre il duca Francesco Sforza fece ricostruire il ponte sull’Adda con due fortificazioni ai capi, ed inoltre consolidò il sistema difensivo con la sistemazione del Rivellino ottagonale e la fortificazione della Rocchetta. Negli anni settanta inizia la ristrutturazione del Duomo con la costruzione della sagrestia e delle vetrate; nel 1487 si verificarono i prodigi che daranno il via alla fabbrica dell’Incoronata, commissionata a Giovanni Battagionell’anno seguente.
L’interno del Tempio dell’Incoronata, capolavoro dell’arte rinascimentale

 

Questo periodo di pace cessò nel 1494, anno in cui il re Carlo VIII di Francia scese in Italia. Da questo momento, per almeno un ventennio si susseguirono una serie di passaggi di eserciti, con il loro seguito di scorrerie e di saccheggi che devastarono il territorio lodigiano. All’interno della guerra fra Francia e Spagna è da collocare l’episodio della Disfida di Barletta (13 febbraio1503), alla quale partecipò Fanfulla da Lodi, capitano di ventura al servizio degli spagnoli. Nel 1508, nel nord infuriava la guerra della Lega di Cambrai; la città fu occupata più volte: inizialmente dai francesi (giugno 1509), poi dagli svizzeri (settembre 1512) e quindi dai veneti (settembre 1515) che però la abbandonarono quasi immediatamente. La pace di Noyon del 1516 assegnò il ducato di Milano ai francesi.
Dopo pochi anni però, il nuovo imperatore Carlo V, entrato in conflitto con Francesco I, inviò un corpo di mercenari svizzeri ad occupare il ducato; questi entrarono in Lodi, saccheggiandola nel maggio 1522. Da allora la città divenne il quartier generale del comandante supremo spagnolo Ferrante d’Avalos; proprio a Lodi si riunirono le truppe imperiali che il 24 febbraio 1525 catturarono Francesco I in battaglia. Nonostante un tentato colpo di mano ad opera di Lodovico Vistarini avvenuto il 24 giugno1526, Lodi rimase in mano all’imperatore.
In base alle clausole della pace di Cambrai (1529), il ducato di Milano rimase nelle mani di Francesco II Sforza; alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel novembre 1535, Carlo V e Francesco I entrarono di nuovo in guerra per il possesso del ducato. Ebbero la meglio gli spagnoli e nel 1540 fu nominato duca di Milano l’infante Filippo II. Il 20 agosto 1541, l’imperatore Carlo Vvisitò Lodi per la seconda volta, dove ricevette un’accoglienza grandiosa e fu ospitato in casa Vistarini.

 

Le dominazioni straniere
Il periodo spagnolo
Lodi non fu toccata dalle successive guerre fra Spagna e Francia, e questo periodo di stabilità permise la costruzione del campanile del Duomo, iniziato nel 1539 su progetto di Callisto Piazza e terminato nel 1555. In questi anni fu particolarmente attiva l’Inquisizione, con una serie di punizioni esemplari in piazza della Vittoria. La pace di Cateau-Cambrésis (1559), sancì una volta per tutte l’inizio della dominazione spagnola sul territorio.
Nella seconda metà del secolo, Lodi si arricchì di edifici insigni, come la chiesa di San Cristoforo, opera di Pellegrino Tibaldi e il chiostro di San Vincenzo. Nella Cattedralefurono inoltre realizzati degli affreschi, andati perduti, da Antonio Campi. Furono infine attuate una serie di riforme religiose, in attuazione delle disposizioni del concilio tridentino, soprattutto sotto l’egida dell’arcivescovo Carlo Borromeo; nel 1571 fu istituito il Seminario.
Nelle corso del XVII secolo Lodi non fu toccata dalle guerre, ma nonostante questo le autorità spagnole si preoccuparono di potenziare le fortificazioni, trasformando la città in una vera e propria fortezza; i lavori per il rifacimento della vetusta cinta muraria iniziarono nel 1635. Questo clima di tensione, oltre che la continua richiesta di tasse produssero una depressione economica, accentuata dalla famosa peste del 1630, portata in città dal passaggio dei Lanzichenecchi. Il Lazzaretto fu allestito fuori Porta Cremonese. Alla fine dell’epidemia, il bilancio non è chiaro: le vittime variano da 127 a 500, su una popolazione totale di circa 10.200 persone; a Lodi dunque, la peste avrebbe avuto conseguenze meno disastrose che da altre parti.
L’economia in questa epoca è tipicamente agricola e i prodotti principali sono costituiti dal latte, i formaggi e le carni; si produceva inoltre il lino e la ceramica. Dal punto di vista artistico fu rifinito il campanile del Duomo e costruito il portico di piazza Mercato; la facciata del municipio fu sistemata, con l’aggiunta delle iscrizioni dedicate a Pompeo Strabone e al Barbarossa. Nel 1679 vide la luce il primo teatro, con due ordini di palchi e il loggione, anche se rimase riservato ai nobili. La vita culturale si svolge nelle accademie, che hanno visto operare un poeta come Francesco De Lemene e il padre della storiografia lodigiana, Defendente Lodi. Nel 1622 la Congregazione dell’Oratorio, detta dei Filippini, pose le basi per la raccolta che formerà la futura biblioteca civica.
Questo secolo fu segnato da una serie di festeggiamenti molto sontuosi, che paiono fare a pugni con il periodo di ristrettezza economica; in particolare si ricordano i festeggiamenti per il passaggio dell’arciduchessa Margherita d’Austria nel 1598 che andava a sposarsi con Filippo III; quelli per la nascita di un principe (il 4 maggio 1605 fu inscenata la presa di un castello di legno, costruito apposta in piazza maggiore); la festa per l’elezione di Ferdinando III a Re dei Romani; le feste per i passaggi dell’arciduchessa Maria Anna d’Austria (1649) e della duchessa di Savoia (1651), ed infine per le nozze del re si organizzò una grande festa in maschera, cui partecipò anche il governatore spagnolo.

 

Il periodo austriaco
La guerra di successione spagnola determinò il passaggio alla dominazione austriaca, sancita in particolare dai trattati di Utrecht (1713) e di Rastatt (1714). Nel 1721 fu smantellato il corpo di guardia di legno usato dagli spagnoli in piazza Maggiore, e nel 1724, a capo del ponte, fu collocata una statua di San Giovanni Nepomuceno, un santo “guardaponti”, molto caro ai soldati tedeschi.
La chiesa di San Filippo fu costruita durante la dominazione austriaca

 

Nella prima metà del XVIII secolo, il regime austriaco non fu molto apprezzato dalla popolazione, ma soprattutto con il governo di Maria Teresa d’Austria (17401780), arrivarono le riforme che segnarono l’avvio della ripresa economica, specie grazie alla moltiplicazione e alla riorganizzazione razionale dei terreni coltivabili nel circondario; fu inoltre introdotta la coltivazione del riso. Altre riforme riguardarono la polizia cimiteriale (furono vietate le sepolture nelle chiese e sui sagrati) l’organizzazione delle amministrazioni locali, con l’abolizione dei feudi da parte di Giuseppe II che istituì otto province (16 novembre 1786) governate da funzionari statali, tra cui quella di Lodi, che andava a sostituire l’antico Contado, comprendendo anche la Gera d’Adda.
Pianta della città di Lodi nel 1753

 

Nel corso del secolo ci fu un forte sviluppo edilizio che trasformò il volto della città nel segno dell’architettura tardo-barocca: sorsero le nuove chiese di Santa Maria del Sole (1715), Santa Maria Maddalena (1743), San Filippo Neri (1750) e la cappella diSanta Chiara Nuova; furono inoltre ristrutturati l’interno del Duomo e i conventi di Santa Chiara Vecchia e delle benedettine. Per quanto riguarda l’edilizia privata, sorsero il palazzo Barnipalazzo Modignani e il palazzo vescovile. Nel 1778 fu rifatta la loggia del palazzo comunale, fu ampliato l’Ospedale Maggiore e fu costruito un nuovo teatro, dopo l’incendio del precedente. Dal 1784 iniziò lo smantellamento della cerchia bastionata, con la costruzione di nuove porte monumentali in stile neoclassico.
Il Secolo dei Lumi si fece sentire anche a Lodi: i Barnabiti seguivano lo sviluppo del sapere nelle scuole superiori di San Giovanni alle Vigne, e nel 1776 si aprirono i primi corsi elementari pubblici. Nel 1784 saliva in cielo la prima mongolfiera e l’8 novembre 1792 fu aperta al pubblico la ricca biblioteca dei Filippini. Intanto si stava formando la prima raccolta di lapidi romane che avrebbe formato la sezione archeologica del Museo Civico.

 

Il ventennio napoleonico
Nel 1792 l’impero austriaco entrò di nuovo in guerra con la Francia. Nel 1796 il Direttorio decide di portare la guerra in Italia, per alleggerire lo sforzo sul fronte tedesco. Nelmarzo, il giovane Napoleone Bonaparte assume il comando dell’armata d’Italia; dopo aver sconfitto in sole tre settimane il re di Sardegna, prosegue la sua marcia a sud del Po, attraversandolo presso Piacenza il 7 maggio.

 

La battaglia del ponte di Lodi

La battaglia del ponte di Lodi del 10 maggio 1796 fu il primo scontro decisivo della campagna d’Italia.
Quando l’armata napoleonica – proveniente da Casalpusterlengo – raggiunse Lodi, il grosso dell’esercito austriaco (comandato dal generale Beaulieu) era già arroccato nelle fortificazioni situate sulla riva sinistra dell’Adda, protetto da 10.000 uomini a guardia del ponte. Dopo un duello di artiglierie, Napoleone inviò un contingente alla ricerca di un guado; la manovra di aggiramento riuscì e fu determinante per la vittoria dei francesi.
La battaglia rappresentò il primo grande successo di Napoleone: l’importanza di tale evento giustifica la presenza in molte città, francesi e non solo, di strade e piazze dedicate al ponte di Lodi (per esempio nel VI arrondissement di Parigi, si trova la “Rue du Pont de Lodi”).

 

Colti alla sprovvista, gli austriaci, guidati dal generale Beaulieu, ripiegarono su Lodi, attestandosi al di là dell’Adda. Il 10 maggio 1796, le avanguardie francesi entrarono in città scontrandosi coi nemici nella famosabattaglia del ponte di Lodi. La chiese di San Rocco, San Cristoforo e San Domenico furono trasformate inospedali e tutta la città subì danni notevoli. Il 12 maggioCristoforo Saliceti, commissario del Direttorio, sequestrò il Tesoro di San Bassiano.
Questa vittoria fu comunque importantissima per la carriera di Napoleone che il 15 maggio entrò trionfante in Milano.
Già dal 1789 era presente a Lodi un club giacobino segreto, che si riuniva presso l’Osteria del Gallo per iniziativa di Andrea Terzi. Con l’arrivo dei francesi, ci furono grandi festeggiamenti, ovunque si piantaronoalberi della libertà (persino nel Seminario) e spuntarono coccarde bianche, rosse e blu.
Il 9 luglio 1797 viene proclamata la Repubblica Cisalpina, ed inizia la distruzione degli stemmi gentilizi e la soppressione degli enti religiosi di Sant’Agnese, San Cristoforo, San Domenico e Sant’Antonio. Dopo una brevissima parentesi in cui gli austro-russi occuparono Lodi (28 aprile 1799), il 9 novembre, divenuto console con un colpo di stato, Napoleone rioccupa la Lombardia, rientrando a Lodi nel giugno 1800. Il Dipartimento dell’Adda viene inglobato con quello dell’Alto Po, con capoluogo a Cremona; Lodi rimane capoluogo di un distretto, suddiviso a sua volta in sei cantoni. Il 13 maggio 1809 fu collocato nella piazza Maggiore un monumento a ricordo della battaglia del ponte.
L’emblema del ducato di Lodi

Dopo l’incoronazione di Napoleone ad imperatore dei francesi, l’Italia divenne un regno (19 marzo 1805), con a capo Napoleone stesso. Il conte Francesco Melzi d’Eril venne nominato duca di Lodi, mentre il vescovo Gianantonio Della Berettaricevette il titolo di barone del regno il 28 marzo 1811.

Dal 1806 al 1816 furono aggregati alla città di Lodi i tre chiosi (Porta Cremonese,Porta d’AddaPorta Regale), e i comuni limitrofi di ArcagnaBoffaloraBottedo,CampolungoCorneglianoMontanasoTorre de’ Dardanoni e Vigadore.

 

Il Lombardo-Veneto
Il dominio francese terminò con la disfatta di Lipsia del 1813: il 26 aprile 1814 gli austriaci tornarono a Milano e tre mesi dopo la folla fa a pezzi il monumento napoleonico in piazza Maggiore; il 7 aprile 1815, in base alle decisioni del Congresso di Vienna, si costituisce ufficialmente il Regno Lombardo-Veneto. Dopo due settimane, Lodi ottiene il titolo di Città Regia.
Il territorio della provincia di Lodi e Cremanell’ambito del Regno Lombardo-Veneto(18161859)

 

Il 24 gennaio 1816 vengono istituite le province del Regno; Lodi diviene capoluogo, insieme con Crema[30], della provincia di Lodi e Crema.
Durante questi anni di restaurazione Lodi si sviluppa soprattutto sotto due fronti: dal punto di vista culturale nascono tre testate giornalistiche, si apre il liceo comunale (ottobre 1821), che annovera tra i concorrenti a cattedre Giacomo Leopardie numerose istituzioni culturali come il collegio Cosway (1830) e quello dei barnabiti (1832), il cui ritorno fu permesso dal vescovo Alessandro Maria Pagani; dal punto di vista urbanistico, nel 1819 viene introdotta l’illuminazione ad olio, nel 1835 la piazza Maggiore viene pavimentata con ciottoli ed in occasione della visita dell’imperatore Ferdinando I (17 settembre1838) vengono smantellate le fortificazioni di porta Regale e porta Cremonese; al loro posto fu aperto un passeggio alberato, con un obelisco recante epigrafi latine.
moti insurrezionali del 1821 e del 1831 passarono inavvertiti, negli anni 40 però la situazione cambiò; l’ambiente politicamente più attivo era il Liceo comunale dove, soprattutto tra il corpo docente, c’è un gruppo fortemente anti-austriaco, guidato dall’abate Luigi Anelli, docente di filosofia che nutre sentimenti repubblicani, esprimendoli in una introduzione a Demostene; anche Paolo Gorini esprime le sue idee nazionali durante le lezioni di fisica e nel 1847 si iscrive il bresciano Tito Speri. Si trattava comunque di piccole minoranze, tant’è che durante le cinque giornate di Milano, solo pochissimi accorsero per partecipare ai combattimenti.
Il 23 marzo 1848 tuttavia, alla notizia della vittoria milanese, scoppia un tumulto, subito sedato. Il giorno seguente le truppe di Radetzky in ritirata, passano per la città. Iliberali possono così uscire allo scoperto, costituendo un governo provvisorio. Il 30 marzo arrivano i piemontesi; da Lodi partono volontari 31 giovani (tra cui un diciottenne Tiziano Zalli) guidati da Eusebio Oehl, per arruolarsi nel “Battaglione Studenti”. Ne moriranno 9 in battaglia.
Il maresciallo Radetzky

Nell’estate le sorti della guerra volsero a favore degli austriaci del maresciallo Radetzky, che rioccupò Lodi il 3 agosto: l’abate Luigi Anelli e Cesare Vignati (che nel marzo aveva emesso un proclama a favore della libertà) furono licenziati dal liceo; il medico Francesco Rossetti, reo di cospirazione mazziniana, fu arrestato il 16 ottobre 1852. Furono anni di rappresaglie in cui si viveva un clima di “caccia all’uomo”; tuttavia, il 1º luglio 1859 il vescovo Gaetano Benaglia, disponibile alle novità e sensibile alle esigenze del nuovo ceto operaio, prese posizione a favore del regime sabaudo. All’inizio dello stesso anno, 34 volontari partirono per arruolarsi con Garibaldi, anche se furono poi dirottati nell’esercito regolare; 15 di loro moriranno in battaglia.
Dopo le sconfitte di Magenta (4 giugno 1859) e di Melegnano (8 giugno), gli austriaci lasciarono Lodi, dopo aver bruciato il ponte il 10 giugno. Il 20 settembre il re Vittorio Emanuele II visita la città, ma solo un mese dopo viene promulgato il Decreto Rattazzi, che abolisce la provincia di Lodi e Crema, smembrata fra quelle di Milano e Cremona. Lodi viene assegnata alla provincia di Milano ed è ridotta a capoluogo dell’omonimo circondario.
La pace di Zurigo (10 novembre 1859) sancì ufficialmente il passaggio della Lombardia al regno di Sardegna, tramite la Francia.
Il 5 maggio 1860 due lodigiani (Luigi Martignoni e Luigi Bay) partirono da Quarto con la spedizione dei Mille; contando quelli che si aggiunsero in seguito, in vari scaglioni, in totale furono 234 i giovani che vi parteciparono, distinguendosi soprattutto nell’attacco a Milazzo e negli scontri di Pizzo Calabro.
Rientrato a metà dicembre l’ultimo scaglione di volontari, la vita in città tornò alla normalità. Il 17 marzo 1861 il parlamento proclamò il regno d’Italia con la partecipazione del deputato del collegio di Lodi. Un anno dopo Giuseppe Garibaldi inaugurò la sezione lodigiana del tiro a segno nazionale.

 

Il Regno d’Italia
Il ponte sull’Adda percorso da un convoglio tranviario a vapore

 

Alla fine del XIX secolo, Lodi era ancora racchiusa entro le antiche mura medievali. Negli anni successivi alla nascita delRegno d’Italia, la città si trasformò rapidamente, diventando un centro all’avanguardia in diversi settori. Si insediarono le prime industrie (tra cui il Lanificio Varesi-Lombardo nel 1868 e la Polenghi Lombardo nel 1870); inoltre, allo scopo di sostenere le attività agricole e artigianali, nel 1864 fu fondata la Banca Mutua Popolare Agricola (la prima banca popolare italiana) ad opera di Tiziano Zalli, attivista e convinto sostenitore di Giuseppe Garibaldi. La città fu anche toccata dallo sviluppo infrastrutturale dei primi decenni postunitari: nel 1861 fu inaugurata la linea ferroviaria Milano – Piacenza, divenuta in seguito parte del grande itinerario dorsale italiano; nel 1864 fu costruito il nuovo ponte sull’Adda, in muratura.
Tuttavia dal punto di vista sociale furono anni di stasi demografica, causata dalla perdita del ruolo di capoluogo, ma anche dal declino dell’economia agricola.
Una della principali conseguenze dello sviluppo industriale della città fu la presa di coscienza da parte della classe lavoratrice: negli ultimi decenni del secolo ebbero luogo numerosi scioperi e nacquero le prime “leghe rosse” organizzate che lottavano per difendere i diritti elementari dei lavoratori. Nel 1868 Enrico Bignami fondò La Plebe, il primo giornale socialista italiano, l’unico a pubblicare gli scritti di Marx ed Engels; nel 1873 la sezione socialista di Lodi era l’unica attiva in Italia ed inviò i propri delegati al VI congresso dell’Internazionale di GinevraDue anni più tardi, La Plebe inaugurò la propria redazione milanese, che vide il debutto giornalistico di Filippo Turati.
Il teatro “Franchino Gaffurio” in viale IV Novembre

Parallelamente al movimento socialista si affermò anche il movimento sociale cattolico che aveva come organo di stampa Il Lemene, poi diventato Il Cittadino. In questo periodo Lodi era particolarmente attiva dal punto di vista culturale: oltre a quelli già citati, erano presenti numerosi altri giornali, tra cui Il Corriere dell’Adda, Il Proletario, Il Fanfulla, La Zanzara, Rococò, Sorgete! e Il Rinnovamento; inoltre i teatri cittadini passarono da uno a quattro e nel 1869 venne inaugurato il Museo civico.
Durante le operazioni belliche coloniali si distinse particolarmente il 15º Reggimento Cavalleria, ribattezzato “Cavalleggeri di Lodi” poiché era di stanza in città. Le imprese del Reggimento “Lodi” vennero esaltate anche da Gabriele D’Annunzionel quarto libro delle “Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi“.
Tuttavia fu vissuta molto più tragicamente la prima guerra mondiale, a causa della quale morirono 331 lodigiani e moltissimi altri rimasero mutilati o feriti. Durante la “grande guerra” aumentò anche la coscienza del proprio ruolo da parte delle donne, che iniziarono a sostituire i loro mariti nelle fabbriche. La poetessa lodigiana Ada Negri, figlia di un’operaia del lanificio, fu una delle maggiori sostenitrici della causa femminista con le sue liriche di protesta.

 

Il primo dopoguerra
L’istituto tecnico commerciale “Agostino Bassi“, costruito nel 1938, è un tipico esempio delRazionalismo italiano

 

Dopo il conflitto i principali partiti della scena politica lodigiana diventarono i cattolici (Riccardo Oliva fu eletto nel 1914 primo sindaco cattolico di Lodi) e i socialisti (lo scultore Ettore Archinti divenne sindaco nel 1920). Tuttavia l’incapacità di collaborare fra questi partiti, finì per favorire il ritorno dei borghesi, che nel frattempo si erano coalizzati con il nascentepartito fascista. In seguito alla marcia su Roma, l’amministrazione socialista venne sciolta e l’unica alternativa al regime fu rappresentata dall’Azione cattolica.
Durante il periodo fascista, Lodi perse importanza a livello istituzionale: il sindaco venne sostituito dal podestà, e nel 1927 fu abolito il circondario (analogamente a tutti i circondari italiani). Attorno agli anni trenta si diffuse l’architettura razionalistae vennero costruiti diversi edifici e strutture pubbliche, come il palazzo delle poste, il padiglione pediatrico dell’ospedale, l’acquedotto, il sottopassaggio alla ferrovia, l’istituto fanciullezza, l’istituto tecnico e altre scuole; di contro però furono distrutti l’antico palazzo municipale, il mercato coperto, il teatro Verdi e gran parte della cerchia muraria.
Mussolini visitò la città due volte (4 ottobre 1924 e 5 ottobre 1934) ed in generale il fascismo venne subito con rassegnazione dai lodigiani.

 

La seconda guerra mondiale e la Resistenza
Il secondo conflitto mondiale coinvolse a fondo la popolazione, colpita questa volta anche dai bombardamenti che causarono numerose vittime civili. Dopo l’armistizionacquero i primi movimenti di resistenza: il Comitato di Liberazione Nazionale si costituì nell’ottobre 1943 con una maggioranza democristiana ed un ben organizzatogruppo comunista. Erano presenti anche i socialisti e i rappresentanti di tutti i partiti laici.
Le prime agitazioni scoppiarono nel gennaio 1944 presso le Officine Adda, seguite il 9 luglio da un attentato mortale al gerarca fascista Paolo Baciocchi, commissario prefettizio di Sant’Angelo. La rappresaglia si fece sentire: il 22 agosto 1944 presso il poligono di tiro a segno vennero fucilati cinque partigiani lodigiani; nello stesso luogo il 31 dicembre fu la volta di altri cinque. Queste, in seguito ricordate come “martiri del poligono”, non furono le uniche vittime della Resistenza lodigiana. Lo stesso ex sindaco Ettore Archinti morì il 17 novembre 1944 nel Campo di concentramento di Flossenbürg, in Germania.
Nel 1945 il CLN locale, guidato dal democristiano Giuseppe Arcaini, passa al contrattacco occupando una serie di edifici pubblici, caserme e punti strategici. Il 27 apriletedeschi lasciarono la città e quando gli alleati giunsero da Crema e da Piacenza la trovarono totalmente libera. Nel maggio dello stesso anno si instaura un’amministrazione provvisoria con rappresentanti di tutte le forze politiche del CLN: il sindaco era il socialista Mario Agnelli, vicesindaci il comunista Edgardo Alboni e il democristiano Alfredo Brusoni.
Il bilancio finale dei lodigiani caduti per la libertà è di 55 uomini morti in battaglia e 12 martiri dei lager nazisti.

 

DATI  STATISTICI

 

Superficie  782,23 kmq Istat 2003

Densità demografica 267,34 ab/kmq
Popolazione residente/Superficie Valore calcolato 2004

Superficie agricola 560,81 kmq
Censimento dell’Agricoltura Istat 2000

Superficie urbana 70,83 kmq

Min. Interno 2002

Lunghezza strade interne 564 km

Min. Interno 2002

Lunghezza strade esterne 766 km

Min. Interno 2002

Superficie agricola 560,81kmq Censimento dell’Agricoltura Istat 2000
Aziende agricole 1.786 Aziende agricole – dal censimento dell’agricoltura Istat 2000

 

Pace di Lodi

La Pace di Lodi, firmata nella città lombarda il 9 aprile 1454 . La rilevanza storica del trattato risiede nell’aver garantito all’Italia quarant’anni di pace stabile il controllo del Bresciano, non mise fine agli scontri fra i due ducati che proseguirono fino al 1454.
Il trattato Venezia e Milano conclusero una pace definitiva il 9 aprile 1454 presso la residenza di Francesco Sforza a Lodi (prima fra tutti Firenze, passata da tempo dalla parte di Milano) Il Nord Italia risultava in pratica spartito fra i due Stati nemici, nonostante persistessero alcune altre potenze (i Savoia, la Repubblica di Genova, i Gonzaga e gli Estensi) In particolare, stabilì la successione di Francesco Sforza al Ducato di Milano, lo spostamento della frontiera tra i suddetti stati sul fiume Adda, l’apposizione di segnali confinari lungo l’intera demarcazione (alcune croci scolpite su roccia sono e l’inizio di un’alleanza che culminò nell’adesione – in tempi diversi – alla Lega Italica.

 

La rilevanza storica della pace
L’importanza della Pace di Lodi consiste nell’aver dato alla penisola un nuovo assetto politico-istituzionale che – limitando le ambizioni particolari dei vari Stati – assicurò per quarant’anni un sostanziale equilibrio territoriale[2][3]e favorì di conseguenza lo sviluppo del Rinascimento italiano[4].

 

A farsi garante di tale equilibrio politico sarà poi – nella seconda parte del Quattrocento – Lorenzo il Magnifico, attuando la sua famosa politica dell’equilibrio.

 

Dipartimento dell’Adda (1797)

 

Il dipartimento dell’Adda fu uno dei dipartimenti italiani creati in età napoleonica su modello di quelli francesi, esistito brevemente dal 1797 al 1798.
Aveva come capoluoghi (a turno biennale) le città di Crema e Lodi. Storia Il dipartimento dell’Adda fu creato l’8 luglio 1797, come suddivisione amministrativa della neonata Repubblica Cisalpina Fu creato unendo la vecchia provincia di Lodi, appartenuta alla Lombardia austriaca, con il Territorio Cremasco, appartenuto alla Repubblica di Venezia e gestito per un breve periodo come uno stato autonomo (la Repubblica Cremasca); al dipartimento furono assegnate anche la zona di Melzo , da sempre milanese, e la Gera d’Adda (con Treviglio e Caravaggio), da sempre contesa fra Milano, Bergamo e Cremona, ed appartenuta alla provincia di Lodi solo fra il 1786 e il 1791 Il dipartimento dell’Adda esistette per poco più di un anno: il 1º settembre 1798 il dipartimento fu soppresso, e la maggior parte dei comuni (fra cui i due capoluoghi) assegnati al dipartimento dell’Alto Po (con capoluogo Cremona). Altri comuni furono assegnati ai dipartimenti d’Olona (con capoluogo Milano) e del Serio (con capoluogo Bergamo).

 

Provincia di Lodi e Crema
La provincia di Lodi e Crema era una provincia del Regno Lombardo-Veneto, esistita dal 1816 al 1859. Legalmente, entrambe le città di Lodi e Crema avevano il titolo di capoluogo.
Di fatto, tutti gli uffici erano dislocati a Lodi, mentre il titolo di capoluogo attribuito a Crema era soltanto onorifico Storia La provincia fu creata nel 1816 all’atto della costituzione del Regno Lombardo-Veneto, e venne ottenuta dallo smembramento del dipartimento dell’Alto Po di epoca napoleonica (che aveva come capoluogo Cremona) La provincia comprendeva la vecchia provincia di Lodi (appartenuta alla Lombardia austriaca) e il territorio cremasco (appartenuto alla Repubblica di Venezia) Si ripeteva così l’unione fra i territori Lodigiano e Cremasco, già sperimentata nell’effimero dipartimento dell’Adda nel 1797-98 Suddivisione amministrativa all’atto dell’istituzione (1816).

 

Storia di Lodi
La storia di Lodi trae le sue origini dalla distruzione del municipium romano di Laus Pompeia (così chiamato in onore del console romano Gneo Pompeo Strabone), fondato dai Celti Boi in un territorio abitato fin dal neolitico dai primi agricoltori nomadi.

 

La città fu rifondata per volere dell’imperatore Federico Barbarossa il 3 agosto 1158 e conobbe un periodo di grande splendore, soprattutto nella seconda metà del XV secolo In seguito subì per secoli le occupazioni straniere . Laus Pompeia Le origini L’antica Laus Pompeia si trovava in una posizione strategica in corrispondenza dell’odierna Lodi Vecchio, a circa 7 km dal luogo in cui sorge la città attuale; il borgo era situato sulla confluenza delle strade che da Placentia (Piacenza) e da Acerrae (Pizzighettone) portavano a Mediolanum (Milano), e nel punto di incrocio con la strada che da Ticinum (Pavia) proseguiva fino a Brixia (Brescia).

 

Le Origini
L’antica Laus Pompeia si trovava in corrispondenza dell’odierna Lodi Vecchio, a circa 7 km dal luogo in cui sorge la città attuale; il borgo era situato sulla confluenza delle strade che da Placentia (Piacenza) e da Acerrae (Pizzighettone) conducevano a Mediolanum (Milano), e nel punto di incrocio con la strada che da Ticinum(Pavia) proseguiva fino a Brixia (Brescia).

 

Plinio il Vecchio afferma che fu fondata dai Celti Boi[10], sebbene storicamente quel territorio fu sempre occupato dagli Insubri. In ogni caso non ci è stato tramandato il toponimo gallico dell’antico borgo. I romani vi giunsero tra il 223 a.C. e il 222 a.C., anni in cui i consoli (Publio Furio Filo e Gaio Flaminio Nepote prima, Marco Claudio Marcello e Gneo Cornelio Scipione poi) attaccarono e sconfissero gli Insubri[11]. Questa prima occupazione durò poco in quanto gli Insubri, approfittando della discesa di Annibale, si ripresero la loro indipendenza e la mantennero per un paio di decenni. Solo nel 195 a.C. la resistenza degli Insubri fu definitivamente estirpata; da allora fino al 49 a.C., Laus fece parte della provincia della Gallia Cisalpina.
Nell’89 a.C. il borgo assunse finalmente il nome di Laus Pompeia in onore del console romano Gneo Pompeo Strabone, che proprio quell’anno aveva concesso il diritto latino agli abitanti delle comunità in Transpadana. Questo provocò una trasformazione radicale non solo sotto il profilo giuridico dei cittadini, ma anche e soprattutto sotto quello culturale (il latino divenne lingua ufficiale) e urbanistico (l’abitato venne riedificato in forma rettangolare).
La Basilica dei Dodici Apostoli nei pressi dell’antica Laus Pompeia

 

Nel 49 a.C., Laus divenne municipio di cittadini romani, e iniziò ad essere retta da un quattuorvirato. Da allora smise di far parte della Gallia Cisalpina.
Tra l’agosto del 14 d.C. e il luglio del 23 d.C. fu collocata su una porta di Laus l’epigrafe: «Tiberio Cesare Augusto, figlio di Augusto, e Druso Cesare, figlio di Augusto, fecero costruire questa porta»[12]. Evidentemente quindi doveva esistere una cinta muraria.
Il culto più praticato sul territorio era quello di Ercole, che nella tarda romanità assunse il valore di simbolo del potere dello stato e quello della civiltà che sconfigge la barbarie. In realtà, questa grande diffusione fu verosimilmente dovuta all’identificazione con un precedente dio celtico: Ogmios[13]. Il tempio di Ercole sorgeva fuori città, sulla riva destra dell’Adda, dove oggi, a Lodi Nuova, si trova la chiesa della Maddalena. Come in ogni altro luogo dell’impero romano, era vivissimo il culto dei defunti.

 

La battaglia del ponte di Lodi
La battaglia del ponte di Lodi del 10 maggio 1796 fu il primo scontro decisivo della campagna d’Italia.
Quando l’armata napoleonica – proveniente daCasalpusterlengo – raggiunse Lodi, il grosso dell’esercito austriaco (comandato dal generale Beaulieu) era già arroccato nelle fortificazioni situate sulla riva sinistra dell’Adda, protetto da 10.000 uomini a guardia del ponte. Dopo un duello di artiglierie, Napoleone inviò un contingente alla ricerca di un guado; la manovra di aggiramento riuscì e fu determinante per la vittoria dei francesi.
La battaglia rappresentò il primo grande successo di Napoleone: l’importanza di tale evento giustifica la presenza in molte città, francesi e non solo, di strade e piazze dedicate al ponte di Lodi (per esempio nel VI arrondissement di Parigi, si trova la “Rue du Pont de Lodi”[5]

 

Provincia di Lodi (Lombardia austriaca)

 

La provincia di Lodi era una provincia della Lombardia austriaca, esistita dal 1786 al 1797. Capoluogo era la città di Lodi.
Storia La provincia fu creata nel 1786 all’atto della suddivisione della Lombardia austriaca in 8 province , create nel clima delle riforme giuseppine La provincia comprendeva il territorio conosciuto dall’epoca medievale come “Contado di Lodi”, a sua volta corrispondente al territorio diocesano Ad esso era stata aggregata la Gera d’Adda, storicamente contesa fra Bergamo, Cremona e Milano Suddivisione amministrativa all’atto dell’istituzione (1786) La provincia era suddivisa in 24 delegazioni, corrispondenti ai 4 vescovati in cui era diviso il vecchio Contado, più 2 ulteriori delegazioni, in cui era divisa la Gera d’Adda.

 

Contado di Lodi

 

Il contado di Lodi è la forma in cui era organizzato il territorio lodigiano, dal medioevo fino a metà del XVIII secolo. Storia Predecessore del Contado in età romana fu l’ager laudensis, il territorio rurale sottoposto al municipium di Laus Pompeia, e delimitato fisicamente dai fiumi Adda (ad est), Po (a sud), Lambro (ad ovest) e Addetta (a nord). L’organizzazione del contado di Lodi fu per secoli mutevole; Il Contado stesso appartenne nella sua storia a molti Stati diversi, e in età comunale (X-XIV secolo) fu de facto indipendente, pur nella nominale autorità del Sacro Romano Impero.
Fu quindi definitivamente assoggettato al Ducato di Milano (1335).

 

Il vero fattore di coesione del Contado attraverso i secoli fu tuttavia la Diocesi, istituita nel IV secolo ed esistita senza interruzioni né variazioni territoriali. In alcuni periodi, i Vescovi di Lodi si fregiarono del titolo di vescovo-conte, a rimarcare lo stretto legame fra potere politico e potere religioso.
Almeno dall’età spagnola (XVII secolo), il contado di Lodi era suddiviso in 4 regioni dette Vescovati (Vescovato di sopra, con capoluogo Lodi; Vescovato di mezzo, con capoluogo Borghetto; Vescovato inferiore di strada piacentina, con capoluogo Casalpusterlengo; Vescovato inferiore di strada cremonese, con capoluogo Codogno).
Tale suddivisione perse valore dal 1757, quando con la riorganizzazione teresiana della Lombardia austriaca, il contado di Lodi ne divenne una provincia e fu suddiviso in 24 delegazioni.

 

Circondario di Lodi

 

Il circondario di Lodi era uno dei cinque circondari in cui era suddivisa la provincia di Milano, esistito dal 1859 al 1927. Storia In seguito all’annessione della Lombardia dal Regno Lombardo-Veneto al Regno di Sardegna (1859), fu emanato il decreto Rattazzi, che riorganizzava la struttura amministrativa del Regno, suddiviso in province, a loro volta suddivise in circondari e mandamenti.
Il circondario di Lodi fu creato come suddivisione della provincia di Milano, e si estendeva su gran parte della soppressa provincia di Lodi e Crema (era escluso il Cremasco con alcuni comuni della Gera d’Adda , assegnato alla provincia di Cremona e andato a costituire il circondario di Crema) Con l’Unità d’Italia (1861) la suddivisione in province e circondari fu estesa all’intera Penisola, lasciando invariate le suddivisioni stabilite dal decreto Rattazzi Il circondario di Lodi fu abolito, come tutti i circondari italiani, nel 1927, nell’ambito della riorganizzazione della struttura statale voluta dal regime fascista. Tutti i 73 comuni che lo componevano rimasero in provincia di Milano.
L’attuale provincia di Lodi, istituita nel 1992, comprende quasi tutti i comuni che furono del circondario di Lodi, esclusi alcuni rimasti in provincia di Milano[2], e Cantonale, aggregata nel 1936 al comune di Chignolo Po in provincia di Pavia.

 

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Festa di San Bassiano

 

Patrono della Città e della Diocesi di Lodi

 

E’ risalente alla fine del IV secolo lo sviluppo di una tradizione cristiana di notevole presa popolare nel territorio lodigiano, soprattutto grazie all’azione del Vescovo Bassiano (Siracusa, 319 – Laus Pompeia, 8 febbraio 409) che combatté l’eresia ariana e che divenne dopo la sua morte il Santo Patrono della Diocesi e della Città di Lodi: il giorno a lui dedicato nel Martirologio romano è il 19 gennaio.

 

I dati cronologici assolutamente certi su san Bassiano sono quasi tutti basati sulla sua iscrizione sepolcrale:
“Governò la sua Chiesa per 35 anni e 20 giorni. A 90 anni di età , lasciando alla terra il suo corpo nella gioia salì al cielo quando erano consoli gli augusti Onorio per l’ottava volta e Teodosio per la terza” Secondo l’agiografia “Vita Sancti Bassiani” del vescovo di Lodi Andrea (circa dal 971 al 1002) san Bassiano nacque a Siracusa da un alto magistrato pagano che lo inviò a Roma per completare gli studi ed avviare la carriera. A Roma si fece cristiano e, per sfuggire al padre, si spostò a Ravenna. Dal 374 al 409 fu vescovo della città di Laus Pompeia (oggi Lodi Vecchio): è ricordato per essere stato il primo vescovo di Lodi. La città registrava già da tempo la presenza di una fiorente comunità cristiana, come dimostra la circostanza che le autorità imperiali, ai tempi delle persecuzioni di Diocleziano e Massimiano Erculeo, scelsero di decapitare i martiri Felice, Nabore e Vittore, legionari africani, proprio fuori Lodi Vecchio, il 12 luglio 303, allo scopo di terrorizzare la numerosa collettività cristiana. La scelta di consacrare il primo vescovo di Laus Pompeia è probabilmente frutto della resistenza cattolica ad Aussenzio, vescovo ariano di Milano, condannato come eretico nel II Concilio Romano del 372.

 

Nel 381, al concilio di Aquileia, Bassiano partecipò alla condanna del vescovo ariano Palladio di Ratiaria (l’odierna Archar, lungo il Danubio, oggi in Bulgaria).

 

Nel 387 inaugurò fuori dalle mura la prima basilica di Lodi, dedicata ai dodici apostoli: essa venne consacrata da Ambrogio, vescovo di Milano, e dal suo coadiutore Felice, dal 386 primo vescovo di Como. L’edificio sopravvisse alla distruzione dei milanesi nel 1158 al tempo delle guerre contro il Barbarossa.

 

Nel 390 partecipò al sinodo milanese indetto da Ambrogio per controbattere alla predicazione dell’eretico Gioviniano (già confutato da Sofronio Eusebio Girolamo). Firmò, insieme ad Ambrogio, la lettera sinodale (conservata) al papa Siricio (sul seggio papale dal 384 al 399).

 

Nel 397 (come riferisce Paolino di Milano, biografo di Ambrogio), assistette ai funerali del grande vescovo nel momento della sua morte.
Fu sepolto nella basilica da lui fondata.

 

Nel 1158, quando i milanesi distrussero Lodi, le sue reliquie furono traslate a Milano, dove rimasero fino al 1163 quando il Barbarossa, dopo che il 10 marzo 1162 aveva costretto Milano alla resa e l’aveva distrutta a sua volta, le riportò in Lodi della quale aveva nel frattempo autorizzato la ricostruzione. La processione solenne era guidata dall’antipapa Vittore IV, dallo stesso Imperatore, alla presenza del patriarca di Aquileia e dell’abate di Cluny. Le reliquie sono custodite ancora oggi nella cripta della cattedrale di Lodi.

 

In occasione del XVI centenario della morte del santo, il 19 gennaio 2009, il cardinale Angelo Bagnasco ha presieduto una celebrazione eucaristica in Cattedrale a Lodi, concelebrata dal vescovo lodigiano Giuseppe Merisi, da Rino Fisichella e da Bassano Staffieri. Nella stessa occasione è stata indetta la peregrinatio delle reliquie di san Bassiano in tutte le parrocchie della diocesi di Lodi.

 

Ogni anno, in occasione della festività a lui dedicata, si svolge la celebrazione della messa solenne pontificale nella cattedrale, durante la quale vengono simbolicamente offerti da parte di figuranti in costume d’epoca i ceri e “i doni della terra e del fiume”, cioè alcuni prodotti tipici del territorio lodigiano.
Al termine della cerimonia sotto i portici del Palazzo Broletto (sede del Comune) viene distribuita a cura della Pro Loco la tradizionale trippa, detta buseca de San Basàn, mentre nel pomeriggio, ad opera dell’Associazione Nazionale Alpini – Sezione di Lodi, ha luogo la distribuzione gratuita di vin brulè (vino caldo speziato), thè caldo, cioccolata, raspadura (grana servito a scaglie finissime “raschiate” da una forma di Granone Lodigiano) e tortionata (torta tipica di Lodi fatta con burro, farina, mandorle, zucchero e uova).

 

Nel pomeriggio si svolge la consegna delle Benemerenze civiche da parte dell’Amministrazione comunale: i nominativi delle persone e delle associazioni che vengono insignite delle benemerenze sono ufficializzati dalla Giunta municipale con una apposita delibera, tenendo conto anche delle segnalazioni trasmesse direttamente dalla cittadinanza, sia da parte di singoli che di gruppi di sostegno alle varie candidature.

La Familia Ludesana, una associazione che affonda le sue radici nella storia di Lodi e che da sempre opera per la difesa delle caratteristiche della lodigianità , consegna infine il “Fanfullino d’Oro della riconoscenza”, riservato ai lodigiani che hanno reso onore al nome della città in Italia e nel mondo.

Nei giorni della festività patronale si tiene inoltre un’antica fiera nel quadrilatero di Piazza della Vittoria

 

 

Curiosità dal Lodigiano

I Cognomi più diffusi nel Lodigiano Appunti e Curiosità di Lodi  Lodi fu fondata il 3 agosto 1158 da Federico il Barbarossa laddove giaceva il villaggio romano di Laus Pompeia, a sua volta sorto su un accampamento celtico. Il Barbarossa partecipò economicamente alla costruzione della Cattedrale. Da qui l’imperatore Sigismondo e l’antipapa Giovanni XIII convocarono il Concilio di Costanza, che… Continue Reading