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Storia di Zelo Buon Persico

Il nome Zelo deriva dal latino agellum, “piccolo campo”.

In un documento conservato nell’archivio vescovile di Lodi come proprietario nel XII secolo di alcuni terreni di Zelo viene citato un certo Gompertus, da cui deriverebbe il suffisso “Buon Persico”.lagogerundo

Il nome di Zelo Buon Persico deriva dal latino agellum Gomperticum (cioè piccolo podere di Gomperto). Secondo alcuni studiosi, la denominazione agellum sarebbe dovuta alla particolare ubicazione del podere di origine,situato già all’epoca dei romani tra due grandi proprietà: l’agrum Martianum (oggi Marzano) e l’Agrum Mutianum (oggi Muzzano).

Il nome stesso poi, con l’andare degli anni, veniva a corrompersi in Gello, Zello, Zelo. L’attributo Buon Persico gli deriva dalla corruzione dell’antico Gomperticum (anche Gomperti) unito al nome; così da Agellum Gomperti (forse il proprietario) ecco pian piano trasformarsi per pronuncia in Buon Persico.

Zelo Buon Persico: dati aggiornati al 30/9/2009 Abitanti del Comune 6772  Abitanti Capoluogo: 6102   Abitanti Frazioni: 670 Gli Stranieri sono: 601  –   Maschi: 3384  Femmine: 3388   Le famiglie nel Comune sono: 2696

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In un documento conservato nell’archivio vescovile di Lodi, come proprietario nel dodicesimo secolo di alcuni terreni di Zelo viene citato un certo Gompertus.

Anno 836.  Il nome Agello appare, in un documento redatto a Milano, tra le proprietà di uno straniero, di nome Unger, residente a Milano, che dichiara di voler assegnare i suoi beni  a Guzone, affinchè l’usofrutto fosse distribuito ai poveri.

Anno 1112.  Dolcevita ed Enrico, figli di Amizone de Agello, de civitate Lauda, concedono in livello a Ottone e Ambrogio da Cornate alcune terre del vescovado di Lodi, esteso tra Casolate e Galgagnano.

24 marzo 1219.  Da un atto notarile stilato in tale data risulta che i sindaci, i procuratori, i messi e i consoli, insieme ad altra gente sia di Zelo sia di altri paesi limitrofi guidati da Musso, prete della chiesa di Sant’Andrea, vendono al sindaco di Lodi, Gualtiero Dulciano, il castello, trattenendone solo una piccola parte come proprietà del monastero di San Simpliciano, per il prezzo di cento lire. L’atto è stipulato e affrancato dal notaio Anselmo Maroesio, alla presenza di cinque testimoni. Questo documento attesta quindi, da un lato l’importanza del castello di Zelo e dall’altro una certa influenza raggiunta dalla comunità zelasca nei confronti dei paesi dei dintorni.

Anno 1261.  La chiesa di Sant’Andrea di Zelo e il monastero di Santa Maria devono pagare al legato pontificio Guala una somma di tre soldi e mezzo e tre soldi per le spese della guerra contro Manfredi in Sicilia.

Anno 1493.  Gli zelaschi assegnano all’ordine dei Domenicani la chiesa di San Pietro, da poco eretta sul luogo, con tredici pertiche di terra come rendita.

Anno 1500.  Il beneficio parrocchiale della chiesa di Sant’Andrea viene elevato a commenda a favore della famiglia Barni di Lodi.

Anno 1502.  Zelo – come Paullo, Merlino e Vaiano – viene saccheggiato dal passaggio delle truppe francesi di Carlo VIII, in marcia di trasferimento da Milano a Napoli.

10 Aprile 1509.  Nel corso della guerra tra Francia e Ducato di Milano contro la repubblica di Venezia, viene catturata a Zelo una spia veneta, che sarà poi condotta a Lodi, processata e impiccata il 19 aprile.

Anno 1513.  Per far fronte alle scorrerie di Renzo de’ Ceri, i signori Galeazzo Quartero, Ottantonio da Marliano e Pietro de’ Cani, elessero 6 guardie per porle ai passi più pericolosi, come a Bisnate, Galgagnano e Montanaso ed altri luoghi. Reclutando anche 100 fanti da porre nei luoghi abitati più esposti.

Settembre 1521.  Una compagnia di guasconi, facenti parte delle truppe francesi, devasta alcuni paesi del Paullese, tra cui Zelo.

Anno 1546.  Il feudo di Zelo viene ceduto ai principi Tassis di Napoli che lo conservano fino all’estinzione dei feudi nel 1782. La famiglia Tassis aveva ottenuto  la cittadinanza milanese fin dal 1457 da parte di Francesco Sforza I.

Zelo 2000.  Zelo é in continua espansione, sia con case in condominio, ed in villette uni-familiari, sia con fabbriche artigianali e piccole industrie, i suoi abitanti nel corso dell’anno 2000 hanno superato la soglia dei 5000 abitanti.
Zelo ha una bella Piazza Italia, centro del paese, con fontana, monumento dei Caduti di tutte le guerre. La chiesa parrocchiale di Zelo che si affaccia sulla piazza stessa, è stata quasi completamente costruita nel secolo XVIII su basi di una molto antica e della quale rimane a testimoniare l’abside (forse del 1300) con affreschi pure antichi.

Nel 1980. è stata ristrutturata negli intonaci, pavimenti e nelle decorazioni, oggi appare al visitatore sobria ed elegante, da invitare alla preghiera, purtroppo è un pò piccola per soddisfare la richiesta del paese, infatti le grandi cerimonie, come le Prime Comunioni, le Cresime, la messa domenicale dei ragazzi e altri momenti dell’anno, vengono svolti nel salone dell’Oratorio. La chiesa di Zelo già dall’antico apparteneva alla Pieve di Galgagnano e la si trova così nel 1261, anno della famosa taglia.

Nel 1619. passa alla Pieve o Vicariato di Paullo, nel 1689 si dice che la parrocchia è sede di Vicariato, con alle dipendenze Bisnate, Casolate, Mignete, Marzano, Muzzano. Così rimarrà fino al 1959, quando il Vicariato di Zelo  e quello di Mulazzano verranno uniti a quello di Paullo, comprendente tuttora 19 Parrocchie. Il Parroco di Zelo ebbe il titolo di Prevosto, e la chiesa elevata a Prevostura con decreto dell’ottobre 1744 da Mons. G. Gallarati vescovo di Lodi.

Zelo Buon Persico. 
In dialetto: Zel; da Agellum (piccolo podere), Azello, Zello, Zelo. Buon Persico dall’attributo Gomperticum, Gompertico. Soprannome: Pesca Luna de Zel.

I Feudatari.  1546 il feudo al principe Simone de’ Tassis di Napoli.

La Laudiade.  poemetto composto Giacomo Gabiano,in cui passa in rassegna  tutto il contado lodigiano dando ai vari paesi definizioni e notizie, non sempre esatte, ma abbastanza curiose. Il poemetto fù scritto tra il 1530 e il 1580, tutto in latino, venne tradotto in italiano nel 1880 da B. Guadagni e  A. Ronzon.

Zelo Buon Persico – 207: Zelo l’antica Zele ne ricorda. E de’ Toschi l’imper, ma poi spiccaro. Più alto volo l’aquile latine.

Zelo Buon Persico -170: Antiquae Zelum Zeles de nomine ductum (Imperitavit enim nonnumquam Tuscia nostris Oris) mox aquilae volitarunt altius.

La Taglia – anno 1261: imposta per sovvenzionare la guerra, chiesa di Zelo: tre soldi e tre dinari e mezzo imperiali.
Monastero di S. Maria a Zelo: tre soldi imperiali.
Geografia antropica

Il territorio comunale comprende, oltre al capoluogo, le frazioni di Bisnate, Cascina Giussana, Cascina Molinetto, Casolate, Mignete, Molinazzo, Muzzano e Villa Pompeiana.

Comune di Zelo Buon Persico

sec. XIII – 1757

La località di “Agello” è documentata almeno dall’836 (Agnelli 1917 a), ma l’esistenza di organismi comunali è attestata dal 1219, quando i quattro consoli e i procuratori del comune vendettero il “castrum” al comune di Lodi (CDL II 1).

In età spagnola, quando il Contado lodigiano fu suddiviso nei Vescovati Superiore, di Mezzo, Inferiore di strada Cremonese e Inferiore di Strada Piacentina, il comune – dal 1546 infeudato ai principi Tassis (Agnelli 1917 a) – apparteneva al Vescovato superiore (Tassa dei cavalli).
Alla metà del Settecento aggregava il “cassinaggio di San Pedrino Giussana (Compartimento Ducato di Milano, 1751); secondo l’indice delle pievi del 1753 risulta ancora compreso nel vescovato superiore.
Nella seconda metà del Settecento, la suddivisione in Città e Contado venne meno in seguito all’applicazione della riforma teresiana: i Vescovati vennero suddivisi in 24 Delegazioni, ognuna delle quali composta da un numero variabile di comunità: in seguito a tale riassetto, dunque, Zelo Buon Persico risulta compreso nella II delegazione (editto 10 giugno 1757).
Alla riorganizzazione del territorio non se ne affiancò una istituzionale; in linea di massima (con poche eccezioni), l’organizzazione politico – istituzionale delle singole comunità restò invariata. Quindi mantennero le tradizionali funzioni (naturalmente dove presenti) i convocati generali degli estimati, i deputati e i sindaci.

La riforma stabilita nel 1757 restò in vigore sino al 1786, anno durante il quale il governo austriaco decretò una nuova riorganizzazione dello Stato che prevedeva la suddivisione del territorio in otto province (Milano, Mantova, Pavia, Cremona, Lodi, Como, Bozzolo e Gallarate). In forza dell’editto del 26 settembre 1786, il comune faceva parte della provincia di Lodi e, in particolare, della II Delegazione, Vescovato di sopra (editto 26 settembre 1786 c).

Secondo la legge dell’ 1 maggio 1798 di organizzazione del dipartimento dell’Adda, Zelo Buon Persico faceva parte del distretto di Melzo (legge 12 fiorile anno VI a). L’assetto politico – amministrativo stabilito con tale la legge, però, venne superato poco dopo.

Il 26 settembre 1798 venne emanata la legge di organizzazione di diversi dipartimenti della Repubblica, tra i quali quelli relativi ai comuni del Lodigiano: il dipartimento dell’Alto Po e quello dell’Olona (legge 5 vendemmiale anno VII). Il comune venne incluso nel distretto VII del dipartimento dell’Alto Po.
Dopo i rovesci del 1799 e l’effimera restaurazione austriaca, il 13 maggio 1801 venne ripristinato il dipartimento dell’Alto Po (legge 23 fiorile anno IX), suddiviso in soli quattro distretti (Cremona, Lodi, Crema e Casalmaggiore). Il comune divenne parte del III distretto, con capoluogo Lodi.
Secondo la compartimentazione relativa all’organizzazione del territorio del Regno d’Italia in dipartimenti, distretti, cantoni e comuni (decreto 8 giugno 1805), il comune era compreso nel distretto III di Lodi, Cantone II di Paullo. Era inoltre un comune di III classe e contava 626 abitanti.

Nel 1809 venne introdotta una nuova organizzazione territoriale che prevedeva l’aggregazione di più comuni in un unico comune denominativo. Zelo Buon Persico, facente parte del distretto III di Lodi, cantone II di Paullo, fu uno dei comuni scelti come comune denominativo: gli vennero aggregati Bisnate e Casolate (decreto 4 novembre 1809 c).

Con l’ativazione dei comuni in base alla compartimentazione territoriale del regno lombardo-veneto, il comune di Zelo Buon Persico con la frazione Bisnate, inserito nella provincia di Lodi e Crema, apparteneva al distretto II omonimo (notificazione 12 febbraio 1816).

La compartimentazione del 1844 lasciò in buona parte inalterata l’organizzazione della provincia in nove distretti. Nel 1844 il comune apparteneva al distretto di Paullo (notificazione 1 luglio 1844).

In seguito alla notificazione del 23 giugno 1853 i distretti della provincia di Lodi e Crema, per composti dallo stesso numero di comuni, passarono da nove a sette. Il comune, a differenza del passato, entrò a fare parte del distretto di Lodi (notificazione 23 giugno 1853).

In seguito all’unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, in base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di Zelo Buon Persico con 1.072 abitanti, retto da un consiglio di quindici membri e da una giunta di due membri, fu incluso nel mandamento III di Paullo, circondario II di Lodi, provincia di Milano. Alla costituzione nel 1861 del Regno d’Italia, il comune aveva una popolazione residente di 1.105 abitanti (Censimento 1861). In base alla legge sull’ordinamento comunale del 1865 il comune veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Nel 1867 il comune risultava incluso nello stesso mandamento, circondario e provincia (Circoscrizione amministrativa 1867).

Nel 1869 al comune di Zelo Buon Persico vennero aggregati i soppressi comuni di Casolate, Mignette e Villa Pompeiana (R.D. 29 gennaio 1869, n. 4865). Popolazione residente nel comune: abitanti 2.083 (Censimento 1871); abitanti 2.231 (Censimento 1881); abitanti 2.281 (Censimento 1901); abitanti 2.325 (Censimento 1911); abitanti 2.518 (Censimento 1921).
Nel 1924 il comune risultava incluso nel circondario di Milano della provincia di Milano.
In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta nel 1926 il comune veniva amministrato da un podestà. Popolazione residente nel comune: abitanti 2.370 (Censimento 1931); abitanti 2.313 (Censimento 1936). In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta nel 1946 il comune di Zelo Buon Persico veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Popolazione residente nel comune: abitanti 2.586 (Censimento 1951); abitanti 2.827 (Censimento 1961); abitanti 2.952 (Censimento 1971).

Nel 1971 il comune di Zelo Buon Persico aveva una superficie di ettari 1.871.

Distretto II di Zelo Buonpersico

In base al compartimento territoriale delle province lombarde nel regno Lombardo-Veneto (notificazione 12 febbraio 1816), Zelo Buonpersico fu designato come capoluogo del distretto II della provincia di Lodi e Crema, comprendente i 30 comuni di Arcagna, Bisnate, Casolate, Cassino d’Alberi, Cazzano, Cervignano, Cologno, Comazzo, Dresano, Galgagnano, Gardino, Isola Balba, Lavagna, Marzano, Merlino, Mignette, Modignano, Montanaso, Mulazzano, Muzzano, Paullo, Quartiano, Sordio, Tavazzano, Tribiano, Vaiano, Villa Pompeana, Villambrera, Virolo, Zelo Buonpersico.

Con il decreto governativo 22 gennaio 1841 il comune di Bisnate entrò a fare parte di quello di Zelo Buon Persico; Gardino e Lavagna entrarono a far parte di Comazzo; Marzano, Cazzano e Vaiano furono aggregati a Merlino; Muzzano fu aggregato a Mignette; Virolo fu aggregato a Mulazzano e Villambrera fu aggregato a Paullo (decreto 22 gennaio 1841).

Nel compartimento territoriale delle province lombarde del regno Lombardo-Veneto (notificazione 1 luglio 1844), il capoluogo del distretto II della provincia di Lodi e Crema, risulta trasferito da Zelo Buonpersico a Paullo.

Parrocchia di Sant’Andrea apostolo

Parrocchia della diocesi di Lodi.

La prima attestazione di un insediamento religioso a Zelo Buon Persico risale al secolo XIII, quando la chiesa di Zelo Buon Persico fu tra le istituzioni ecclesiastiche lodigiane tassate dal papato nella “talia” del 1261, dove figurava sottoposta alla pieve di Galgagnano (CDLaudense 1879-1885, II, 354). Nel secolo XVI il beneficio della chiesa di Zelo Buon Persico era posseduto in commenda dalla famiglia Barni di Lodi (Agnelli 1917 a). Nel 1584 la chiesa di Sant’Andrea di Zelo Buon Persico fu censita come parrocchia nel riordinamento della struttura territoriale ecclesiastica del Lodigiano seguita al Concilio di Trento (Chiese parrocchiali di Lodi 1584). La parrocchia di Zelo Buon Persico nel 1619 figurava compresa nel vicariato di Paullo ed era officiata da un rettore; vi erano state istituite le confraternite del Santissimo Sacramento, della Dottrina Cristiana e del Rosario; la parrocchia contava 750 anime e comprendeva gli oratori di San Pietro e Sant’Antonino (Descriptio 1619). Nel 1690 contava 669 anime ed era compresa nel vicariato di Vaiano (Descriptio 1690). Secondo la nota specifica delle esenzioni prediali a favore delle parrocchie dello Stato di Milano, la parrocchia di Zelo Buon Persico possedeva fondi per pertiche 44.23; il numero delle anime, conteggiato tra Pasqua del 1779 e quella del 1780, era di 669 (Nota parrocchie Stato di Milano, 1781). Nel 1786 Zelo Buon Persico era compresa nel vicariato di Paullo; il diritto di nomina del prevosto spettava al vescovo; il numero delle anime ammontava a 718 (Parrocchie 1786). La parrocchia di Zelo Buon Persico nel 1859 era sede di vicariato e contava 880 anime (Stato del clero 1859). Nel 1910 il numero delle anime ammontava a 972; Zelo era ancora sede di vicariato (Parrocchie 1910). Con decreto del vescovo di Lodi Paolo Magnani del 4 luglio 1986 alla parrocchia di Zelo Buon Persico fu accorpata la parrocchia di Sant’Andrea apostolo di Casolate (decreto 4 luglio 1986 f). La parrocchia di Zelo Buon Persico nel 1989 era compresa nel vicariato di Paullo (Guida diocesi Lodi 1987; Guida diocesi Lodi 1990).

Vicariato della diocesi di Lodi.

Nel secolo XIX Zelo Buon Persico fu dichiarato sede di vicariato: nel 1859 il vicariato comprendeva le parrocchie di Zelo Buon Persico, Bisnate, Casolate, Marzano, Mignete e Muzzano (Stato del clero 1859). Nel 1910 comprendeva le parrocchie di Zelo, Bisnate, Casolate, Marzano, Mignete e Muzzano (Parrocchie 1910). Nel 1989 il vicariato di Zelo Buon Persico era stato soppresso (Guida diocesi Lodi 1987; Guida diocesi Lodi 1990).

Frazioni.

Molinazzo e Molinetto parrocchia di Muzzano. Giussana parrocchia di Zelo B. P.

Nomi perduti.

Bosco Pio: Era attraversato dall’Adda tra Zelo, Spino e Cervignano.

Dosio: parrocchia di Mignete, nel 1866 aveva 30 abitanti.

Incoronata: distava da Zelo Km. 2 sud, vi possedeva, forse, la chiesa dell’Incoronata di Lodi.

Montebello: era nel territorio di Villa Pompeiana dove Pietro Bello Bisnate fondò una chiesa a S. Maria.

Muzzetta: distava m. 500 da Mignete, aveva 5 abitanti nel 1886, così chiamata perchè vicina al rivolo.

Poiano: vicino a Villa Pompeiana. Nel 1261 aveva una chiesa, distrutta dalle corrosioni dell’Adda.

Caxola: era località vicino a Bisnate. se ne ha memoria in una carta del 1307. Forse Casolà.

Ciga: località vicino a Bisnate 1749. Vi era un legato istituito da Matroniano Brasca.

 

Stemma Comune di Zelo Buon Persico

Descrizione Araldica dello Stemma
Di azzurro, al castello di argento, toricellato di due pezzi laterali, aperto e finestrato del campo, fondato sulla campagna di verde, al leone rampante di oro, lampassato e armato di rosso, posato sul castello. Segni esterni da Comune
Origini e Simbologia dello Stemma
Lo stemma ricorda il Castello di Bisnate. Il leone simboleggia la terra di Zelo Buon Persico, il verde del campo la feracità del terreno
Caratteristiche Stemma
Simboli: Castello, Leone Rampante
Colori: Argento, Azzurro, Oro, Rosso, Verde

 

 

Stemma Comune Zelo Buon Persico

Zelo Buon Persico-Stemma.png

 

« Di azzurro, al castello di argento, toricellato di due pezzi laterali, aperto e finestrato del campo, fondato sulla campagna di verde, al leone rampante di oro, lampassato e armato di rosso, posato sul castello. Segni esterni da Comune. »

 

Gonfalone Comune di Zelo Buon Persico

Zelo Buon Persico-Gonfalone.png

 

« Partito, di bianco e di azzurro, caricato dell’Arma sopra descritta. »

 

 

Il progetto araldico di questo vetusto Comune, ricorda il Castello di Bisnate e nel Leone il simbolo della terra di Zelo Buon Persico; il verde del campo, la feracità del suo terreno.

UN PÒ DI STORIA: ZELO BUON PERSICO

Nel 1600 un Agesilao dei Cani era commendatore di Malta; la fortuna di questa famiglia precipitò alla fine del secolo riducendola in povertà. Nel 1546 il feudo di Bisnate fu venduto ai Principi Tassi. La Parrocchia di Bisnate è intitolata a S. Alessandro Martire. L’anno 1658, il governo Spagnolo, per sua sicurezza, da Castiglione a Trezzo teneva guarnita l’Adda di milizie paesane sotto il comando del Principe Ercole Trivulzio, che aveva posto il suo campo appunto in Bisnate. Il governo austriaco, per comodo dei trasporti, militari, costrinse i comuni di Bisnate e di Spino a sostituire, all’antico porto, un comodo ponte di legno. L’opera fu costosissima, tanto più che quì la corrente dell’Adda è assai rapida. Nella ritirata del 1859, gli austriaci distrussero il ponte in parola. Però nel secolo XIX°, in occasione dell’apertura della strada da Pandino a Milano, le provincie di Cremona e Milano, fecero costruire nel fiume un nuovo ponte in cotto, a tre navate e grandi arginature. La chiesa nella frazione di Casolate, nella Pieve di Galgagnano, dovette avere importanza speciale nel secolo XIII°. L’anno 1239, si accampò a Casolate l’esercito dell’Imperatore Federico II°, in guerra contro i Milanesi. Anche Francesco Sforza, generale dei Veneziani, vi si accampò nel 1448 in lotta contro la Repubblica Ambrosiana. Casolate fu feudo dei Conti Melzi. Nel 1831, vi fu fondato, un Convitto-Scuola femminile diretto da terziarie di s. Domenico, con filiali a Comazzo e Lavagna, posseggono a Casolate la Congregazione di Carità di Milano e la Casa Melzi. La parrocchia di Casolate è intitolata a S. Pietro. La frazione di Mignete (in antico Mignate o Mignago o Migate) fu feudo dell’Ospedale Maggiore di Milano, l’anno 1609 era di proprietà della famiglia Cani di Bisnate. Nel 1668, il feudo fu concesso a Cesare Bonesana ed eretto in Contea. L’Adda assotigliò grandemente il territorio di Mignete distruggendo cascinali e ville. Ora il fiume si è alquanto allontanato dalla frazione, lasciando una profonda mortizza in vicinanza della strada provinciale e del paese, con ghiaie e baschi. Un Tomaso Codazzi, nobile Lodigiano, nel 1543 era Commendatore della rettoria di Mignete. Il 28 gennaio 1869, il comune omonimo venne soppresso e aggregato a Zelo. La Parrocchia di Mignete è intitolata ai SS. Giacomo e Filippo. Importante è anche la frazione di Villa Pompeiana. Si crede che questa Villa venisse eretta da Gneo Pompeo Strabone, padre del magno Pompeo e benefattore dell’antica Lodi. Nella bolla di Papa Alessandro II°, confermate tutti i privilegi e tutti i diritti del Monastero delle Vergini di Pavia, è detto “In laudensi Episcopatum Villam Pulpignanam cum Capella Sancti Michaelis”. Si opina che questa “Pulpignana” non sia altro che un corrotto di “Pompeiana”; nel suo territorio, fin dal 1194, fu fondata la chiesa di santa Maria in Montebello da Pietro Bello Bisnate. In quel documento si nomina il famoso Mare Gerondo, che pare allora dovesse esistere, costituito dalle acque straripanti dell’Adda. Villa Pompeiana fu feudo dei Cani, Signori di Bisnate; vi era allora un porto sull’Adda. Ai Cani successero, nel feudo i Triulzi nel 1647. Il 5 gennaio 1727, Giovanni Battista Modignani, Presidente del Senato di Milano, nel suo testamento, lasciò all’Ospedale di S. Stefano di Lodi alcuni beni di Villa P., con carico di messe.

“ZELLUM GOMPERTUM”

Vi possedettero pure i Barnabiti ed i Monaci di S. Antonio Abate. Ora è proprietà dell’Ospedale Maggiore di Milano. L’oratorio di Villa è posto lungo la strada provinciale, in alto; e domina , con la strada, la sottoposta bassura dove la Muzzetta entra nell’avallamento abduano. La frazione di Muzzano ricorda l’antica famiglia romana dei “Muzi”. Un marmo nel civico Museo di Lodi, ricorda infatti, Tito Muzio, prefetto dei fabbri, la cui famiglia avrebbe scavato la Muzza, ora Muzzetta, per irrigare “l’agrum Mutianum”; questo agro diede, in seguito, origine alla famiglia Muzzani. La parrocchia di Muzzano è intestata ai SS. Cosma e Damiano. Zelo Buon Persico ha varie Opere Pie e Legati benefici che ricordano i nomi delle famiglie Melzi, Pecora, Cadamosti, Sebastiani, Lucca, Mai, Taglietti, Fiazza-Biraghi, Zecchi-Taccani. Vi sono tre asili infantili. Uno nel capoluogo, che beneficia anche di un lascito Quattrini, istituito nel 1902. Un altro in frazione Bisnate, di fondazione Taccani (1883); e un terzo in frazione Mignete sorto nel 1914. Vi è anche un Istituto Fiazza-Biraghi per istruzione gratuita delle fanciulle povere ed una Società Operaia di Mutuo Soccorso. Zelo Buon Persico, ha dato alla grande guerra, 33 caduti, sul campo della gloria, con 3 decorati al valor militare. le predette notizie storico-corografiche sono state reperite dalle seguenti opere: F. Vallardi “La nuova Italia” – volume III° G. Strafforello “La Patria” – pagina 449 f. Guasco “Dizionario Feudale degli antichi Stati Sardi” Il progetto araldico di questo vetusto Comune, ricorda il Castello di Bisnate e nel Leone il simbolo della terra di Zelo Buon Persico; il verde del campo, la feracità del suo terreno. Per quanto premesso blasoniamo: “di azzurro, al castello di argento, toricellato di due pezzi laterali, aperto e finestrato del campo, fondato sulla campagna di verde, al leone rampante di oro, lampassato e armato di rosso, posato sul castello”. Segni esterni da Comune.Gonfalone: Partito, di bianco e di azzurro, caricato dell’Arma sopra descritta.

GONFALONE:

Partito, di bianco e di azzurro, caricato dell’Arma sopra descritta. 

CURIOSITÀ: ZELO BUON PERSICO

E’ situato in pianura, tra la riva destra dell’Adda e la sinistra della Muzza, a 2 Km da Paullo, a 14 da Lodi, a 20 da Milano. Il territorio, abbondantemente irrigato, è dei più fecondi, specialmente in foraggi, lino, cereali. Vi sono prati artificiali dove si alleva numeroso bestiame vaccino che da molti latticini. L’industria è rappresentata da fabbricazione di formaggi, da pilatura di riso, da fornaci di laterizi, esercizio di latteria. Vi è anche esportazione di uova e pollame. Vi sono opifici per la fabbricazione dell’olio di lino e semi oleosi. La popolazione vive di agricoltura. Vi sono scuole elementari maschili e femminili. Il paese è anticamente ricordato col nome di “Zellum Gompertum”. E’ certo che il nome deriva da “Agellum”, corrotto in “Gello, Zello, Zelo”. Lo storico Giulini afferma che l’anno 836 un illustre personaggio straniero, che abitava a Milano, chiamato Unger, assegnò molti suoi beni da distribuirsi in Opere Pie, tra i quali anche “Agello”. Zelo Buon Persico nel 1045 faceva parte del feudo di Paullo, nel Comitato di Lodi, e per diploma di Corrado, venne assegnato a favore del Monastero di San Dionigi. Circa l’anno 1112, Dolcevita ed Enrico, figli del fu Amizone de Agello, concessero in livello ad Ottone e Ambrogio di Cornate alcune terre del vescovato di Lodi, situate in Galgagnano. Il resto del nome attuale specificherebbe la speciale produzione fruttifera (pesco) del terreno sul quale sorse la Chiesa primitiva. Il 27 maggio 1502, furono di passaggio a Zelo le truppe francesi che da Milano per Lodi, si recavano nel Napoletano; e vi commisero azioni di saccheggio. Il 10/4/1509 fu presa a Zelo una spia veneta che tradotta a Lodi, fu impiccata nel castello. Pochi giorni dopo Zelo fu devastata da una compagnia di Guasconi, unitamente a Merlino, Comazzo e Lavagna. Il 1° settembre 1521, vi alloggiarono per tre giorni, anche le truppe tedesche. Il 28 novembre del 1538, la Camera di Milano lo aliena in favore di Carcassola Antonio, che a sua volta, il 13 agosto 1546, lo vende a Tassis Simone, mastro delle poste. Nel secolo XVI°, il beneficiario parrocchiale della Chiesa di Sant’Andrea di Zelo fu eretto in Commenda a favore di alcuni membri della famiglia Barni di Lodi. La Parrocchia di Zelo è appunto intitolata a S. Andrea. Il 15 agosto del 1546, il feudo venne ceduto ai Principi Tassi, napoletani. Nel 1629 Zelo andò soggetto alle ruberie dei Lanzichenecchi che si recavano all’assedio di Mantova. Il Comune ha un Legato Pio disposto da Paola Cadamosti per sussidiare poveri convalescenti della Parrocchia con una distribuzione di pane di frumento. Alla frazione di Bisnate dura la leggenda che S. Alessandro della Legione Tebea, fuggito dalle carceri di Milano, volendo traghettare l’Adda per andare a Bergamo, non avendo trovato nessuna barca passò miracolosamente il fiume a piedi asciutti, appunto presso la località di Bisnate. Nel 1239, l’Imperatore Federico II°, si accampò tra Bisnate e Casolate, contro i Milanesi, i quali si accamparono dall’altra parte deviando l’Adda Nuova (Canale Muzza), nel Lambro. Bisnate ebbe anticamente un castello del quale si scorgono ancora le rovine, e che doveva servire a difendere il passo dell’Adda di fronte a Spino. La sua chiesa antichissima, si trovava nella circoscrizione plebana di Galgagnano ed era patronato dalla famiglia Bisnati. Nel 1465 era signore di Bisnate Spilimbergo Cristoforo dei Cani. Il 15 maggio del 1509, dopo la famosa battaglia di Agnadello, venne gettato sul fiume un ponte di barche pel quale transitò la gente che andava a vedere i morti in quella sanguinosa battaglia, i quali giacevano ammucchiati nel luogo dove fu poi fabbricata la chesa detta della Vittoria.

 

Il lago e il drago.

Il lago Gerundo si suppone fosse un vasto specchio d’acqua salmastra, a regime instabile, situato in Lombardia a cavallo dei letti dei fiumi Adda e Serio.

In questo territorio, infatti, ci sono giacimenti di gas metano, con esalazioni naturali che si incendiavano con i fulmini,  temporali e a quel tempo questo fenomeno fece pensare all’alito di un drago.

Il mostro fu ammazzato da uno sconosciuto eroe che prosciugò anche il lago: altri non era che il capostipite dei Visconti di Milano che, dopo tale prodezza, adottò come suo stemma l’immagine del biscione.

Alcune fonti popolari attribuiscono il prosciugamento e la bonifica del lago a san Cristoforo, che avrebbe sconfitto il drago, o a Federico Barbarossa. La bonifica del territorio fu in realtà fatta dai monaci delle abazie vicine.

Sulle coste del lago Gerundo, nella zona dell’attuale Villa Pompeiana (frazione di Zelo Buon Persico), si ritiene si trovassero una villa romana e un porto fatto costruire dal patrizio romano Pompeo Strabone (150-80 a.C.), Strabone fu un personaggio molto influente nella zona che è attualmente il Lodigiano, in suo onore, dopo la conquista della Gallia Cisalpina da parte dei romani, uno dei maggiori centri abitati della regione venne ribattezzato come Laus Pompeia (Lodi Vecchio).

Il lago Gerundo scomparve definitamene nel corso del XIII per opera della bonifica iniziata dai monaci cistercensi e benedettini, proseguita nel 1220 con la creazione del canale Muzza.

Il lago occupava un ampio tratto di territorio tra Adda e Serio, ma anche, secondo alcuni, Brembo e Oglio.

Tale localizzazione comprende quindi le provincie di Bergamo, Lodi e Cremona e Milano.

 

La profondità variava dai dieci ai venti metri con punte sui venticinque.

Nelle aree meno profonde erano frequenti le formazioni paludose; a Genivolta venne trovata un’ara, conservata oggi al museo di Cremona, dedicata alla dea italica Mefite, sovrana delle paludi. 

 

L’uomo era insediato sulle sue sponde e sulle isole sia su terraferma che su palafitte (la pretesa città di Acquaria nei pressi di Soncino) e navigava sul lago con piroghe scavate da un unico tronco di quercia, di cui si sono rinvenuti alcuni esemplari.

 

 Il Fiume ADDA

Osservando il nostro territorio, composto da campi ben quadrati o rettangolari, si pensa ai nostri antenati, che in tempo più o meno remoto, hanno faticato tanto per far sì che l’agricoltura potesse rendere il più possibile e darci granaglie atte al vitto e foraggi per il bestiame. I terreni sono fertili per natura, ma anche per la regolare concimazione annuale. Se non ci fosse l’irrigazione, ogni sforzo del lavoro dell’uomo sarebbe vano e la bella pianura rimarrebbe sterile, solo con sterpaglie e rovi. L’idrografia della zona è composta da corsi d’acqua naturali, come i fiumi e torrenti (Adda, Molgora, Addetta), da acque resorgive (Sillero, Cavo Marocco…) e da acque di canali artificiali (canale Muzza e rogge derivanti dallo stesso). L’ADDA nasce a Nord di Bormio, a 2253 metri di altezza, da laghetti montani, poi nel suo corso sfocia nel Lago di Como per uscire, dopo 42 Km. dal ramo di Lecco, riprendendo la sua corsa tra monti, colline e pianure, dirigendosi verso il Po. Fino a Cassano l’Adda rimane incassato tra alte sponde, correndo veloce tra orridi e canaloni, ma giunto in pianura, quasi riposando dalla corsa vorticosa, prosegue il suo corso serpeggiante, lento e maestoso, puntando verso Lodi. Nei pressi di Cremona e precisamente a Castelnuovo Bocca d’Adda, si getta nel Pò, avendo percorso dal suo
nascere ben 313 chilometri. Per quanto riguarda il nostro territorio, l’Adda bagna a destra Comazzo per circa 5 Km. lasciando alcuni terreni sulla sinistra; passa in mezzo al territorio di Merlino per più di 3 Km., sia della sponda destra, che da quella sinistra (ove si trovano i cascinali: Risorgenza, Predazzo, Bezzecca); poi tocca il territorio di Zelo B. P. su breve tratto a sinistra, e per più di 7 Km. a destra poi Cervignano d’Adda.
Il Lago Gerundio Una volta, verso l’anno 1100, al posto di Zelo Buon Persico c’era un lago. Si chiamava lago Gerundo, infatti tutta questa zona era sommersa d’acqua, si trovava nell’area compresa tra l’attuale corso del fiume Adda e la scarpata che delimita il territorio cremasco. Il suo bacino era costituito da una depressione della pianura padana, dove potevano confluire le acque dell’Adda, dell’Oglio e delle risorgive. Si presentava come una grande estensione di paludi e acquitrini. La zona in cui sorge ora Zelo Buon Persico si trovava all’estremità nordovest del lago. Oltre a paludi, acquitrini e stagni dovevano esserci anche specchi d’acqua profondi, lungo le sue costeesistevano ville residenziali e porti. Proprio nell’area di Villa Pompeiana – alcuni studiosi ritengono si trovassero una villa e addirittura un porto fluviale fatto costruire dal patrizio romano Gneo Pompeo Strabone (150-80 a.C.). In suo onore, dopo la conquista della Gallia cisalpina da parte dei romani, il maggior abitato della regione a sudest di Mediolanum (Milano) venne ribatezzato come Laus Pompeia (oggi è Lodivecchio). La via di comunicazione principale era la cosidetta via regia che da Milano conduceva a Lodi passando per Paullo, Muzzano e Galgagnano. Nel 1220 dei monaci cistercensi e benedettini iniziarono una grande opera di bonifica con la creazione del canale Muzza. Secondo la leggenda dell’Alto Medioevo, nel lago Gerundo viveva il drago Tarantasio, vero terrore per gli abitanti del luogo. I drago ha ispirato gli ideatori del logo dell’Agip, che lo hanno trasfigurato, aggiornandolo, nel cane a sei zampe che sputa fuoco dalla bocca. Nel Mortone, presso Villa Pompeiana, é stata rinvenuta nel 1977 una piroga monossile, ossia un’imbarcazione molto primitiva, costituita da un’unico, enorme tronco d’albero appositamente scavato. Dopo la pulitura e le analisi al radiocarbonio, risulta che la piroga risale al 490 dopo Cristo. Dopo la frazione Mignete, sulla sinistra, si gode la vista del Mortone, un’area paludosa, vasta circa 30 ettari, coperta di canneti palustri, con sorgenti e un corso d’acqua libera, un punto di ritrovo per numerose specie di uccelli.

IL PORTO E IL PONTE DI SPINO-BISNATE

IL PORTO

Fin dal 1500 e sino all’epoca napoleonica esisteva sul fiume Adda tra Spino e Bisnate un piccolo porto dettoVolante costituito da due imbarcazioni affiancate tra loro, legate con una corda a due pontili, posti sulle sponde opposte. Questo era, oltre alle singole imbarcazioni private, l’unico modo possibile per traghettare l’Adda.

IL PONTE

Varie cause portarono nell’ottocento alla decisione di costruire un passaggio più sicuro, presa sia da parte dell’erario, convinto di sospendere i continui finanziamenti per il mantenimento del vecchio porto, sia da parte di privati possessori di terreni oltre l’Adda ma in comune di Spino. Inoltre i comuni cremaschi vedevano in questo manufatto la possibilità di avvicinarsi più agevolmente a Milano, raggiungibile altrimenti solo attraverso Lodi e Cassano d’Adda, per lo più con il pagamento di un pedaggio.

Nel 1847 si diede il via ai lavori per la costruzione di un ponte di legno: il passaggio delle merci divenne così più semplice, diminuì la distanza tra Milano e il cremasco e nacquero rivendite di alcolici ed alimentari nei pressi. Non tutti però videro di buon occhio la costruzione di questo manufatto: i cittadini di molti paesi limitrofi dovettero sobbarcarsi il peso della costruzione del ponte (una tassazione forzata).

Dopo il 1848 il ponte assunse importanza strategica: gli austriaci scacciati da Milano percorsero la strada per il ponte di Bisnate per dirigersi verso il Quadrilatero dove si sarebbero asserragliati per ricomporre il loro esercito. Il ponte fu utilizzato dagli stessi austriaci nell’agosto dello stesso anno per riconquistare Milano.

Il ponte in un'immagine del 1960Nel 1850 la provincia di Lodi-Crema, visti gli alti costi di manutenzione, consegnò il ponte ad un consorzio di comuni con il compito della conservazione della struttura.

Nel 1859 gli austriaci in ritirata, dopo la battaglia combattuta a Melegnano, lo distrussero facendolo saltare o bruciandolo.

Grazie ad una legge governativa del 1882, che finanziava per metà dell’importo la sistemazione di importanti opere viarie, le province di Cremona e Milano avviarono l’iter di riqualificazione della strada Crema-Paullo che fu allargata fino ad otto metri (anche in previsione dell’allestimento di una tranvia) e fu costruito il nuovo ponte sull’Adda, in cotto e lungo 154 metri. Costò 351.538,41 lire e fu inaugurato nel 1896. Tale ponte negli anni Sessanta del XX secolo divenne asse portante per attraversare l’Adda nell’ampio progetto che le province di Cremona e Milano stavano attuando in quegli anni, ossia la realizzazione di una “direttissima” tra Cremona e Milano; pochi anni dopo la strada divenne di competenza statale e affidata all’ANAS che la identificò con il numero 415 e la denominò “Paullese”.

I due pontiNel 1981 il ponte ebbe un cedimento, evento che obbligò alla temporanea chiusura della Paullese con i prevedibili conseguenti disagi; vennero attuati interventi di emergenza, come le iniezioni di cemento ai basamenti, ma fu subito chiaro che la struttura era malandata e, soprattutto, inadeguata ai flussi di traffico sempre più crescenti, da cui l’idea di costruirne uno nuovo.

Il progetto esecutivo del nuovo ponte fu approntato l’anno successivo, ma nel frattempo proseguirono altri necessari interventi all’ormai secolare costruzione in cotto. I lavori per la nuova struttura furono appaltati nel gennaio 1983 e terminati nella primavera del 1985. Il 24 aprile di quell’anno fu aperto ufficialmente il nuovo collegamento tra le due sponde mentre il vecchio ponte fu abbandonato ma è tuttora integro e resiste al tempo.

La storia dei PESCALUNA

i Pescaluna

BIBLIOGRAFIA 

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Il Drago Tarantasio

Il Gerundo il lago che si stendeva in Lombardia, alle confluenze tra Adda, Serio e Oglio, e di cui parlò già Plinio il Vecchio; fu prosciugato definitivamente dalle bonifiche del XII secolo, ma non si seccarono le leggende intorno ai mostri che in esso s’immergevano. Il più noto era il Tarantasio, una sorta di serpentone velenoso persino nell’alito, e sue presunte costole ( due metri di circonferenza ), sono tuttora conservate in due chiese nel bergamasco e nel cremonese. Certo nessuno le ha studiate sul serio e si preferisce così attribuirle a qualche mammut fossile o a una balena; ma chissà forse il favoloso drago Tarantasio delle nebbie tra Lodi e Piacenza era piuttosto un grande storione ( non impazzano a tutt’oggi in Po i giganteschi pesci-siluro ), o magari un coccodrillo importato e uscito di bussola. Del resto, una sua traccia tangibile é pur restata nel biscione antropofago dello stemma dei Visconti ( e di una squadra di calcio, appunto l’Inter di Milano ). Però il drago non è mai stato catturato, rimarrà una leggenda indimostrabile.

L’Adda

Osservando il nostro territorio, composto da campi ben quadrati o rettangolari, si pensa ai nostri antenati, che in tempo più o meno remoto hanno faticato tanto per far sì che l’agricoltura potesse rendere il più possibile,e darci granaglie atte al vitto e foraggi per il bestiame. I terreni sono fertili per natura,ma anche per la regolare concimazione annuale. Ma se non ci fosse l ’irrigazione, ogni sforzo del lavoro dell’uomo sarebbe vano, e la bella pianura rimarrebbe sterile, solo con sterpaglie e rovi.
L’idrografia della zona è composta da corsi d’acqua naturali, come i fiumi e torrenti (Adda, Molgora, Addetta), da acque resorgive (Sillero, Cavo Marocco…..), e da acque di canali artificiali (canale Muzza e rogge derivanti dallo stesso).
L’Adda nasce a Nord di Bormio, a 2253 metri di altezza, da laghetti montani;poi nel suo corso sfocia nel Lago di Como per uscire, dopo 42 Km, dal ramo di Lecco, riprendendo la sua corsa tra monti, colline e pianure, dirigendosi verso il Po. Fino a Cassano l’Adda rimane incassato tra alte sponde, correndo veloce tra orridi e canaloni; ma giunto in pianura, quasi riposando dalla corsa vorticosa, prosegue il suo corso serpeggiante, lento e maestoso, puntando verso Lodi, poi nei pressi di Cremona e precisamente a Castelnuovo Bocca d ’Adda, si getta nel Po, avendo percorso dal suo nascere ben 313 chilometri.
Per quanto riguarda il nostro territorio, l’Adda bagna a destra Comazzo per circa 5 Km, lasciando alcuni terreni sulla sinistra; passa in mezzo al territorio di Merlino per più di 3 Km, sia della sponda destra, che da quella sinistra (ove si trovano i cascinali Risorgenza, Predazzo, Bezzecca); poi tocca su breve tratto a sinistra, e per più di 7 Km a destra il territorio di Zelo B.P., e per meno di 1 Kmi terreni di Cervignano d ’Adda.

Aqua Mutiana

Uno dei primi canali artificiali della zona creati per controllare il regime delle acque è la cosidetta Aqua Mutiana, ideata dalla famiglia Mutia, nel 222 a.C. esiste tuttora nel territorio di Zelo Buon Persico e corrisponde all’attuale canale Muzzetta.

Le rogge principali di Zelo B.P.

– roggia Muzzetta, (l’antica Aqua Mutia di origine romana), che da Molinetto, passa per Muzzano, sfiora Molinazzo e arriva a Villa Pompeiana. – roggia Fasola, che da Zelo passa di fianco a Casolate e giunge a nord di Villa Pompeiana, dove si congiunge con la roggia Muzzetta. – roggia Fasolina, che bagna i terreni intorno a Casolate. – roggia Zelo Ospitale, (o Zela) che da Zelo raggiunge Mignete, da dove parte una diramazione per Casolate. – roggia Bertonica, che da Paullo entra nel comune Zelasco all’altezza della fattoria Aurora, procede in linea retta verso Molinazzo, attraversando la zona di Muzzano, e continua a sud nell’area di Cervignano d’Adda. – roggia Nuova, a sud, roggia Quaterna,a nord, in territorio di Zelo , infine il colo Calandrone a Bisnate, al confine tra i comuni di Zelo e Merlino.

Le aree Umide

All’interno del territorio comunale di Zelo Buon Persico sono state individuate e censite 19 aree umide, cinque delle quali son lanche e una é un fontanile. Il Mortone: é una grande palude, ampia 30 ettari, ricoperta da canneti e fragmiti, con piccoli specchi d’acqua interni e un corso d’acqua limpida. Sono presenti alcuni salici cinerei, a gruppi o isolati. Lanca a nord di Bisnate: è la lanca più grande (1,3 ettari) con rive alberate, alimentata continuamente e ricca di vegetazione acquatica (alghe, lenticchie d’acqua e tife . Morta della Cascinetta: grande morta (4,8 ettari una parte in comune di Spino D.) con acqua bassa e limpida, fondo ghiaioso e ciottoloso. Ricca di alghe, con piccoli arbusti di salice bianco. Fontanile a sud est di Casolate: si tratta di un fontanile ripulito meccanicamente e allargato a metà degli anni Ottanta.. Impaludamento al margine del bosco della Riserva Brambilla: si tratta di un’area depressa, in gran parte coperta da canneto con esemplari di tife maggiore e di salici cinerei. L’acqua è scarsa. Palude interna al bosco della Riserva Brambilla: é una palude ampia circa 0,6 ettaricon acque basse e limpide con fondo ghiaioso, buona presenza di alghe e vegetazione palustre sulle rive. Corso impaludato dell’Adda Vecchia: si tratta di alcuni slarghi ( parte nel comune di Spino D.) di un corso d’acqua residuo di un braccio abbandonato dell’Adda. E’ coperto da giunchi, carici e spargonio. Palude della roggia Muzzetta presso la Villa Innocenti: é uno slargo impaludato (0,7 ettari), alimentatodalla roggia Muzzetta, acque limpide e abbondante vegetazione acquatica. Lanca dell’Adda Vecchia: lanca di circa un ettaro, alimentata dall’Adda Vecchia e collegata al fiume, sulle rive salici bianchi e tife.

La Muzza

Dall’Adda a Cassano esce il Canale Muzza, tocca i terreni di Trucazzano, Comazzo, Merlino, giunge alle porte di Paullo, dopo aver percorso 19 Km. Alle porte di Paullo, ove si dividono le acque, per gettare il sovrappiù nell ’Addetta, la Muzza si piega verso sud, parallelo all’Adda, toccando i territori di Mulazzano, Zelo B.P.e Cervignano, per portarsi alla Centrale Elettrica di Tavazzano, e poi giù giù nel Lodigiano fino a Castiglione, ove rientra nell’Adda. Il Canale Muzza è stato ricavato dal ramo destro dell’Adda, chiamato Addella o Addetta. I nostri antenati, preoccupati per l’irrigazione delle culture e vedendo che il ramo dell’Addetta s’interrava sempre più, e l’acqua continuava a scarseggiare, pensarono di usare tale percorso per formare un Canale, che avesse una buona portata d’acqua, e giungesse così attraverso il Lodigiano a bagnare la maggior parte possibile dei terreni. I lavori per formare il Canale durarono dagli anni 1222 al 1230.
Alcuni pensano che il Canale Muzza sia stato scavato ex novo, mentre osservando attentamente il suo percorso si trovano, ora a destra ora a sinistra, delle bassure e delle insenature che accertano esservi stato prima un corso d’acqua naturale, come di fiume. Per far affluire più acqua, i nostri antenati cercarono di affondare il vecchio letto del fiume esistente, raddrizzando certe svolte e tortuosità, per dare maggiore scorrevolezza alle acque. Dal Canale Muzza fino all’anno 1977 uscivano 72 bocche d’acqua, che formavano altrettanti fossati o rogge, con nomi propri per le varie proprietà terriere, e le varie campagne. Con l’arrivo della Centrale Elettrica di Tavazzano furono ridotte a 36, unendo insieme tre-quattro o più rogge con una sola presa d’acqua. Così oltre alle singole bocche, troviamo il Derivatore Lavagna, che raggruppa insieme nella stessa presa Zela-Fasola-Quartera-Carcassola; più avanti dopo le porte di Paullo il Cavo Bolca per le rogge Borra-Lanzana-Camola-Vecchia Fratta; poi più in là troviamo il Cavo Apollo, il Cavo Saturno, il Cavo Iris e il Cavo Tris.BREVE STORIA DEL “CANALE MUZZA” Il Canale Muzza è la più antica derivazione del fiume Adda e la sua storia si perde nel tempo. Sembra che a seguito della bonifica del territorio a ovest dell’Adda, dovuto in parte all’opera dell’uomo ed in parte al naturale progressivo ritiro delle acque e del lago Gerundo, si sia reso disponibile a partire dal VII secolo un vasto territorio di terra fertile, coltivabile e quindi con necessità di essere irrigata. Da quel che si sa, il territorio, orientativamente compreso nel quadrilatero chiuso dalle attuali posizioni di Lodi, Mulazzano, Paullo e Zelo Buon Persico, era di proprietà del “prefetto dei fabbri” Tito Mutio, della famiglia Mutia antica dinastia di Roma, trasferitasi nell’allora Gallia Cisalpina a seguito di Pompeo. Sembra che proprio vicino a Paullo, Tito Mutio fece realizzare uno sbarramento sul fiume ed una derivazione irrigua che rendesse possibile l’irrigazione dei terreni non molto tempo prima bonificati; irrigazione che avveniva quindi con “acquae Mutiae” cioè appartenenti alla famiglia Mutia. Già nel 1150 i terreni prima della famiglia Mutia erano di proprietà dell’Ospedale Brolio di Milano (ora Ospedale Maggiore) e venivano irrigati tramite la Muzzetta che derivava le acque del ramo destro dell’Adda a monte dello sbarramento di Paullo. E’ in quel periodo che Lodi venne completamente distrutta nell’evolversi di prolungate guerre con alterne vicende. La fine delle ostilità fu sancita nel 1218 e nello stesso anno, con editto dell’imperatore Federico II, venne stabilito che la proprietà delle acque spettasse ai Lodigiani, ai quali, a partire dal 1220, sembra debba essere attribuita la costruzione della parte del Muzza a valle di Paullo. E’ certo che il canale, qualunque sia la sua origine, ha inciso significativamente sulla storia, sull’economia e sulla cultura del Lodigiano. Presenza costante del territorio, il canale è considerato punto di riferimento in cui possono essere rapportate tutte le vicende storiche, politiche, economiche, urbane del luogo. Fonte di ricchezza per l’abbondante quantità d’acqua disponibile, fonte di energia e materie prime, la storia del canale, tra molti “black-out” passa al dominio delle Signorie di Milano, i Visconti prima, gli Sforza poi. Il “signore” concedeva il diritto di derivare l’acqua per favorire un’amicizia, per incassarne il “dazio”, per stringere un’alleanza, per tacitare una persona ostile. Dalle Signorie il canale Muzza passò sotto il dominio Spagnolo a partire dal 1535, che inasprì ulteriormente i canoni e le condizioni cui dovevano sottoporsi gli utenti per derivare l’acqua. Nel 1550, con una sentenza di Ferrante Gonzaga, governatore di Milano per conto di Carlo V, veniva dichiarato il canale Muzza proprietà della corona. Dagli Spagnoli agli Austriaci, con un breve intermezzo Napoleonico, e quindi al Regno d’Italia. Nel 1896 il Muzza viene iscritto tra i canali patrimoniali ed affidato ai vari utenti costituitisi in Consorzio di Utenti, ”Congregazione di Muzza”. Scopo fondamentale del Consorzio era quello di gestire tecnicamente ed amministrare il canale Muzza e gli interessi di tutti gli utenti (circa 2.500) nonchè di gestire la rete irriguo-idraulica derivata che, sostanzialmente, rappresenta la rete idrica dell’alto Lodigiano. Dal 01.01.1990 il canale Muzza è gestito dal Consorzio di Bonifica Muzza – Bassa Lodigiana, costituito in applicazione alla Legge Regionale 26.11.1984 n.59 riguardante il riordino dei Consorzi di Bonifica. IL SISTEMA IDROELETTRICO “CANALE MUZZA” Il tracciato della Muzza si snoda su un percorso complessivo di circa 39 km nelle Provincie di Milano e Lodi, interessando i territori di 15 comuni. Durante il tragitto il livello idrico supera un dislivello complessivo di 40,8 m con una cadente assoluta di circa 1%, di cui circa il 50% è assolto dai salti delle Levate. Il “Sistema Idroelettrico Canale Muzza” si articola su quattro impianti idroelettrici, dei quali tre in corrispondenza dei salti idraulici originati dalle levate di Paullo, Bolenzana e Quartiano. Tutte le levate sopra citate si trovano nel tratto di canale Muzza compreso tra l’impianto di regolazione di Paullo, a valle di Cassano d’Adda, e la centrale termoelettrica di Tavazzano; in particolare è la tratta della Muzza che risulta caratterizzata dalla migliore regolarità e continuità dei deflussi, nonchè da una considerevole disponibilità idrica. I salti disponibili presso le diverse levate variano da 3 a 4 m circa. Il quarto impianto idroelettrico, su un salto di 10 m circa, è stato realizzato sul canale scaricatore di Belgiardino la cui funzione principale è quella di convogliare al fiume Adda tutta la portata d’acqua che, una volta soddisfatto il fabbisogno della centrale termoelettrica di Tavazzano, risulta esuberante per gli usi irrigui. Gli impianti menzionati, tra cui anche quello di Paullo, turbinano le acque derivate dal Canale Muzza, anche grazie alla lungimiranza del Consorzio di Bonifica Muzza – Bassa Lodigiano, dei Comuni di Paullo, Zelo Buon Persico, Cervignano d’Adda, Montanaso Lombardo, Mulazzano, i Parchi Sud Milano e Adda Sud, che hanno voluto, in questo modo valorizzare il loro territorio.

La Muzzetta

Il Canale appena formato (1222-1230) venne chiamato Adda Nuova; nome che durò poco, infatti appena più a monte di Paullo, dal ramo dell’Addetta veniva estratto il canale Muzza dai tempi dei romani, e bagnava il cosidetto “Agrum Mutianum ” fatto scavare da Tito Muzio (Titius Mutius), prefetto dei Fabbri (ingegnere). Poco alla volta dalla gente il Canale Adda Nuova venne chiamato Muzza, e quello romano di Tito Muzio da Muzza venne chiamato Muzzetta, perchè più piccolo. Il Canale Muzzetta attraversa il territorio di Paullo, bagna il territorio di Muzzano, e va a gettarsi nell’Adda a nord di Villa Pompeiana. Poco prima si stacca il Cavo Delmati, che raccoglie anche acque colatizie e risorgive per bagnare i terreni di Galgagnano.

Il Canale Marzano o Vacchelli

Dall’Adda sulla riva sinistra,di fronte alla cascina Mairana di Comazzo,in territorio di Marzano,viene estratto il Canale,che prende il nome della località stessa,oppure chiamato col nome del suo ideatore Vacchelli. Questo Canale serve ad irrigare i territori del Cremonese, realizzato verso l’anno 1890. L’attuazione di questo Canale fu oggetto di gravi discordie tra milanesi e lodigiani da una parte, e cremaschi e cremonesi dall’altra; e mentre si discuteva tra Milano e Lodi per aprire un nuovo Canale a Bisnate, che doveva servire ad aumentare le acque per l’irrigazione, immettendole nel Canale Muzza, i cremonesi compirono l’opera ed ebbero quello che desideravano. Il corso del Canale, per breve tratto in provincia di Lodi, prosegue regolare in linea retta sul territorio cremasco, dirigendosi verso Crema e proseguendo oltre, dividendosi poi in tanti fossati, rogge e rodigini sul cremonese, con nomi diversi.

Parco Ittico Paradiso
Villa Pompeiana di Zelo Buon Persico
Tel. 02 9065714
Sito: www.parcoittico.it

 

Agellum  Gomperticum

Un lago e il drago

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Una volta, fin verso l’anno 1100, al posto di Zelo Buon Persico c’era un lago. Si chiamava lago Gerundo (o Gerendo, o anche Geroso). Più precisamente, il lago Gerundo si trovava nell’area compresa tra l’attuale corso del fiume Adda e la scarpata che delimita il territorio cremasco, entro cioè una linea ideale intermedia tra l’Adda attuale e il Serio.

                                                                    Fiume Adda presso frazione Bisnate

 

Il suo bacino era costituito da una depressione della pianura alluvionale padana, dove potevano liberamente confluire le acque dell’Adda, dell’Oglio e delle risorgive. Si presentava come una grande estensione di paludi e acquitrini, provocata dal graduale spostamento dell’Adda da est a ovest (fino alla posizione di oggi) e più o meno ampia a seconda delle piene del fiume.

Oltre a paludi, acquitrini e stagni dovevano esserci anche specchi d’acqua profondi, tanto che si suppone l’esistenza, lungo le sue coste, di ville residenziali e di porti. Proprio nell’area di Villa Pompeiana la frazione più a sud di Zelo Buon Persico – alcuni studiosi ritengono si trovassero una villa e addirittura un porto fluviale fatto costruire dal patrizio romano Gneo Pompeo Strabone (150-80 a.C.), negli anni intorno al 120 a.C. Padre di Pompeo Magno, il più acceso rivale di Giulio Cesare, Pompeo Strabone fu un personaggio molto importante per quella che è attualmente la zona del Lodigiano. In suo onore, dopo la conquista della Gallia cisalpina da parte dei romani, il maggior centro abitato della regione a sudest di Mediolanum (Milano) venne ribattezzato come Laus Pompeia (oggi è Lodi Vecchio). La via di comunicazione principale era la cosiddetta via regia, che da Milano conduceva a Lodi passando per Paullo, Muzzano e Galgagnano. 

Vivere in prossimità del lago Gerundo non doveva essere molto confortevole e sicuro prima della grande opera di bonifica iniziata dai monaci cistercensi e benedettini, proseguita nel 1220 con la creazione del canale Muzza. Secondo una leggenda dell’Alto Medioevo, nel lago Gerundo viveva il drago Tarantasio, vero terrore per gli abitanti del luogo. Un mostro favoloso in cui la fantasia popolare ha probabilmente voluto impersonificare le esalazioni mefitiche di quelle zone palustri e malariche. Il drago Tarantasio, in tempi moderni, ha ispirato gli ideatori del logo dell’Agip, che lo hanno trasfigurato, aggiornandolo, nel cane a sei zampe che sputa fuoco dalla bocca.

Nel Mortone, un’area paludosa di notevole pregio naturalistico, subito dopo la frazione di Mignete presso la frazione di Villa Pompeiana, è stata rinvenuta nel 1977 una piroga monossile, ossia un’imbarcazione molto primitiva, costituita da un unico, enorme tronco d’albero appositamente scavato. Sottoposta all’analisi del radiocarbonio, la piroga risalirebbe alla fine del quinto secolo dopo Cristo, e più precisamente intorno al 490.

Piroga monossile

Le prime <<gentes>>

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Dopo la conquista della Gallia cisalpina, compiuta nel 222 a.C., i romani si dedicarono con impegno alla coltivazione dei nuovi territori acquisiti. Nella regione dell’attuale Paullese si insediarono diverse gentes, cioè diverse famiglie: Valeria, Mutia, Marcia, Balbia, Fabia e Pompeia, il cui principale esponente era Gneo Pompeo Strabone. I possedimenti di queste famiglie presero il nome delle gentes proprietarie: nacquero così, tra l’altro, gliagri Mutianum (oggi Muzzano), Marcianum (Marzano), Balbianum(Balbiano) e Villa Pompeiana.

Secondo la tradizione, fu un appartenente alla gens Mutia a ideare e a far scavare la cosiddetta Aqua Mutiana, uno dei primi canali artificiali della zona creati per controllare il regime delle acque. L’antica Aqua Mutiana esiste tuttora nel territorio di Zelo Buon Persico e corrisponde all’attuale canale Muzzetta.

Per irrigare orti e giardini della villa di proprietà della famiglia situata dove ora c’è Muzzano, Tito Muzio fece derivare le acque dal ramo dell’Addetta poco sopra gli attuali Portoni di Paullo, incanalandole attraverso i territori di Paullo (che allora si chiamava Padulum) e Muzzano, per farle poi confluire di nuovo nell’Adda a nord di Villa Pompeiana. Tito Muzio, del resto, doveva avere le carte in regola per compiere tale impresa, se su una lapide conservata al Broletto di Lodi (T.Mutio tf gracili praef. Fabbr IIII Vir I.D. D.D. Pubblice) viene citato con la qualifica di prefetto del fabbri, una carica corrispondente pressappoco all’attuale ingegnere.

Le antenate delle cascine

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Dove adesso c’è Muzzano, la gens Mutia (oggi diremmo la famiglia Muzia) possedeva una tenuta di ampie dimensioni, detta Agrum Mutianum.

Le aziende agricole romane di grande estensione erano denominatevillae e possono essere ritenute, nella concezione complessiva di unità economica e produttiva e nella strutturazione degli spazi e degli edifici, le lontane antenate delle cascine. Secondo Romano Pignotti, uno studioso che nei suoi scritti molto si è occupato del Paullese e della sua storia, l’Agrum Mutianum doveva essere probabilmente il principale centro agricolo del comprensorio.

Agrum Mutianum (ricostruzione R.Pignotti)

Tito Muzio scelse di ubicarlo alla sinistra della strada che da Padulum(Paullo) portava a Laus Pompeia (Lodi Vecchio). Lo organizzò come un tipico accampamento militare romano, cioè un rettangolo suddiviso in quattro parti uguali: un impianto planimetrico che la Muzzano attuale mantiene tuttora. Secondo la ricostruzione di Pignotti, nel riquadro a nordovest si trovava la villa padronale con il parco, le piscine, l’altare del Lari (numi tutelari della famiglia) e il giardino delimitato da un doppio filare di salici.  

Nel riquadro nord orientale c’erano gli orti e gli alloggi del servi e del liberti oltre che del presidio militare, mentre in quello a sud-ovest c’erano il frutteto, la vigna e il ricovero per i cavalli. Infine, nel riquadro sud orientale trovavano posto il ricovero degli animali da lavoro (buoi, bufali, muli, asini), gli ovili, i pollai, i porcili, gli orti del servi e gli alloggi per gli schiavi.

Come ogni tipica villa romana, anche quella della gens Mutia era sostanzialmente una struttura autosufficiente sia economicamente sia amministrativamente, con una piccola guarnigione militare interna per difendere i suoi abitanti da eventuali incursioni di banditi e proteggere i raccolti. Nell’organizzazione territoriale romana, la villa ricopriva infatti anche una funzione strategica e militare di base; nelle villae venivano reclutate e addestrate le nuove leve, dalle villae partivano rifornimenti di vario genere per l’esercito: cavalli, muli, legname, come anche bestie da macello, foraggio, farina, olio e altri viveri.

Con l’arrivo dei barbari culminato nell’invasione dei Longobardi nel 568 d.C. anche nel Lodigiano si assiste alla distruzione, al saccheggio e alla decadenza di molti centri abitati fioriti in epoca romana. Sopravvive qualche segno delle opere realizzate a vantaggio delle attività agricole: la scansione regolare dei campi coltivati, la rete di comunicazione stradale, gli impianti d’irrigazione, a cominciare dall’Aqua. Mutiana, probabilmente come s’è detto il primo canale irrigatorio della regione lombarda.

“Miracolo italiano”

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Dopo la calata dei Longobardi In Italia ci vorranno circa quattro secoli perché nel Lodigiano l’attività produttiva, e innanzitutto quella agricola, riprenda pieno slancio. A guidare la ripresa economica sono ora gli ordini monastici, proprietari in molte aree di vaste estensioni di territorio. Già nel 972 i frati benedettini del monastero di San Pietro di Lodi Vecchio avevano deciso di intraprendere la bonifica del versante nord occidentale del lago Gerundo, per conquistare alle paludi e agli acquitrini nuovi terreni adatti alla coltivazione.

La data decisiva per il decollo produttivo ed economico del Lodigiano è comunque il 1220 (o, secondo altre fonti, il 1222). È l’anno in cui, infatti, dopo essersi combattuti accanitamente ai tempi di Federico Barbarossa(tra il 1150 e il 1158), milanesi e lodigiani uniscono le loro forze per realizzare un’opera civile senza precedenti e che trasformerà la regione a sudest di Milano in una delle aree agricole più prospere d’Europa.

Per ovviare al progressivo interramento e ristagnamento dell’Addetta (allora un ramo destro dell’Adda che scorreva da Cassano a Melegnano) si pensa di “recuperare” l’alveo di questo fiume per dare origine a un canale d’irrigazione per tutto il Lodigiano. Da Paullo si decide di far partire un canale artificiale scavato ex novo, parallelamente all’Adda e al Lambro. Con la consulenza tecnica degli esperti monaci benedettini e cistercensi, viene dato il via alla trasformazione e alla prosecuzione artificiale del corso naturale dell’Addetta, che da origine a un canale regolabile da parte dell’uomo a seconda delle variabili necessità dell’irrigazione. L’opera di trasformazione e di scavo si conclude nel 1230. Il nuovo canale fu dapprima chiamato Adda Nuova: ben presto però, dato che, come Aqua Mutia, prendeva le acque dall’Addetta, rubò il nome”Muzza” al piccolo canale di epoca romana, che, date le sue dimensioni, divenne invece la Muzzetta.

La Muzza ancora oggi deriva dall’Adda all’altezza di Cassano, scorre attraverso i territori di Trucazzano, Comazzo e Merlino fino alle Porte di Paullo. Qui le acque della Muzza vengono regolate e scaricate parzialmente nell’Addetta. La Muzza devia il suo corso verso sud, parallelamente all’Adda, passando per i territori di Mulazzano, Zelo Buon Persico e Cervignano, diretta alla centrale di Tavazzano e giungendo infine a Castigllone d’Adda, dove si ricongiunge all’Adda.

Una grande ricchezza d’acqua

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Anche a Zelo Buon Persico, l’abbondante disponibilità di acqua ha costituito una premessa importante fin dal Medio Evo per il compimento e la realizzazione di un’agricoltura avanzata e fiorente. 

Applicando alla lettera la regola di S. Benedetto, “ora et labora”, i monaci erano stati promotori di una serie di disboscamenti e di canalizzazioni, che avevano trasformato paludi e boscaglie, che costituivano allora una parte del territorio, in terreni fertili e coltivati.

Ad una attività uguale si dedicarono anche i benedettini che, a partire dal 1084, si insediarono in un nuovo monastero, sorto ad Abbadia Cerreto, poco oltre l’Adda: si ponevano così le premesse della grande agricoltura lodigiana, che duecento anni dopo avrebbe avuto un nuovo impulso dall’ apertura del canale di irrigazione Muzza.

La Muzza arriva nel comune di Zelo Buon Persico sfiorandone il confine sudovest con il comune di Mulazzano, dopo esser passata nel territori di Trucazzano, Comazzo, Merlino, Paullo e Mulazzano. L’acqua delle rogge che innervano l’area coltivata di Zelo Buon Persico proviene da bocche situate a nord del paese, nei comuni di Comazzo, Merlino e Paullo. L’accesso dell’acqua del canale Muzza alla rete irrigua di Zelo Buon Persico è regolato da chiuse situate al lati del canale in corrispondenza di piccole dighe artificiali. Ciascuna delle rogge ha una portata d’acqua (misurata in once al minuto) regolata mediante le chiuse, in base alle necessità del terreni attraversati.

A seconda dell’estensione della superficie agricola utilizzata, ogni azienda ha diritto a ricevere un determinato numero di once di acqua, in turni di tredici giorni, (tradizionalmente chiamati “ruote d’acqua”), nel corso del quali viene stabilito il numero di ore per utente necessarie per irrigare completamente ciascuna proprietà.

Nel territorio comunale di Zelo Buon Persico le rogge principali sono le seguenti:

roggia Muzzetta (l’antica Aqua Mutia di origine romana), che trasversalmente da Molinetto, a nordovest, passa per Muzzano, sfiora Molinazzo e arriva a Villa Pompeiana, a sudest;

                                                                    Roggia tipica

roggia Fasola, che da Zelo passa di fianco a Casolate e giunge a nord di Villa Pompeiana, dove si congiunge con la roggia Muzzetta;

roggia Fasolina, che bagna i terreni intorno a Bisnate;

roggia Zelo Ospitale (o Zela) che da Zelo raggiunge Mignete, da dove parte una diramazione per Casolate;

roggia Bertonica, che da Paullo entra nel comune zelasco all’altezza della fattoria Aurora, procede in linea retta verso Molinazzo, attraversando la zona di Muzzano, e continua a sud nell’area di Cervignano d’Adda.

Tra le altre rogge che irrigano il territorio comunale di Zelo sono da ricordare ancora la roggia Quartera a nord, la roggia Nuova a sud. Sotto il profilo paesaggistico e naturalistico i corsi d’acqua più interessanti sono la roggia Muzzetta, in particolare nell’ultimo tratto sinuoso, prima di sfociare nel Mortone; la roggia Bertonica, che nel tratto più distante dall’Adda scorre ai piedi di una scarpata alberata, per poi formare alcuni impaludamenti ricchi di vegetazione; infine il colo Calandrone (al confine tra i comuni di Zelo e Merlino) che nel tratto orientale, prima di arrivare nella lanca a nord di Bisnate, scorre ai piedi di un dislivello ricco di alberi.

Fino all’inizio della seconda guerra mondiale l’acqua delle rogge veniva utilizzata, oltre che per irrigare, anche per abbeverare il bestiame. Durante l’inverno, allorché le acque della rete irrigua gelavano, il ghiaccio prodotto veniva stipato presso molte cascine in ghiacciaie appositamente edificate per preservarlo il più a lungo possibile. 

Le ghiacciaie, diffuse ancora fin verso la seconda guerra mondiale, erano costruzioni in gran parte scavate in profondità dentro la terra, con il tetto coperto di paglia di riso (impermeabilizzante e isolante) e di zolle di terra, tante da formare un piccolo dosso artificiale.

Il ghiaccio stipato lì dentro veniva utilizzato in estate per gli scopi più diversi: per avere acqua fredda dissetante, ma soprattutto per conservare al fresco il burro prodotto ed evitare che si irrancidisse per il caldo. 

A Zelo Buon Persico c’è tuttora una di queste ghiacciaie: risale presumibilmente al primo Ottocento, è scavata nel terreno per una profondità di circa sette metri e si trova sul retro di un edifìcio settecentesco in via Muzzano (quasi all’incrocio con via Giussano) che fino al 1987 ha ospitato l’agenzia dei beni patrimoniali dell’Ospedale Maggiore di Milano, istituita per seguire e curare direttamente sul posto l’andamento delle proprietà dell’ente nell’area di Zelo Buon Persico.

Agellum Gomperticum

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Il nome di Zelo Buon Persico deriva probabilmente dalla corruzione del latino agellum Gomperticum (cioè “piccolo podere di Gomperto”). Secondo alcuni studiosi, la denominazione agellum sarebbe dovuta alla particolare ubicazione del podere in origine, situato già all’epoca del romani tra due grandi proprietà: l’Agrum Martianum (da cui l’odierna Marzano) e l’Agrum Mutianum (oggi Muzzano).

Un primo documento scritto in cui compare il nome di Zelo è  del 972, la pergamena originale è andata perduta, e ne esiste solo una copia fatta nel 1500 da Defendente Lodi: questo documento fu decifrato e trascritto, insieme a molti altri, rinvenuti anche nella Biblioteca comunale di Lodi e nell’Archivio di Stato di Milano, dal sacerdote Cesare Vignati, uno storico lodigiano, verso la metà dell’800. 

Il Vignati pubblicò poi, tra il 1879 e il 1885, il testo di tutte le pergamene in 3 volumi, che intitolò “Codice Diplomatico Laudense”. Si tratta di testi molto vari: contratti, diplomi, testamenti, che coprono un periodo che va dal 759 al 1300. 

L’atto dell’anno 972 che ci interessa è firmato dal vescovo di Lodi, Andrea, e dai suoi consiglieri: sono circa 20, tra preti, diaconi e suddiaconi. Nel documento Andrea concede ai monaci del Monastero Benedettino di S.Pietro presso le mura di Lodi (si tratta di Lodivecchio, cioè dell’antica Laus) l’esenzione dal pagamento delle decime su beni, campi e vigneti che essi avevano nella diocesi: in tutto sono nominati una quarantina di paesi, segno evidente della ricchezza del monastero di Lodivecchio; citati troviamo Mulazzano, Quartiano, Cassino, Paullo, Zelo e Dresano.

Le decime, erano un elemento importantissimo delle entrate ecclesiastiche; teoricamente si trattava di versare alla Chiesa la decima parte del reddito da parte di chiunque ricavasse frutti dal suolo, dalle acque, dall’allevamento degli animali: era un obbligo per tutti i fedeli, che spesso lo pagavano in natura.

Una parte di queste decime era trattenuta dalla chiesa locale, il resto andava al vescovo.

Esistevano decime  “straordinarie”, diverse da quelle che dovevano essere pagate ogni anno dai fedeli alle Parrocchie e al Vescovo; in questi casi era il Papa stesso che, a seconda dei bisogni della Sede Apostolica, imponeva un tributo straordinario alle Diocesi e alle Parrocchie.

Resta da parlare di Andrea, un vescovo longobardo di nascita, che regge la diocesi di Lodi per più di 30 anni, dal 970 al 1002, e che risulta anche un vero e proprio feudatario, investito di autorità temporale da parte dell’imperatore.

Come abbiamo detto, era il momento in cui gli imperatori tedeschi, per controbilanciare il potere dei feudatari, concedevano ai vescovi tutta una serie di privilegi e cariche: cosi Andrea ottiene da Ottone I e da Ottone II potere sulle mura cittadine e sui mercati, sui boschi, i corsi d’acqua ed i mulini della campagna; il tutto per un raggio di 7 miglia attorno alla città.

In un documento conservato nell’Archivio vescovile di Lodi,  nel XII secolo un certo Gompertus. risulta come proprietario di alcuni terreni dell’attuale area comunale di Zelo.

Nell’anno 836. Il nome Agello appare, in un documento redatto a Milano quell’anno, tra le proprietà di uno straniero, di nome Unger, residente a Milano, che dichiara di voler assegnare i suoi beni a Guzone.

Nell’anno 1112, Dolcevita ed Enrico, figli di Amizone de Agello, de civitate Lauda (nel circondario di Lodi) concedono in livello a Ottone e Ambrogio da Cornate alcune terre del vescovado di Lodi, esteso tra Casolate e Galgagnano.

Il 24 marzo 1219, da un atto notarile stilato in tale data risulta che i sindaci, i procuratori, i messi e i consoli, insieme ad altra gente sia di Zelo sia di altri paesi limitrofi guidati da Musso, prete della chiesa di sant’Andrea, vendono al sindaco di Lodi, Gualtiero Dulciano, il castello, trattenendone solo una piccola parte come proprietà del monastero di san Simpliciano, per il prezzo di cento lire. L’atto è stipulato e affrancato dal notalo Anselmo Maroesio, alla presenza di cinque testimoni. 

Questo documento attesta quindi, da un lato, l’importanza del castello di Zelo e, dall’altro, una certa influenza raggiunta dalla comunità zelasca nei confronti dei paesi del dintorni.

Nell’anno 1261, la chiesa di Sant’Andrea di Zelo e il monastero di Santa Maria devono pagare al legato pontificio Guala una decima “straordinaria” rispettivamente di tre soldi e mezzo e tre soldi, questa è la richiesta di un contributo per finanziare la guerra che il Papa stava conducendo in quegli anni contro Manfredi, re di Sicilia. 

Non è chiaro chi fosse il papa che aveva ordinato la raccolta: nel 1261, infatti, muore Alessandro IV (25.03.1261) ed è eletto Urbano IV (4.09.1261). Dopo la frase iniziale “Haec talia domini Gualae notarti et legati domini Papae, MCCLXI ” (traduzione: “Questa è la tassa del notaio Guala, legato del Papa, anno 1261”), il documento nomina circa 180 tra chiese, Ospedali e monasteri del lodigiano, con tasse diverse, maggiori per le istituzioni più importanti.

Nell’anno 1493, gli zelaschi assegnano all’ordine dei domenicani la chiesa di San Pietro, da poco eretta sul luogo in cui in precedenza sorgeva il monastero di Santa Maria, con tredici pertiche di terra come rendita.

Nell’anno 1500, il beneficio parrocchiale della chiesa di Sant’Andrea viene elevato a commenda a favore della famiglia Barni di Lodi. Anno 1502. Zelo  viene saccheggiato di passaggio dalle truppe francesi di Carlo VIII, in marcia di trasferimento da Milano a Napoli.

Il 10 aprile 1509, nel corso della guerra tra Francia e Ducato di Milano contro la Repubblica di Venezia, viene catturata a Zelo una spia veneta, che sarà poi condotta a Lodi, processata e impiccata

11 19 aprile settembre 1521, una compagnia di guasconi, facenti parte delle truppe francesi, devasta alcuni paesi del Paullese, tra cui Zelo. 

Nell’anno 1546, il feudo di Zelo viene ceduto al principi Tassis  che lo conservano fino all’estinzione dei feudi nel 1782. La famiglia Tassis aveva ottenuto la cittadinanza milanese fin dal 1457 da parte di Francesco Sforza I.

Zelo Buon Persico feudale indice

Per sostenere le guerre che periodicamente dissanguavano le casse dello stato, il governo spagnolo era sempre alla ricerca di soldi; e siccome non era molto efficiente nella amministrazione, aveva trovato la maniera di appaltare tutto: dazi, dogane, il monopolio del sale, quello dei tabacchi, della polvere da sparo, le poste, i trasporti.

I soldi però non bastavano mai, e il governo cominciò a praticare la vendita dei feudi: in 150 anni (dal 1554 al 1706) gli spagnoli vendettero nel Ducato di Milano ben 276 feudi.

Il nuovo sistema feudale non aveva però niente a che vedere con quello medioevale: là il feudatario era proprietario dei terreni del suo feudo, aveva diritto di vita e di morte sui suoi sudditi, aveva l’obbligo di fornire soldati e schierarsi in guerra col sovrano; qui il potere del feudatario era ormai svuotato di contenuti, e si riduceva quasi solo al titolo onorifico; il titolare del feudo poteva benissimo non possedere neanche un podere nel suo territorio aveva però il titolo di marchese o di conte, a seconda dell’estensione del feudo, e il diritto di giudicare i sudditi. 

In realtà poteva giudicare solo i rurali e nelle questioni minori, perché le cause importanti e quelle in cui era coinvolto un cittadino erano demandate al giudice della città. 

Chi voleva comprare un feudo doveva partecipare ad un’asta fatta dal Governo, e il prezzo base era commisurato al numero dei fuochi, cioè delle famiglie, ed al numero e al valore degli eventuali privilegi collegati. 

Versata la somma pattuita, il neo conte o marchese doveva prestare giuramento di fedeltà al re e al governatore, e doveva ripeterlo ad ogni successione. 

A sua volta il feudatario, al momento dell’investitura, raccoglieva il giuramento di fedeltà da parte dei suoi sudditi.

Il titolo era trasmissibile solo per linea maschile: alla morte del titolare, in mancanza di figli maschi, il feudo tornava allo stato, e veniva rimesso all’asta.

Una comunità poteca opporsi all’infeudazione ma solo nel caso che fosse pronta a pagare, con grave sacrificio finanziario, il prezzo della propria libertà: questo fatto si chiamava “redenzione“. 

Il demanio concedeva però alle comunità che volevano redimersi un anno di tempo, e in genere il prezzo da pagare per la redenzione era inferiore di 1/3 rispetto a quello dell’avviso d’asta.  

Prima di un’asta, il governo mandava un avvocato fiscale a fare quella che si chiamava l’apprensione del feudo, cioè la presa di conoscenza di tutti gli elementi che potevano concorrere a definire il valore base dell’asta. 

Nel 1538 il governo spagnolo vende il feudo di Paullo e terre unite adAntonio Carcassola il feudo comprende 7 comunità: Paullo, Bisnate, Zelo Buon Persico,Marzano,Quartiano,Cervignano Mulazzano. 

Otto anni dopo (13 agosto 1346) il feudo stesso viene rivenduto aSimone Tassi, cui era stato promesso due anni prima nientemeno che dall’imperatore Carlo V

I Tassi erano un’illustre casata, originaria di Cornello in Val Brembana, e avevano la signoria della valle di Cornello e delle vicine montagne. 

Cominciarono ad esercitare nel Bergamasco l’ufficio di corriere, ma ben presto la famiglia si estese in diversi paesi, specializzandosi nell’organizzare il servizio postale. 

Già nel 1496 si trova un Tassi “Maestro delle Poste” per i collegamenti tra il Ducato di Milano e la Corte dell’Imperatore Massimiliano.

Nel 1332, per ordine di Carlo V, Simone Tassi fu nominato Mastro delle Poste di Sua Maestà Cesarea a Milano, ma anche i fratelli di Simone, nel XVI secolo, divennero responsabili dei servizi postali in tutta Europa, contemporaneamente a Venezia, a Roma, in Austria, in Spagna e nelle Fiandre, e trasmisero queste cariche ai loro discendenti.

Inizialmente la posta così organizzata era esclusivamente un servizio di Stato, ma ben presto i Tassi cominciarono ad accettare lettere e pacchi di persone private, nonostante il divieto in proposito: così si spiega il segreto degli enormi guadagni di questa famiglia che, usufruendo di una organizzazione pagata dallo Stato, godevano anche i proventi del servizio pubblico. 

I servizi postali erano esplicati da corrieri a cavallo, ma anche da diligenze, che potevano trasportare anche viaggiatori. 

Fino al 1673 il feudo comprendente Zelo Buon persico rimane per discendenza al marchese Antonio Tassi, alla morte del marchese avvenuta nello stesso anno senza discendenti maschi il feudo torna di proprietà del governo, che fa una nuova “apprensione”, per poterlo rimettere all’asta.

Purtroppo i documenti relativi al feudo successivi al 1673 non ci sono più: all’Archivio di Stato di Milano il raccoglitore che doveva raggrupparli risulta vuoto. Possiamo solo ricostruire, con alcuni dubbi, la storia successiva del feudo, sulla base di un elenco – questo è rimasto – dei documenti scomparsi. 

Il feudo sarebbe stato rilasciato nel 1674 ad un ramo laterale della famiglia Tassi, passando ad un marchese PierFrancesco, poi a un marchese Michele (1687) diventato poi Principe nel 1702, e infine al Principe Antonio Della Torre Tassi.  

Settecentesca chiesa di Zelo Buon Persico

 

La Pandina e il “Bernabò” indice

Osservando una carta geografica un po’ particolareggiata del sud-Milano, non si può fare a meno di notare, un tratto di strada perfettamente rettilineo, che, partendo da Melegnano, passa per Mulazzano e si arresta a Villa Pompeiana, incontrando l’Adda. 

E’la strada Provinciale numero 138, strada “Pandina”. 

Ma se il nostro osservatore guarda oltre il  fiume, si accorge che da Spino d’Adda, parte un altro tratto rettilineo di strada di circa 3 chilometri, che arriva a Pandino, e che è esattamente sulla stessa linea della strada Melegnano – Villa Pompeiana.  

La spiegazione di questa stranezza dobbiamo cercarla  ai tempi di Bernabò Visconti. 

Era la metà del 1300, e alla morte di Giovanni Visconti, signore di Milano, i due fratelli Galeazzo II e Bernabò si erano accordati sulla spartizione del potere. 

Galeazzo ebbe i territori e i castelli di Monza, Vigevano e Abbiate, Bernabò quelli di Melegnano, Pandino e Vaprio d’Adda, mentre la città e il contado di Milano vennero divisi a metà. 

I due fratelli erano diversissimi: Galeazzo più bello, con lunghi capelli biondi da paggio, il volto incorniciato da una barba ben curata; Bernabò al contrario rozzo, egoista, crudele. 

Bernabò dotato di una vitalità quasi animale, si esaltava nella violenza delle armi. Aveva una splendida moglie , Regina della Scala, dalla quale ebbe 15 figli; nonostante questo, cercava continuamente il fascino di altre donne, seminando i suoi feudi di figli. 

Nel castello di Melegnano Bernabò trascorreva diversi mesi dell’anno, alternando le cure dello stato con la caccia, burle di cattivo gusto e divertimenti vari: alcuni episodi della sua vita sono diventati leggenda. 

E’ noto il dilemma che egli pose nel 1362 ai due Legati di papa Innocenzo VI, che gli portavano il decreto di scomunica. Bernabò andò loro incontro sul ponte del Lambro, e quando uno dei messi, l’abate Guglielmo da Grimoard, ebbe finito la lettura della bolla pontifìcia, gli chiese se preferiva mangiare o bere. 

E siccome pareva che il Legato non capisse, gli disse chiaro e tondo che doveva scegliere tra mangiare la bolla o buttarsi nel Lambro a bere l’acqua del fiume.

Guglielmo preferì ovviamente ingoiare la bolla, la funicella e il sigillo di ceralacca, sotto gli occhi compiaciuti di Bernabò e della sua corte. 

Di questa bravata Bernabò dovette poi pentirsi, perché Guglielmo, diventato papa nello stesso anno col nome di Urbano V, non dimenticò l’offesa ricevuta, e si affrettò a dichiarare eretico il Visconti. 

Un altro episodio molto noto è quello che racconta di Bernabò che, andando a caccia nei boschi attorno a Melegnano, si era perso e, incontrato un contadino di Dresano, gli aveva chiesto di fargli da guida. 

Cammin facendo, il contadino, che non aveva riconosciuto Bernabò, si era lasciato andare a dire peste e corna del signore di Melegnano e, arrivati al castello, si era accorto troppo tardi dell’identità del suo interlocutore. A dispetto delle sue paure, il malcapitato si era visto però perdonare e anzi premiare per la sua sincerità.

Un’altra storia è quella che vuole che a Pedriano ci fosse un grosso allevamento di cani, che, oltre ad accompagnare il Visconti nelle sue battute di caccia, avrebbero avuto il compito di eliminare le vittime delle sue efferatezze. 

A Bernabò si deve la costruzione di altri castelli, oltre a Melegnano: Pandino, Desio, Senago e Cusago. 

Nessuno di questi castelli fu costruito in posizione militarmente strategica, e risulta così verosimile, come riferito da alcuni storici, che i cinque castelli siano sorti soprattutto per il diletto di Bernabò: dentro le loro mura il signore cercava l’isolamento, la tranquillità, e soprattutto la possibilità di poter praticare nei dintorni la caccia, per la quale aveva una passione quasi maniacale. 

Dalle numerose lettere scritte dalle varie residenze (escludendo quelle scritte da Milano, se ne contano circa 250), risulta che le località più frequentate da Bernabò furono Pandino e Melegnano. 

E’ naturale, quindi, che egli decidesse di far costruire una strada di collegamento tra le due località: è la strada Pandina, un lungo rettilineo di circa 18 chilometri che collegava i due castelli, e che sicuramente prevedeva un ponte sulla Muzza a Mulazzano e un attraversamento dell’Adda (semplice guado, traghetto o addirittura un ponte in legno?) all’altezza di Villa Pompeiana. 

Non esistono documenti sulla data di costruzione della Pandina, ma dobbiamo pensare che debba collocarsi dopo il 1355, anno in cui, avendo ottenuto il potere insieme al fratello, Bernabò poteva disporre facilmente dei capitali necessari. 

Bernabò morì nel 1385, dopo 6 mesi di prigionia nel castello di Trezzo, dopo esser stato spodestato dal nipote GianGaleazzo, che divenne così signore assoluto.

Il castello di Melegnano, dopo i Visconti, passò agli Sforza, poi ai Brivio , e infine nel 1332 alla famiglia Medici.Quello di Pandino divenne proprietà dei Sanseverino, poi dei Veneziani, poi di nuovo dei Sanseverino, finché a metà ‘500 venne acquistato dai D’Adda. 

In sostanza non molto tempo dopo la morte di Bernabò i due castelli non furono più dello stesso proprietario, ne c’era chi dovesse spostarsi frequentemente da un castello all’altro.

L’importanza della strada diminuì, anche se una carta del Lodigiano del 1709 la riporta ancora in evidenza in tutto il suo percorso, e pare indicare un ponte a Villa Pompeiana.

Probabilmente nell”800 il passaggio sull’Adda di Villa fu abbandonato, e il tratto di strada oltre l’Adda fu declassato a livello di sentiero campestre. 

Nelle carte dell’archivio di Stato di Milano vi è una bella descrizione della strada Pandina, che risale al 1700: 

….la strada Pandina conduce da Marignano all’Adda, cioè al porto regale di Spino, da dove si passa a esso luogo di Spino, indi a Pandino, a Vailate e poi a Crema, ed è strada sempre dritta, ampia, e si può dire quasi deliziosa per la dirittura, per la larghezza del sito e l’altezza e amenità degli arbori che la ombreggiano, ed è la via più breve da Milano a Crema, mentre tenendo la via di Lodi si allunga cinque miglia…”.

 

Le frazioni

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Bisnate

L’origine e il nome di questa frazione sono fatti risalire al IV secolo a.C., durante la dominazione dei Galli Boi. È sempre stato un importante punto di passaggio per l’attraversamento dell’Adda, che qui è più stretto rispetto al suo corso normale.

Nell’undicesimo secolo viene innalzata una prima postazione fortificata, per il controllo del passaggio, che darà in seguito origine a un castello. 

Nell’anno 1239, l’imperatore Federico II, in guerra contro i milanesi, si accampa con il suo esercito tra Bisnate e Casolate. 

Nel Settembre 1449, dopo la conquista di Lodi da parte di Francesco Sforza il 12 settembre 1449, le truppe sforzesche raggiungono a Bisnate i veneziani in fuga e li spogliano di armi, cavalli e bagagli. Interviene personalmente Francesco Sforza che fa loro restituire ogni cosa e li fa attraversare l’Adda a Lodi. Per intervento di papa Niccolò V, sempre a Lodi viene conclusa la pace il 9 aprile 1454 tra Ducato di Milano e Repubblica di Venezia. 

Anno 1465. Cristoforo Spilimberto de’ Cani risulta signore di Bisnate. 

Nel Maggio 1509, dopo la battaglia di Agnadello tra Francia e Repubblica di Venezia viene gettato un ponte di barche sull’Adda per permettere il passaggio del fiume ai sudditi veneziani venuti a riconoscere i propri morti.

Nell’anno 1531, Pietro de’ Cani di Bisnate cede alcuni beni alla chiesa dell’Incoronata di Lodi.

Nell’anno 1546, il feudo di Bisnate viene ceduto al principe Simone Tassis, famiglia di origine napoletana, ma divenuta milanese dal 1457.

Nell’anno 1552, Marcello de’ Cani pubblica a Pavla “L’Amorosa Feni­ce”, descrizione delle belle donne lodigiane dell’epoca. 

Nell’anno 1600, Agesilao de’ Cani è nominato Commendatore di Milano. 

Anno 1815, per ordine del governo austriaco, viene costruito un ponte in legno, in sostituzione dell’antico porto con traghetto, a spese dei comuni di Bisnate e Spino d’Adda. 

Anno 1859, il ponte di legno costruito nel 1815 viene distrutto dagli austriaci in ritirata, nel corso della seconda guerra d’indipendenza.

Nell’anno 1901, viene inaugurato il ponte sull’Adda, a cinque arcate in cotto e muratura, in occasione della sistemazione della strada tra Milano e Pandino.

Ponte vecchio

Casolate

Anno 900, in un documento di quest’anno riguardante uno scambio di beni tra il monastero di Lodi e quello di Nonantola sono citati Giseperto e Ambrosiano “de vico Casolate”. 

23 ottobre 1147, in un atto concernente la proprietà di un bosco presso l’Adda, detto Gerra o Addella, viene citato Bonushomo de Casolate come testimone a favore del vescovo di Lodi contro i contadini di Cervignano.

Anno 1148, il vescovo Lanfranco concede in affitto ad Alberto Prandoni di Casolate e ad Amico de Mignado (cioè Mignete) una cava di ghiaia in località Addella.

Anno 1156, il vescovo Lanfranco conferma il contratto d’affitto del bosco dell’Addella In presenza del prete Gulfredo e del prete Rolando “di Casolai”.

Anno 1239, tra Casolate e Bisnate si accampa l’esercito di Federi co II, in guerra contro i milanesi.

Anno 1261, la chiesa di Casolate deve pagare al legato pontifìcio Guala cinque soldi imperiali per la guerra contro Manfredi in Sicilia. 

Anno 1488, Francesco Sforza stabilisce a Casolate il suo quartier generale nella guerra contro la Repubblica di Venezia. 

Anno 1609, Casolate è ancora feudo della famiglia de’ Cani di Bisnate.

Anno 1650, Casolate diventa feudo del conti Melzi Malingegni, fino all’estinzione del feudi nel 1782.

Anno 1757, nasce a Casolate Francesco Piazza (1757-1829), sacerdote e fondatore dell’ordine delle religiose Domenicane del Santo Rosario (diffusosi poi anche a Zelo Buon Persico, Comazzo e Lavagna) e di un istituto per fanciulle.

Anno 1831, viene costruito il Convitto-scuola femminile di San Domenico.

Mignete

Anno 1261, la chiesa di Migate (cioè Mignete), facente parte della pieve di Galgagnano, paga al legato pontificio Guala tredici denari imperiali in aiuto alle spese della guerra contro Manfredi di Svevia in Sicilia.

Anno 1538, il feudo di Mignete viene ceduto a Giovanni de’ Cani di Bisnate.

Anno 1543, Tommaso Codazzi, canonico della chiesa milanese di santa Maria della Scala, risulta commendatore della chiesa di Mignete. 

Anno 1668, il feudo di Mignete viene venduto, per diploma di Carlo II, a Cecilia Besozzi vedova Bovesana, al prezzo di 50 lire per fuoco (cioè focolare e quindi famiglia, in numero di 50); passa poi al conte Cesare Bovesana e infine al reggente Carlo Maria Crivelli.

Villa Pompeiana

L’origine del nome è legata alla probabile presenza di una villa (e di un porto fluviale) di proprietà del patrizio romano Gneo Pompeo Strabene (150-80 a.C.) negli anni intorno al 120 a.C. 

Anno 1100, in una bolla di papa Alessandro II confermante i diritti dei monasteri delle Vergini di Pavia, tra i diversi possedimenti viene citato “in laudensi Episcopatum Villam Pulpignanam cum Capella Sancti Michaelis“, dove “Villam Pulpignanam” è la trascrizione latina del nome in volgare di Villa Pompeiana.

Anno 1194, viene fondata la chiesa di Santa Maria di Montebello da Pietro Bello di Bisnate, che sarà poi dotata degli arredi necessari dal figlio Gregorio. Nel documento attestante l’evento viene citato tra l’altro il “Mare Gerondo”.

Anno 1272, la chiesa di Santa Maria ottiene dal vescovo di Lodi un sedime di terra per il mantenimento del prete Bonaventura e per le spese di culto.

Anno 1358, la rettoria di Villa Pompeiana data in commenda al nobile lodigiano Berinzaghi.

Anno 1388, il sedime di terra della chiesa di Santa Maria viene affidato a Maffeo Vegio.

Anno 1423, l’umanista Maffeo Vegio (forse parente dell’omonimo appena citato) scrive a Villa Pompeiana la “Cantica Pompeiana”. 

Anno 1518, la rettoria di Villa Pompeiana viene data in commenda a Gabriele Barni, cameriere di papa Leone X e commendatore anche della chiesa di Cervignano.

Links e riferimenti indice
  • AGELLUM Storia di Zelo Buon Persico di Giuseppe Aliverti

  • MULAZZANO 1000 Anni di storia di Giovanni Canzi

 

web.tiscali.it/curiosandomax/storia/Agellum.htm

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