Essere Animatore

Cosa vuol dire essere animatori?
 

Essere animatori in oratorio significa mettersi a disposizione, totalmente e gratuitamente, per aiutare i bambini a crescere nel gioco e nelle attività. Il ruolo dell’animatore non è puramente materiale-organizzativo, ma deve essere quello di un educatore che ride, scherza, gioca e magari rimprovera il ragazzo che sbaglia aiutandolo a capire quale sia la via migliore per risolvere i problemi personali e con gli altri. Si può fare l’animatore e mettersi a disposizione  solamente in estate per occupare il proprio tempo  libero, magari pensando che il compito che ci è richiesto sia solamente organizzare giochi, attività e sgridare qualche bambino per sentirsi autorevoli. Ma essere veramente animatore implica una partecipazione individuale non solamente nel contesto dell’oratorio estivo, ma anche durante l’inverno e nelle domeniche durante l’anno, anche a Messa.Un bambino che vede l’animatore durante l’estate e basta è facile che pensi che il nostro ruolo si completi solo in questo contesto, ma se ci vede durante tutto l’anno, anche solo per pochi minuti, penso capisca che l’animatore non è solo un riferimento dell’estate ma piuttosto un ragazzo presente sempre, con cui può parlare e confrontarsi.

Se volessimo solo soffermarci all’aspetto pratico dell’essere animatori, non considerando ciò che sta alla base dell’esperienza di animatore in oratorio, cioè Dio, ci capiterebbe spesso di arrenderci, gettare la spugna e cercare di evitare gli incarichi che ci sono chiesti perché sono “stancanti”.

L’animatore vero è invece chi, sentendo i bambini come amici e fratelli,con una forza che gli viene dal cuore, si applica ogni giorno, ogni ora ed ogni istante dell’oratorio, senza fermarsi davanti alle difficoltà, perché vuole che sia tutto perfetto per i suoi amici e che sia per loro un momento in cui, oltre a divertirsi, si riesca ad imparare qualcosa di nuovo. Non solo per i ragazzi, ma anche per gli animatori.

Quello che conta, nell’essere un animatore in oratorio, è insegnare i valori cristiani, facendo capire ai bambini che anche partecipare alla Messa non è un momento triste ma piuttosto gioioso e di festa.

Per essere un vero animatore non bisogna essere ragazzi particolari, bravi in tutte le attività, ma piuttosto esser disposti ad essere umili, pronti a rispondere alla chiamata di un bambino che ci chiede aiuto, che vuole ascoltare una storia, che vuole giocare a pallone o vuole essere consolato, insegnando il comportamento più adatto per vivere con gli altri senza imboscarsi, scappare di fronte alle difficoltà o mettendo a tacere la chiamata che ci ha spinti veramente a diventare animatori.

Così, le tre parole che porteranno ad essere un vero animatore sono: Fede, umiltà e carità (cioè disponibilità).

 

Vogliamo essere animatori così 
Decalogo animatore

 

1. La direzione dell’animatore è la direzione di Cristo: una e una sola!

2. Se c’è un metodo è lo stesso metodo di Dio: a) non sta dietro la cattedra ad insegnare; si siede in mezzo ai ragazzi per testimoniare, b) Condivide la loro vita e li conosce personalmente uno per uno, li chiama per nome.

3. L’obiettivo è “presentare i ragazzi a Dio oltre che solo Dio ai ragazzi” (la preghiera).

4. Portare nel cuore le realtà di vita di ognuno e farlo diventare un offertorio costante nella propria vita di preghiera (prega per il gruppo e per ciascun componente del gruppo).

5. Non pensare che il gruppo è completo e ti appartiene perché manca sempre qualcuno (la pecorella smarrita da andare a cercare).

6. La cosa bella è che l’animatore cresce nella misura in cui crescono i ragazzi.

7. Ricordati però che non sei solo, condividi questo servizio con altri con i quali devi essere in comunione di preghiera e di azione.

8. Parrocchia ma non troppa: la tua spiritualità è laicale: nel mondo attento alle cose del mondo (non chiudersi in sacrestia). Dì ai tuoi ragazzi di andare in piazza a fare le vasche… da cristiani però.

9. Se riconosci di avere il carisma dell’educatore, coltivalo! (parabola di talenti); prega e usa i mezzi specifici che la Chiesa e/o il tuo gruppo ti da.

10. “Animatore fai da te? no Diotour? AHI – AHI – AHI”.

 

 

Il decalogo dell’animatore che ha l’oratorio nel cuore
Noi ci impegniamo a fare un oratorio così:

1. Un oratorio bello.
In oratorio viviamo relazioni belle (il bello è la manifestazione del bene),relazioni sincere, gratuite, relazioni che suscitano stupore, che fanno la differenza. La vera differenza fa la differenza.
Dove non c’è differenza, c’è indifferenza .   (Fraçois Oliver)

2. Un oratorio accogliente, ospitale, benevolo.
In oratorio le porte non le chiudiamo a nessuno che chiede sinceramente di venire: ogni persona è rispettata nella sua dignità; ci vogliamo bene e impariamo a voler bene.   In oratorio si coltiva l’arte di accogliere, di incontrare l’altro: ognuno è ben-voluto, atteso, stimato, amato.

3. Un oratorio pensoso, ricco di idee.
In oratorio non diamo niente per scontato; diamo la caccia all’ovvio; ci facciamo sempre tante domande; ci chiediamo il perché di tutto.
Le idee valgono per quel che costano, non per quanto rendono  (P. Bevilacqua)

4. Un oratorio intelligente.
In oratorio non facciamo cose banali, superficiali  per attirare la gente; fuggiamo dai luoghi comuni, non seguiamo le mode; facciamo cose speciali, controcorrente; guardiamo quello che c’è nel cuore delle persone, non quello che appare.
Quello che c’è in fondo al cuore non muore mai.
5. Un oratorio aperto, senza porte.
In oratorio ci prendiamo cura di tutti; andiamo su  tutte le strade  del nostro quartiere alla ricerca di tutti: tutti sono cercati, tutti sono desiderati: ognuno offre se stesso al desiderio dell’altro come desiderio dell’altro, perché ognuno desidera un desiderio che lo desidera e tutti desideriamo di essere desiderati .Senza uno sguardo che accoglie., nessun essere umano potrebbe vivere.
Il tu è parola più antica dell’io.
6. Un oratorio attivo, impegnato.
In oratorio lavoriamo insieme, gli educatori e gli animatori fanno squadra; si cammina in cordata.  In oratorio nessuno viene per buttare via il tempo o perché non sa dove andare o che cosa fare; tutti ci prendiamo una responsabilità da svolgere,  un servizio da compiere per il bene di tutti.
Tutti sono in campo nessuno è in panchina

7. Un oratorio gratuito.
In oratorio conta di più chi conta di meno; il più grande è il più piccolo;  l’altro è un volto da scoprire, accarezzare, contemplare.  In oratorio c’è il rifiuto totale della violenza; non ha spazio la forza; non sono osannati i vincenti, si riparte sempre dagli ultimi perché l’oratorio è di tutti: nessuno deve pagare per venire all’oratorio
Tutti corrono con gli ultimi

8. Un oratorio che cammina dentro la storia.
In oratorio ci facciamo trasportare dal vento della solidarietà; teniamo in mano il bastone del pellegrino e portiamo con noi anche la bisaccia del cercatore, del mendicante, per scoprire la verità di Dio nelle pieghe della storia, per comprendere il senso degli avvenimenti, per  costruire un mondo più solidale, più fraterno, più in pace
La pace incomincia da noi

9. Un oratorio aperto al mistero,  eccentrico, insoddisfatto, sporgente, come un promontorio, sull’Assoluto.  In oratorio cerchiamo spazi di silenzio e coltiviamo una attitudine contemplativa perché il cuore di ogni persona è fatto per Dio:
Il nostro cuore è inquieto finchè non riposta in Te (S. Agostino)

10. Un oratorio dentro la nostra città
La nostra  città è viva, ha un volto, un’anima, un destino:  Noi vogliamo bene alla nostra città; noi vogliamo aver cura della nostra città; noi vogliamo che nessuno faccia del male alla nostra città; noi vogliamo custodire gelosamente la memoria della nostra città;
La nostra città è la nostra casa, ma è anche la casa dove abita Dio.

 

Il credo dell’animatore

1. Ogni uomo si porta dentro una sua storia. Crede in qualcosa o non crede più a nulla. Questa “fede” condiziona intensamente la sua lettura del reale e i suoi progetti. Noi ci sentiamo dentro una storia più grande di noi. E nostra, ma ci supera e ci convoca. Raccontiamo con la nostra vita questa storia, perché sogniamo che molti altri amici ritrovino in essa ragioni per vivere, per sperare, per impegnarsi, persino per morire. Questa storia è la storia della passione di Dio per la vita dell’uomo. Una storia che si chiama Gesù di Nazareth, Maria, Paolo di Tarso, Francesco d’Assisi, don Bosco, Teresa di Calcutta, Franco, Paola, Ivana, Mario, Pietro… tu, io e tanti altri.

2. Trascinati da questa storia, crediamo alla persona di ogni uomo, prima di tutto. Solo la persona è il nostro grande assoluto. Sappiamo che viviamo in una situazione di crisi drammatica e complessa. Sappiamo che la persona è al centro di una trama di relazioni politiche, economiche, culturali, che la condizionano e spesso la soffocano. Sappiamo che non possiamo ritagliarci un’oasi felice, dove non rimbombino i problemi strutturali. La storia a cui crediamo e che vogliamo raccontare ci ha convinti però di un fatto: rendere un uomo felice, restituendogli la gioia di vivere, è una piccola cosa nella mischia delle sopraffazioni, degli intrighi, degli sfruttamenti e delle violenze; ma è cosa tanto grande e affascinante, che vale la pena di perdere la propria vita per perseguirla.

3. Per questo crediamo nell’educazione. E siamo disposti a scommettere sulla sua forza politica e sulla sua capacità di rigenerare l’uomo e la società. Certo, le ragioni della crisi diffusa sono molte e complesse. Richiedono interventi molteplici e articolati. Se l’educazione aiuta a vivere e restituisce quel futuro che è spesso defraudato, essa può far uscire dalla crisi.

4. La nostra scommessa per l’educazione non è un’opzione indifferenziata. Troppo importante è l’uomo e la sua vita, per restare nel generico, facendo finta di ignorare in quanti modelli diversificati abbia preso corpo l’educazione. Per noi educazione è animazione: l’animazione è lo stile con cui si fa educazione. L’animazione non è un capitolo dell’educazione: è invece tutto il suo libro.

5. L’animazione è una antropologia. E cioè un modo di pensare all’uomo, ai suoi dinamismi, ai processi in cui gioca la sua maturazione. Ecco la nostra scommessa sull’uomo, come l’abbiamo scoperta progressivamente nella storia che ci è stata narrata. Ogni uomo è stato fatto capace di autoliberazione. Per autoliberarsi è indispensabile assumere una coscienza riflessa e critica di se stesso, della propria storia, degli altri e del mondo. Questa coscienza riflessa e critica è prodotta, sostenuta, incoraggiata dalla relazione interpersonale e soprattutto da quel modello di relazione educativa e comunicativa che è rappresentato dal rapporto di giovani e adulti.

6. L’animazione è anche un metodo: seleziona le risorse educative disponibili in una istituzione e le organizza scientificamente in un modello di relazione educativa e comunicativa, in una strategia fatta di tempi, di luoghi, di agenti, di processi, di strumentazioni. La scelta antropologica è una scommessa: richiede il coraggio di credere, magari in solitudine, a determinati valori. L’animazione come metodo, invece, viene appresa lentamente e faticosamente nelle “scuole di animazione”.

7. L’animazione ha come obiettivo ultimo e globale la grande pretesa di restituire ad ogni uomo la gioia di vivere e il coraggio di sperare. La storia in cui ci siamo trovati immersi, ci ha tatto scoprire in Gesù di Nazaret la ragione ultima, decisiva e irripetibile della nostra vita. L’animazione tende strutturalmente perciò a far incontrare con il Signore della vita. Non intendiamo strumentalizzare l’animazione per l’evangelizzazione, perché l’animazione è, come tutti i processi umani, una esperienza che possiede una sua intrinseca dignità e consistenza. Ma per realizzare meglio l’obiettivo dell’animazione, sentiamo il bisogno di testimoniare, con fatti e parole, la buona notizia che Gesù è il Signore.

8. L’animazione come metodo ha un grosso contributo da offrire anche nell’ambito specifico dell’educazione della fede. Possiamo educare alla fede nello stile dell’animazione. Lo affermiamo perché la scommessa sull’uomo tipica dell’animazione si porta dentro i germi dell’uomo nuovo che è il credente in Gesù Cristo, e perché le sue scelte metodologiche coincidono con quelle che caratterizzano i processi di educazione della fede esigiti dalla teologia dell’Incarnazione. Sappiamo bene che educazione e educazione alla fede non sono la stessa cosa. Esiste perciò un ambito di interventi specifico della fede. In esso l’animazione risulta preziosa ma radicalmente insufficiente. Essa perciò fa spazio all’imprevedibile potenza di Dio, concretizzata nell’azione liturgica e sacramentale della comunità ecclesiale.

9. L’animazione è una funzione che prende il volto concreto e quotidiano di una persona: l’animatore. L’animatore è l’animazione in azione. Animando, egli racconta la sua storia, perché altri come lui ritrovino la capacita di dare tutto di sé perché la vita si allarghi oltre i confini della morte. Per fare questo, l’animatore si qualifica: studia, si prepara, esperimenta e verifica. L’animatore è un tecnico. Egli crede ad un progetto di vita; nel suo lavoro lo fa emergere continuamente. E quindi un militante. L’animazione è l’animatore, tecnico e militante nello stesso tempo.