Per sorridere e riflettere…

PER RIFLETTERE    

Questa è una semplice occasione per aiutare a compiere quella cosa che unicamente l’uomo, tra tutti gli animali, riesce a fare: alzare gli occhi verso il Cielo.
Il solo requisito necessario alla preghiera, lo comprendiamo bene, è la sincerità di cuore. Una freccia arriva al bersaglio se ha forza e se ha mira. La forza è nel bisogno radicale del mendicante, e ogni creatura mortale, se ha un barlume di saggezza, comprende di essere bisognosa di Dio fino al midollo. L’obiettivo da raggiungere è chiaramente Lui, l’Unico che è e che dona l’Amore.
Queste preghiere possono metterci in relazione con tanti fratelli, santi famosi o credenti sconosciuti, che hanno cercato Dio con tutto il cuore. Rubiamo le loro parole, aggiungiamoci il nostro desiderio del Dio infinito, e siamo sicuri che esse supereranno le nubi per giungere alla casa della Santissima Trinità.

Tratto da “ Una preghiera al giorno toglie il diavolo di torno”

IL GOMITOLO

Si fece una gran festa alla corte del re, per celebrare il suo ingresso nella città capitale. Il re riceveva nel salone delle feste i doni e gli omaggi. Erano tutti doni preziosi: armi cesellate, coppe d’argento, tessuti di broccato ricamato d’oro. Il corteo dei donatori stava esaurendosi, quando apparve, zoppicando e appoggiandosi pesantemente ad un bastone, una vecchia contadina con i pesanti zoccoli di legno. In silenzio trasse dalla gerla un pacchetto accuratamente avvolto in un telo. Uno scoppio di risate accompagnò il movimento della donna che depose ai piedi del trono una matassa di lana bianca, ricavata dalle due pecore che erano tutta la sua fortuna e filata nelle lunghe sere d’inverno. Senza una parola, il re si inchinò dignitosamente poi diede il segnale di incominciare la festa mentre l’anziana contadina attraversava lentamente la sala, scorticata dalle occhiate beffarde dei cortigiani. Riprese penosamente il suo lungo cammino, di notte per tornare alla sua baita costruita nella foresta reale dove fino a quel momento la sua presenza era stata tollerata. Ma quando arrivò in vista della sua casa si fermò invasa dal panico. La baita era circondata dai soldati del re. Stavano piantando dei picchetti tutt’intorno alla povera abitazione, e sui paletti stendevano il filo di lana bianca. Pensò la povera donna, con il cuore piccolo piccolo : ” Mio Dio il re si è offeso per il mio dono… Le guardie mi arresteranno e mi porteranno in prigione…” Quando la vide, il comandante delle guardie si inchinò cortesemente e disse: “Signora, per ordine del nostro buon re, tutta la terra che può essere circondata dal vostro filo di lana d’ora in poi vi appartiene”. Il perimetro della sua nuova proprietà corrispondeva esattamente alla lunghezza della sua matassa di lana. Aveva ricevuto con la stessa misura con cui aveva donato. Tutto il bene, dunque, che possiamo fare a qualunque essere umano, facciamolo subito. Non rimandiamo a più tardi, né trascuriamolo poiché non passeremo nel mondo due volte. Nella vita si riceve sempre con la stessa misura con cui si ha donato………..

CARO GESU’ BAMBINO,

non voglio farti perdere tempo; per questo vengo subito al motivo della presente. Qui, in terra, le cose potrebbero andare meglio: abbiamo un gran bisogno del tuo intervento! Caro Gesù, donaci un cielo azzurro per un occhio e un prato verde per l’altro.

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Fa’ che le mamme urlino solo una volta alla settimana, i papà facciano i papà non solo quando il campionato di calcio è finito. Fa’ che i nonni non vivano in retromarcia pensando a quando i mulini erano bianchi, la televisione non c’era e il buco dell’ozono neppure.

Cura la televisione perché finisca di forarci gli occhi con l’esposizione prolungata di carne umana. Togli la vaselina e metti sangue nelle vene dei ragazzi. Strappa i giovani dal maledetto triangolo: frigorifero, sofà, televisione.

Spruzza di umorismo l’intelligenza degli insegnanti. Regalaci sacerdoti con l’allegria incollata sulla pelle. Ricorda ai cristiani che dovrebbero essere il popolo del sole e del sale. Fa’ che le notizie buone superino le cattive. Donaci un cuore grande, sempre provvisto di cervello. Facci così intelligenti da capire che è tempo di ritornare a mettere in giro tanto Amore.

Caro Gesù Bambino, lo so che è tanto quello che ti chiedo! Se è troppo,non darmi niente, dammi una faccia allegra solamente.

Tuo amico in cerca di amore e di bonta

BICICLETTA DI DIO

In una calda sera di fine estate, un giovane si recò da un vecchio saggio: “Maestro, come posso essere sicuro che sto spendendo bene la mia vita? Come posso essere sicuro che tutto ciò che faccio è quello che Dio mi chiede di fare?”. Il vecchio saggio sorrise compiaciuto e disse: “Una notte mi addormentai con il cuore turbato, anch’io cercavo, inutilmente, una risposta a queste domande. Poi feci un sogno. Sognai una bicicletta a due posti. Vidi che la mia vita era come una corsa con una bicicletta a due posti: un tandem. E notai che Dio stava dietro e mi aiutava a pedalare. Ma poi avvenne che Dio mi suggerì di scambiarci i posti. Acconsentii e da quel momento la mia vita non fu più la stessa. Dio rendeva la mia vita più felice ed emozionante. Che cosa era successo da quando ci scambiammo i posti? Capii che quando guidavo io, conoscevo la strada. Era piuttosto noiosa e prevedibile. Era sempre la distanza più breve tra due punti. Ma quando cominciò a guidare lui, conosceva bellissime scorciatoie, su per le montagne, attraverso luoghi rocciosi a gran velocità a rotta di collo. Tutto quello che riuscivo a fare era tenermi in sella! Anche se sembrava una pazzia, lui continuava a dire: «Pedala, pedala!». Ogni tanto mi preoccupavo, diventavo ansioso e chiedevo: «Signore, ma dove mi stai portando?». Egli si limitava a sorridere e non rispondeva. Tuttavia, non so come, cominciai a fidarmi. Presto dimenticai la mia vita noiosa ed entrai nell’avventura, e quando dicevo: «Signore, ho paura…», lui si sporgeva indietro, mi toccava la mano e subito una immensa serenità si sostituiva alla paura. Mi portò da gente con doni di cui avevo bisogno; doni di guarigione, accettazione e gioia. Mi diedero i loro doni da portare con me lungo il viaggio. Il nostro viaggio, vale a dire, di Dio e mio. E ripartimmo. Mi disse: «Dai via i regali, sono bagagli in più, troppo peso». Così li regalai a persone che incontrammo, e trovai che nel regalare ero io a ricevere, e il nostro fardello era comunque leggero. Dapprima non mi fidavo di lui, al comando della mia vita. Pensavo che l’avrebbe condotta al disastro. Ma lui conosceva i segreti della bicicletta, sapeva come farla inclinare per affrontare gli angoli stretti, saltare per superare luoghi pieni di rocce, volare per abbreviare passaggi paurosi. E io sto imparando a star zitto e pedalare nei luoghi più strani, e comincio a godermi il panorama e la brezza fresca sul volto con il delizioso compagno di viaggio, la mia potenza superiore. E quando sono certo di non farcela più ad andare avanti, lui si limita a sorridere e dice: «Non ti preoccupare, guido io, tu pedala!»”.

 

La candela che non voleva bruciare

Questo non si era mai visto: una candela che rifiuta di accendersi. Tutte le candele dell’armadio inorridirono. Una candela che non voleva accendersi era una cosa inaudita! Mancavano pochi giorni a Natale e tutte le candele erano eccitate all’idea di essere protagoniste della festa, con la luce, il profumo, la bellezza che irradiavano e comunicavano a tutti. Eccetto quella giovane candela rossa e dorata che ripeteva ostinatamente: -No e poi no! Io non voglio bruciare. Quando veniamo accesi, in un attimo ci consumiamo. Io voglio rimanere così come sono: elegante, bella e soprattutto intera-. -Se non bruci è come se fosse già morta senza essere vissuta-, replicò un grosso cero, che aveva già visto due Natali. -Tu sei fatta di cera e stoppino ma questo è niente. Quando bruci sei veramente tu e sei completamente felice-. -No, grazie tante- rispose la candela rossa. – Ammetto che il buio, il freddo e la solitudine sono orribili, ma è sempre meglio che soffrire per una fiamma che brucia-. -La vita non è fatta di parole e non si può capire con le parole, bisogna passarci dentro-, continuò il cero. -Solo chi impegna il proprio essere cambia il mondo e allo stesso tempo cambia se stesso. Se lasci che la solitudine, buio e freddo avanzino, avvolgeranno il mondo-. -Vuoi dire che noi serviamo a combattere il freddo, le tenebre e la solitudine?-. -Certo- ribadì il cero. -Ci consumiamo e perdiamo eleganza e colori, ma diventiamo utili e stimati. Siamo i cavalieri della luce-. -Ma ci consumiamo e perdiamo forma e colore-. -Sì, ma siamo più forti della notte e del gelo del mondo- concluse il cero. Così anche la candela rossa e dorata si lasciò accendere. Brillò nella notte con tutto il suo cuore e trasformo in luce la sua bellezza, come se dovesse sconfiggere da sola tutto il freddo e il buio del mondo. La cera e lo stoppino si consumarono piano piano ma la luce della candela continuò a splendere a lungo negli occhi e nel cuore degli uomini per i quali era bruciata.

Matteo 7,16

Tre donne andarono alla fontana per attingere acqua. Presso la fontana, su una panca di pietra, sedeva un uomo anziano che le osservava in silenzio ed ascoltava i loro discorsi. Le donne lodavano i rispettivi figli. “Mio figlio”, diceva la prima, “è così svelto ed agile che nessuno gli sta alla pari”. Mio figlio”, sosteneva la seconda, “canta come un usignolo. Non c’è nessuno al mondo che possa vantare una voce bella come la sua”. E tu, che cosa dici di tuo figlio?”, chiesero alla terza, che rimaneva in silenzio. “Non so che cosa dire di mio figlio”, rispose la donna. “E’ un bravo ragazzo, come ce ne sono tanti. Non sa fare niente di speciale…”.

Quando le anfore furono piene, le tre donne ripresero la via di casa. Il vecchio le seguì per un pezzo di strada. Le anfore erano pesanti, le braccia delle donne stentavano a reggerle. Ad un certo punto si fermarono per far riposare le povere schiene doloranti. Vennero loro incontro tre giovani. Il primo improvvisò uno spettacolo: appoggiava le mani a terra e faceva la ruota con i piedi per aria, poi inanellava un salto mortale dopo l’altro. Le donne lo guardavano estasiate: “Che giovane abile!”. Il secondo giovane intonò una canzone. Aveva una voce splendida che ricamava armonie nell’aria come un usignolo. Le donne lo ascoltavano con le lacrime agli occhi: “E un angelo!”. Il terzo giovane si diresse verso sua madre, prese la pesante anfora e si mise a portarla, camminando accanto a lei. Le donne si rivolsero al vecchio: “Allora che cosa dici dei nostri figli ?”. “Figli?”, esclamò meravigliato! Li riconoscerete dai loro frutti” (Matteo 7,16).

 

L’ASINO E IL CONTADINO

Un giorno l’asino di un contadino cadde in un pozzo. Non si era fatto male, ma non poteva più uscire. Il povero animale continuò a ragliare sonoramente per ore. Il contadino era straziato dai lamenti dell’asino, voleva salvarlo e cercò in tutti i modi di tirarlo fuori ma dopo inutili tentativi, si rassegnò e prese una decisione crudele. Poiché l’asino era ormai molto vecchio e non serviva più a nulla e poiché il pozzo era ormai secco e in qualche modo bisognava chiuderlo, chiese aiuto agli altri contadini del villaggio per ricoprire di terra il pozzo. Il povero asino imprigionato, al rumore delle palate e alle zolle di terra che gli piovevano dal cielo capì le intenzioni degli esseri umani e scoppiò in un pianto irrefrenabile. Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, l’asino rimase quieto. Passò del tempo, nessuno aveva il coraggio di guardare nel pozzo mentre continuavano a gettare la terra. Finalmente il contadino guardò nel pozzo e rimase sorpreso per quello che vide, L’asino si scrollava dalla groppa ogni palata di terra che gli buttavano addosso, e ci saliva sopra. Man mano che i contadini gettavano le zolle di terra, saliva sempre di più e si avvicinava al bordo del pozzo. Zolla dopo zolla, gradino dopo gradino l’asino riuscì ad uscire dal pozzo con un balzo e cominciò a trottare felice.

MORALE: Quando la vita ci affonda in pozzi neri e profondi, il segreto per uscire più forti dal pozzo é scuoterci la terra di dosso e fare un passo verso l’alto. Ognuno dei nostri problemi si trasformerà in un gradino che ci condurrà verso l’uscita. Anche nei momenti più duri e tristi possiamo risollevarci lasciando alle nostre spalle i problemi più grandi, anche se nessuno ci da una mano per aiutarci.

LA STORIA DELLA FELICITA’

Ciao, il mio nome è Felicità. Faccio parte della vita, di quelli che credono nella forza dell’amore, che credono che ad una bella storia non possa esserci mai fine. Sono sposata, lo sapevi? Sono sposata con il Tempo. Lui è il responsabile della risoluzione di tutti i problemi. Lui costruisce cuori, lui medica quelli feriti, lui vince la tristezza… Io e il Tempo, assieme, abbiamo avuto 3 figli: Amicizia, Saggezza, Amore … Amicizia è la figlia più grande, una ragazza bellissima, sincera e allegra.

Lei unisce le persone, non ha l’intento di ferire, ma di consolare Poi c’è Saggezza, colta, con principi morali … lei è quella più attaccata a suo padre, Tempo. E’ come se Saggezza e Tempo camminassero insieme! Il più piccolo è Amore! Ah, quanto mi fa lavorare lui!

E’ ostinato, a volte vuole abitare solo in un certo posto… E a volte dice che è stato concepito per abitare in due cuori e non in uno soltanto. Eh si, mio figlio Amore è molto complesso. Quando comincia a far danni, devo chiamare subito suo padre, Tempo, affinché chiuda le ferite procurate dal figlio! Una persona un giorno mi ha detto: “alla fine tutto si sistema sempre…in un modo o nell’altro… se le cose ancora non si sono sistemate è perché non siamo ancora giunti alla fine”…Per questo ti dico di avere fiducia nella mia famiglia. Credi in mio marito Tempo, nei miei figli Amicizia, Saggezza e soprattutto credi in mio figlio Amore. Se avrai fiducia in loro, stai certo che allora io, Felicità, un giorno batterò alla tua porta!

E non dimenticare mai di sorridere …

 

Lettera da un padre

Carissima, mio unico bene, quando ti sei alzata, questa mattina, ti ho osservata ed ho sperato che mi parlassi, fosse anche con due sole parole, chiedendo la mia opinione o ringraziandomi per qualcosa di buono che ti era accaduto ieri. Ma ho notato che eri molto occupata a cercare il vestito adatto da indossare per andare al lavoro. Ho continuato ad aspettare ancora, mentre correvi per la casa per vestirti e sistemarti. Pensavo potessi avere alcuni minuti anche solo per fermarti e dirmi: “CIAO” ……ma eri troppo occupata. Per questo per te ho acceso il cielo, l’ho riempito di colori, e di dolci canti di uccelli, per vedere se così mi avresti ascoltato……ma nemmeno di questo ti sei resa conto. Ti ho osservata mentre andavi di corsa al lavoro e ti ho aspettata pazientemente tutto il giorno. Con tutte le cose che tu avevi da fare, suppongo tu sia stata troppo occupata per dirmi qualcosa. Al tuo rientro, ho visto la tua stanchezza e ho pensato di farti bagnare un po’ affinchè l’acqua si portasse via il tuo stress; pensavo di farti un piacere perché così tu avresti pensato a me, ma ti sei infuriata ed hai offeso il mio nome. Io desideravo tanto che tu mi parlassi…anche se c’era ancora tanto tempo! Poi hai acceso il televisore; io ho aspettato pazientemente. Mentre guardavi la TV hai cenato,…però ti sei dimenticata nuovamente di parlare con me, non mi hai rivolto la parola. Ho notato che eri stanca ed ho compreso il tuo desiderio di silenzio e così ho oscurato lo splendore del cielo, ma non ti ho lasciata al buio, l’ho cambiato con una stella. In verità era bellissimo, ma tu non eri interessata ad osservarlo. All’ora di dormire, credo che ormai tu fossi distrutta. Dopo aver detto buonanotte alla tua famiglia sei caduta sul letto e immediatamente ti sei addormentata. Ho accompagnato i tuoi sogni con una musica, i miei angeli si sono illuminati… ma… non importa, perchè forse non ti sei nemmeno resa conto che io sono sempre lì con te, al tuo fianco. Ho più pazienza di quanto tu possa immaginare. Mi piacerebbe anche insegnarti come avere pazienza con gli altri. TI AMO tanto e aspetto tutti i giorni una tua preghiera; il paesaggio che faccio è solo per te. Bene, ti stai svegliando di nuovo, e ancora una volta io sono qui e aspetto, senza nulla più che il mio amore per te, sperando che oggi tu possa trovare un po’ di tempo per me. Buona giornata, tesoro… Tuo Papà, …DIO.

 

LA CROCE: COLLOCAZIONE PROVVISORIA di Don Tonino Bello
Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria.
La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito.
Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la Croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo. Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto a ingoiare bocconi di amarezza. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sempre a terra. Coraggio. La tua Croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della Croce. “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutti le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche a Dio. Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. Coraggio, tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi calori verginali, e il sole della Pasqua irromperà tra ne nuvole in fuga.
AUMENTA LA NOSTRA FEDE di padre Paul Devreux
Bella preghiera, ma inconsueta. E’ più facile sentir dire: “Aumenta il mio stipendio, la pensione, la salute, le ferie, la fortuna”, ma la fede? Perché? A cosa mi serve?
I discepoli vedono che Gesù ha una marcia in più. La fede gli permette di affrontare i problemi che incontra, di trasmettere speranza, di sentirsi sostenuto. Invidiano la sua fede e la desiderano. E’ la prima volta che lo pregano! Per me credere o non credere è importante. Crescere nella fede mi apre alla fiducia in Dio e vivo meglio. Quindi credere conviene; ma come si fa?
Leggere i Vangeli è un aiuto, ma io non posso salire in cielo per verificare se ciò che mi racconta la Chiesa è vero. La fede nasce da un incontro inconsueto, che mi fa scoprire che c’è un qualche cosa che mi sfugge, un trascendente; ma non so cosa fare o dove andare per cercare quest’incontro. Posso solo rifarmi alla preghiera dei discepoli: “Aumenta la nostra fede!”. La fede è un dono che posso solo ricevere, ma posso sollecitarlo chiedendolo; manifestando interesse per la novità. La porta che apre alla fede è la preghiera, poco importa se incredula.
Concludo dicendo che è bella l’immagine dell’albero sradicato e buttato in mare, soprattutto se per albero prendiamo le nostre paure. In particolare la paura di Dio così radicata. La fede in Dio Padre, quello che Gesù ci rivela, può fare questo miracolo.
LA MANO di Bruno Ferrero
Un bambino aveva fatto la spesa per la mamma.
Era stato preciso e attento. Il droghiere, per premiarlo, prese da uno scaffale una grossa scatola di caramelle, la aprì e la presentò al bambino.
“Prendi, piccolo!”.
Il bambino prese una caramella, ma il droghiere lo incoraggiò: “Prendi tutte quelle che stanno in mano”.
Il bambino lo guardò con i suoi grandi occhi.
“Oh… allora, prendile tu per me!”.
“Perché?”.
“Perché tu hai la mano più grande”.
Quando preghiamo, non misuriamo le nostre domande con la piccolezza della nostra fede. Ci ricordiamo semplicemente che la mano di Dio è più grande.
AI GIARDINETTI di Pino Pellegrino
Una volta una madre si trovava ai giardinetti con la bimba di quattro anni. Ad un tratto, la bambina si mise a piangere disperatamente. Un signore che assisteva alla scena, dopo un po’ non ne poté più e disse alla madre: “Signora, non faccia piangere così la bambina: la dia quel che vuole!”. Il signore tacque.
Intanto la bambina riprese a piangere, sempre più angosciata. Allora l’uomo, deciso: “Signora, non si può far piangere tanto un bimba: mi dica quel che vuole, provvedo io!”.
La madre, ancor più seccata: “Provi lei! Ha fatto un buco e adesso vuole portarselo a casa!”.
È saggio il proverbio: “Prima di giudicare una persona, cammina quindici giorni sui suoi sandali”.
L’AQUILONE di Bruno Ferrero
 

Una tersa e ventilata mattina di marzo, un bambino, aiutato dal nonno, fece innalzare nel cielo un magnifico aquilone. Portato dal vento, l’aquilone saliva e saliva sempre più in alto, ma il nonno aveva legato saldamente una estremità del filo al polso del bambino.
Lassù, nell’azzurro, l’aquilone dondolava tranquillo e sicuro, seguendo le correnti. Due grassi piccioni chiacchieroni, che volavano pigramente, si affiancarono all’aquilone e cominciarono a fare commenti sui suoi colori.
“Sei vestito proprio in ghingheri, amico”, disse uno. “Dai, vieni con noi. Facciamo una gara di resistenza” disse l’altro. “Non posso”, disse l’aquilone. “Perché?”. “Sono legato al mio padroncino, laggiù sulla terra”. I due piccioni guardarono in giù.
“Io non vedo nessuno”, disse uno. “Neppure io lo vedo”, rispose l’aquilone. “Ma sono sicuro che c’è perché ogni tanto sento uno strattone al filo”.

Sii felice se ogni tanto Dio dà uno strattone al tuo filo. Non lo vedi, ma è legato a te. E non ti lascerà perdere. Mai.

UN CUCCIOLO di Bruno Ferreo
Sul cancello di una casa di periferia circondata da un ampio frutteto, era appeso un cartello che diceva:
“Si vendono cuccioli di cane razza”.
Un ragazzino suonò il campanello e al padrone che era venuto ad aprire disse, mettendosi una mani in tasca:
“Qui ho due euro e 37 centesimi, posso guardare i cagnolini, per favore?”.
L’uomo fece un fischio e da una cuccia che portava la scritta “Lady”, uscì un cane femmina magnifico ed elegante seguito da cinque bellissimi cuccioli. Solo uno zoppicava leggermente.
“Che cos’ha?”, chiese il ragazzo indicandolo.
“Il veterinario sostiene che ha una deformazione della zampa. Probabilmente zoppicherà per sempre”.
“Vorrei comprarlo io, se non le dispiace”, disse il ragazzo.
L’uomo voleva regalarglielo, ma il ragazzo ribatté:
“Anche lui vale come gli altri. Porterò i soldi ogni settimana, finché arriverò alla somma giusta”.
“Ma perché vuoi comprare un cane malato? Non potrà mai correre con te o seguirti in montagna!”.
Il ragazzo si chinò, si rimboccò la gamba dei pantaloni e mostrò la sua gamba. Era malformata e ingabbiata in un tutore di metallo. Poi disse:
“Anch’io non corro bene. Il cucciolo avrà bisogno di qualcuno che lo capisca”.

 

 IL PRIMO FIORE
In un paesino di montagna c’è un’usanza molto bella. Ogni primavera si svolge una gara tra tutti gli abitanti. Ciascuno cerca di trovare il primo fiore della primavera. Chi trova e raccoglie il primo fiore sarà il vincitore e avrà buona fortuna per tutto l’anno. Per questo partecipano tutti, giovani e vecchi.
Un anno, all’inizio della primavera, quando la neve cominciava a sciogliersi e a lasciare liberi larghi squarci di terra umida, tutti in quel paesino partirono alla ricerca del primo fiore. Per ore e ore cercarono in alto e in basso, sulle pendici dei monti, ma non trovarono nessun fiore. Stavano già abbandonando la ricerca, quando udirono un grido.
«E’ qui! L’ho trovato!». Era la voce di un bambino. Uomini, donne e bambini corsero verso di lui, che stava battendo le mani e saltando per la gioia. Quel bambino aveva trovato il primo fiore.
Il primo fiore, però, era sbocciato in mezzo alle rocce, qualche metro sotto il ciglio di un terribile burrone. Il bambino lo indicava con il braccio teso, giù in basso, ma non poteva raggiungerlo perché aveva paura della bocca spalancata del burrone. Il bambino però desiderava quel fiore più di qualunque altra cosa al mondo. Tutti gli altri erano gentili, lo volevano aiutare. Cinque uomini forti portarono una corda. Intendevano legare il bambino e calarlo fino al fiore perché potesse coglierlo. Il bambino però aveva paura. Aveva paura del burrone, aveva paura che la corda si rompesse. «No, no», diceva piangendo, «ho paura!».
Gli fecero vedere una corda più forte. Non cinque, ma quindici uomini forti l’avrebbero tenuta. Tutti lo incoraggiavano. A un tratto il bambino smise di piangere. Con una mano si asciugò le lacrime. Tutti fecero silenzio per sentire che cosa avrebbe fatto il bambino.
«Va bene», disse il bambino, «andrò giù. Io andrò giù se mio padre terrà la corda!».
Siamo tutti impegnati nella ricerca del primo fiore. Il bambino è metafora del cuore puro e semplice che sa fidarsi, infatti l’abbandono fiducioso è un atteggiamento naturale proprio del bambino; il linguaggio biblico a partire da questa esperienza, ci esorta a guardare ai piccoli per riscoprire quell’atteggiamento naturale e farne l’atteggiamento spirituale, la dimensione spirituale del nostro vivere davanti a Dio e agli uomini.
MAIALE, OCA! di Pino Pellegrino
 

Un signore sta salendo in auto su una strada di montagna.
Ad un tratto, incrocia una donna che sta scendendo, lei pure in macchina.
La donna, non appena vede il signore, gli urla, con forza dal finestrino della sua auto:“Maiale!”.
Allora quello, per non essere da meno, le grida con quanto fiato ha in gola: “Oca!”.
Se non che, dopo la prima curva che affronta con velocità aumentata dalla rabbia, si trova la strada sbarrata proprio da un enorme maiale che investe in pieno!

Perchè subito e sempre (o quasi) pensare male dell’altro?

PAROLE D’ORO di Pino Pellegrino
 

Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile, quando, con il parafango, urtò il paraurti di un’altra macchina.
Era in lacrime quando disse che era un’auto nuova, appena ritirata dal concessionario. Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito?
Il conducente dell’altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto.
Quando la donna cercò i documenti in una grande busta marrone, cadde fuori un pezzo di carta. In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole: “In caso di incidente, ricorda, tesoro, che io amo te e non la macchina!”.
La primavera ritorno nel cuore della donna. 

La parola è materiale incandescente: può essere proiettile o carezza, pietra o colpo d’ala.

LA NUVOLA E LA DUNA di Bruno Ferrero 

Una nuvola giovane giovane (ma è risaputo, la vita delle nuvole è breve e movimentata) faceva la sua prima cavalcata nei cieli, con un branco di nuvoloni gonfi e bizzarri.
Quando passarono sul grande deserto del Sahara, le altre nuvole, più esperte, la incitarono: “Corri, corri! Se ti fermi qui sei perduta”.
La nuvola però era curiosa, come tutti i giovani, e si lasciò scivolare in fondo al branco delle nuvole, così simile ad una mandria di bisonti sgroppanti.
“Cosa fai? Muoviti!”, le ringhiò dietro il vento.
Ma la nuvoletta aveva visto le dune di sabbia dorata: uno spettacolo affascinante. E planò leggera leggera. Le dune sembravano nuvole d’oro accarezzate dal vento.
Una di esse le sorrise. “Ciao”, le disse. Era una duna molto graziosa, appena formata dal vento, che le scompigliava la luccicante chioma.
“Ciao. Io mi chiamo Ola”, si presentò la nuvola.
“Io, Una”, replicò la duna.
“Com’è la tua vita lì giù?”. “Bé… Sole e vento. Fa un po’ caldo ma ci si arrangia. E la tua?”.
“Sole e vento… grandi corse nel cielo”.
“La mia vita è molto breve. Quando tornerà il gran vento, forse sparirò”.
“Ti dispiace?”.
“Un po’. Mi sembra di non servire a niente”.
“Anch’io mi trasformerò presto in pioggia e cadrò. E’ il mio destino”.
La duna esitò un attimo e poi disse: “Lo sai che noi chiamiamo la pioggia Paradiso?”.
“Non sapevo di essere così importante”, rise la nuvola.
“Ho sentito raccontare da alcune vecchie dune quanto sia bella la pioggia. Noi ci copriamo di cose meravigliose che si chiamano erba e fiori”.
“Oh, è vero. Li ho visti”.
“Probabilmente io non li vedrò mai”, concluse mestamente la duna.
La nuvola rifletté un attimo, poi disse: “Potrei pioverti addosso io…”.
“Ma morirai…”.
“Tu però, fiorirai”, disse la nuvola e si lasciò cadere, diventando pioggia iridescente.
Il giorno dopo la piccola duna era fiorita.
Una delle più belle preghiere che conosco dice:
“Signore, fa’ di me una lampada. Brucerò me stesso, ma darò luce agli altri”.
IL VASO DI FIORI di Pino Pellegrino 

C’era una volta un padre che guardava il suo bambino mentre cercava di spostare un vaso di fiori molto pesante. Il piccolo sbuffava, brontolova, si agitava, ma non riusciva a smuovere il vaso di un millimetro.
Allora il padre gli domandò:
“Hai proprio usato tutte le tue forze?”.
“Si, papà!”.
“Non è vero, perchè non mi hai chiesto di aiutarti!”.
Quando preghiamo, chiediamo di essere aiutati, ed allora abbiamo quattro mani. Le nostre e quelle di Dio.
 
L’OMBRELLO di Bruno Ferrero

I campi erano arsi e screpolati dalla mancanza di pioggia. Le foglie pallide e ingiallite pendevano penosamente dai rami. L’erba era sparita dai prati. La gente era tesa e nervosa, mentre scrutava il cielo di cristallo blu cobalto.
Le settimane si succedevano sempre più infuocate. Da mesi non cadeva una vera pioggia.
Il parroco del paese organizzò un’ora speciale di preghiera nella piazza davanti alla chiesa per implorare la grazia della pioggia.
All’ora stabilita la piazza era gremita di gente ansiosa, ma piena di speranza.
Molti avevano portato oggetti che testimoniavano la loro fede. Il parroco guardava ammirato le Bibbie, le croci, i rosari. Ma non riusciva a distogliere gli occhi da una bambina seduta compostamente in prima fila.
Sulle ginocchia aveva un ombrellino rosso.
Pregare è chiedere la pioggia, credere è portare l’ombrello!
LA VECCHIA ANFORA di Pino Pellegrino 

Ogni giorno, un contadino portava l’acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell’asino, che gli trotterellava accanto. Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua. L’altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia.
L’anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l’anfora nuova non perdeva l’occasione di far notare la sua perfezione: “Non perdo neanche una stilla d’acqua,  io!”.
Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone: “Lo sai, sono cosciente dei miei limiti. Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia. Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota. Perdona la mia debolezza e le mie ferite”.
Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all’anfora screpolata e le disse:
“Guarda il bordo della strada”. “Ma e bellissimo! Tutto pieno di fiori!” rispose l’anfora. “Hai visto? E tutto questo solo grazie a te” disse il padrone. “Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada. Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno”. La vecchia anfora non lo disse mai a nessuno, ma quel giorno si senti morire di gioia.
Siamo tutti pieni di ferite e screpolature, ma se lo vogliamo, possiamo fare meraviglie con le nostre imperfezioni…
I PASTORI NEI CAMPI  –  L’ARTE DI SAPER ASCOLTARE E DI STUPIRSI di Anselm Grün 

Mentre Maria fascia il bambino e lo depone nella mangiatoia, i pastori se ne stanno sotto il cielo nei campi e fanno la guardia al loro gregge (Lc 2,8). I pastori diventano i primi messaggeri dell’incarnazione di Dio. Perché proprio i pastori? I farisei li ritenevano peccatori e li disprezzavano. Invece i greci pensavano che fossero particolarmente capaci di percepire il bambino divino. I pastori, che custodiscono il loro gregge, che si prendono cura degli animali, posseggono evidentemente anche un sesto senso per lo spazio di cui il bambino divino ha bisogno. Essi lo nutrono e vigilano al suo fianco, così come fanno di notte con il loro gregge. Durante la notte, quando gli altri dormono, essi stanno svegli. Orecchiano nella notte per sentire se arriva con passo furtivo un ladro a rubarne loro qualcuna. I pastori sono uomini che ascoltano e che tendono l’orecchio ai fruscii della notte. L’orecchio non dorme mai, ma è attivo e ode anche di notte. Ascoltando accogliamo quanto si offre al nostro orecchio. Coloro che ascoltano sono perciò chiaramente più disposti anche ad accogliere il bambino, che vuole nascere in essi.
Leggiamo nel vangelo che i pastori montavano la guardia. Nella notte, quando non si vede più, essi si fidano delle loro orecchie. Orecchiano nella notte e sono così un’immagine degli uomini che ascoltano. L’uomo capace di ascoltare è aperto al nuovo che gli viene detto. Si apre all’inatteso. Porge con attenzione l’orecchio a quanto gli viene comunicato. C’è bisogno di questo ascolto attento e obbediente per percepire il messaggio inaudito dell’incarnazione di Dio, per cogliere l’inaudibile nelle parole dette dall’angelo ai pastori. L’ascolto è per i greci il senso più affettivo. I sentimenti passano attraverso l’ascolto. Così cresce nei pastori la gioia ad essi annunciata dall’angelo. Essi devono ascoltare prima di poter guardare il mistero dell’incarnazione anche con i loro occhi.
LA NASCITA IN UNA STALLA di Anselm Grün
Gesù nacque in una stalla, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7).
Gesù nasce lì dove si alloggiano gli animali. Lì dove abitano gli uomini, dove essi si trovano a loro agio, le porte rimangono chiuse. La stalla indica quella nostra sfera in cui abitano gli animali, vale a dire gli istinti, le pulsioni, la vitalità, la sessualità. Ci piacerebbe – oh sì, quanto ci piacerebbe! – nascondere ai nostri occhi e agli uomini questa sfera “animalesca” che è presente in noi. Ne proviamo imbarazzo, perché non riusciamo a dominarla. Essa non è pulita. È maleodorante. Non è chimicamente disinfettata. Anche dopo essere stata pulita, ricorda sempre lo sterco e l’urina, cose che preferiremmo non guardare. Tutto ciò è penoso. Eppure proprio là Dio vuole nascere in noi.
Noi non troviamo Dio anzitutto lì dove lavoriamo, dove ci stabiliamo, dove invitiamo altri uomini; lo troviamo nella nostra stalla. Questo esige da noi l’atteggiamento dell’umiltà. Dobbiamo avere il coraggio di aprire la nostra stalla a Dio. Solo se gli presentiamo tutto quello che c’è in noi, egli entrerà in noi. Dio non s’accontenta di abitare nelle camere ben pulite che riserviamo agli ospiti, ma vuole scendere anche nelle nostre profondità. Vuole illuminare anche le nostre tenebre. Nelle immagini natalizie la luce irradiata dal bambino divino illumina la stalla e diffonde un chiarore soffuso su ogni cosa. Lì dove giace il bambino divino, insomma, tutto può trovare posto, lì ogni cosa diventa umana, benevola e buona.
SII FELICE ADESSO!  di Madre Teresa di Calcutta
Non aspettare di finire l’università,
di innamorarti,
di trovare lavoro,
di sposarti,
di avere figli,
di vederli sistemati,
di perdere quei dieci chili,
che arrivi il venerdì sera o la domenica mattina,
la primavera, l’estate, l’autunno o inverno.
Non c’è il momento migliore di questo per essere felice,
la felicità è un percorso non una destinazione.
Lavora come se non avessi bisogno di denaro,
ama come se non ti avessero mai ferito,
e balla come se non ti vedesse nessuno.
Ricordati che la pelle avvizzisce,
i capelli diventano bianchi,
e i giorni diventano anni.
Ma l’importante non cambia,
e la tua convinzione,
non hanno età.
Il tuo spirito è il piumino che tira via ogni ragnatela,
dietro ogni traguardo c’è una nuova partenza.
Dietro ogni risultato c’è una nuova sfida.
Finché sei vivo, sentiti vivo.
Vai avanti, anche quando tutti si aspettano che lasci perdere …
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Semina un pensiero, raccoglierai un’azione.

Semina un’azione, raccoglierai un’abitudine.

Semina un’abitudine, raccoglierai un carattere.

Semina un carattere, raccoglierai un destino.

Condivido tutto, tutti i termini di questa filastrocca, ma ve la presento così come mi è stata consegnata. Che significa “semina un pensiero, raccoglierai un’azione”? come nasce un’azione? Nasce da un pensiero. Nulla accade con le mani nella gestualità che prima non sia stato un pensiero, in bene e in male. Se io penso una cosa, finisco col farla. Ecco, questo è il motivo per cui bisogna fare attenzione anche ai pensieri, perché un pensiero, se pensato a lungo, è un’azione. Semina un pensiero, raccoglierai un’azione: significa che quello che facciamo è il frutto di quello che pensiamo, anche di quello che vediamo, beninteso, perché noi pensiamo anche le cose che vediamo, che leggiamo, ammesso che voi leggiate qualche libro di tanto in tanto, potrebbe essere un bel tempo per leggere un libro.

Semina un’azione, raccoglierai un’abitudine. Cos’è un’abitudine? È un’azione fatta più volte, che faccio una prima volta con sforzo, poi una seconda volta. Voi state seduti qui, state scomodi, ma se siete scout starete comodissimi, perché? Perché gli Scout normalmente fanno le loro escursioni, le loro uscite, e siedono per terra, e a furia di sedersi per terra trovano una sistemazione comoda per cui stanno per terra anche per ore. Significa che quando faccio un’azione la prima volta mi pesa, la seconda anche, la terza volta mi pesa un po’ meno, la quarta volta ancor meno, poi diventa un’abitudine.

Abitudine viene da habitus, diventa un abito. L’abito tu lo indossi la mattina e dici: metto la maglietta verde o quella fucsia? ma poi te la dimentichi, ce l’hai addosso, è un’abitudine, è un habitus. È importante, sapete, per voi, per noi tutti, non solo per voi giovani, avere delle abitudini, possibilmente buone. Abbiamo delle abitudini, cioè qualcosa che facciamo di continuo, che facciamo quasi automaticamente. Se la preghiera diventa un’abitudine, mi sveglio la mattina: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Ti ringrazio, Signore, per questa giornata. Voi dite: ma è un’abitudine! Voi lo sapete che il mondo va avanti per le buone abitudini? E che sta crollando per le cattive abitudini? Dal pensiero si va all’azione, dall’azione reiterata, continuata, si passa all’abitudine. Se – dice la filastrocca  –  tu semini le abitudini, raccoglierai il carattere. Il carattere è più di un’abitudine, perché diventa strutturale della persona. Possono esserci due giovani che hanno la stessa abitudine, ma è diventata carattere per chi la fa sua da più tempo, per chi vi si è impegnato di più. Attenti quando dite: “È il mio carattere!”, quasi a giustificare chi esplode facilmente, perché il carattere si forma. Sì – diranno gli studenti di psicologia – sono delle cose strutturali, ma il carattere si può modellare. E come si modella? Attraverso le abitudini. Allora, vedete, questa è una ricetta per una dieta di vita. Immagino che quest’estate farò una dieta, farò cinque chilometri al giorno, cinquanta flessioni al mattino. Una dieta, adesso ve la sto proponendo io che sono il vostro vescovo, ma ve la potrebbe proporre anche un ateo, è chiaro, perché riguarda la vita, perché, cari miei, voi dovreste chiederci, vescovo, parroco, insegnante, preside: insegnaci a vivere, perché dobbiamo imparare a vivere, perché non sappiamo vivere, tant’è che facciamo scelte sbagliate, non sappiamo tenere una relazione.

L’arte di vivere è dentro il tempo, che è il tema che ci tiene insieme. Allora dal pensiero all’azione. Dall’azione all’abitudine. Dall’abitudine al carattere. E l’ultimo passaggio: semina un carattere raccoglierai un destino. Che cosa voglio dire qui con  “destino”? Voglio dire: Guarda, Maria Teresa è diventata una bravissima pianista. Cos’è un destino? Quante scale ha fatto Maria Teresa? Non quelle, di cui parla Dante, che costano, che rendono il pane degli altri salato, non l’altrui scale, ma quelle musicali. Quanti esercizi ha fatto? Molti di voi hanno cominciato e si sono fermati, altri anche alla chitarra, perché? Era destinata Mariateresa? No, perché dal pensiero all’azione, dall’azione all’abitudine, dall’abitudine al carattere e dal carattere al destino. Destino significa che poi una persona diventa brava, bella, grande, un genio. Come si fa? “Una pietra dopo l’altra in alto arriverai”. Si fa così, non perdendo le estati, non perdendo le staffe, non perdendo le occasioni, si fa mettendo un pensiero dopo l’altro, un’azione dopo l’altra e creando abitudini, caratteri e dunque aprendo destini, cioè occasioni grandi di realizzazione, diventando belle persone. Questo, spero, possa essere un obiettivo educativo per le famiglie, per le parrocchie, per l’AC che, a fine di questo incontro, vi inviterà alla festa, per le associazioni, per la diocesi: diventare delle persone. Ma questo costa!

Qui mi fermo un attimo, ciascuno di voi, guardando questa filastrocca, è – ripeto – un programma di vita, si chieda: ma io in quali di questi passaggi mi sono incagliato, perché non va bene la mia vita, perché sono scontento, perché non riesco a realizzare nulla, perché mi sento un fallito? Non faccio attenzione ai pensieri? Non colleziono azioni buone che poi divengano abitudini? Che poi divengano base di un carattere, prospettive di una realizzazione che qui è chiamata destino? Ciascuno di noi se lo chieda e ciascuno faccia la sua radiografia interiore.

da – Preghiera Giovani – 21 giugno 2013 – Cortile del Seminario di Teano

 

8 ATTEGGIAMENTI, 8 MODI DI ESSERE CHE POSSONO AIUTARCI A VIVERE FELICI! 
di Don Arnaldo Scaglioni 

1. Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli.

Accontentati! “Nulla rifiutare e nulla domandare”. I veri poveri hanno il cuore sgombro per liberare tesori d’amore verso Dio e verso i fratelli. Il vero povero trova sempre per loro un pezzo di pane e un posto a tavola.
2. Beati gli afflitti perché saranno consolati.
Sto soffrendo sul serio, però voglio reagire. Non voglio lasciarmi possedere dal fatalismo o dallo scoramento. Sono deciso a riprendermi, come Giobbe: “Dio ha dato, Dio ha tolto”. La consolazione di Dio è la speranza nel cuore del dolore. “Dove c’è la sofferenza la terra è consacrata” (Nietsche).
3. Beati i miti perché erediteranno la terra.
Mi manterrò calmo, conterò fino a dieci prima di reagire, voglio essere benevolo, amabile, sensibile, educabile, buono sempre, dovunque, comunque.
4. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia.
Dà il meglio di te. Dio ti ha dato più di quanto pensi di essere. Questo “più” è quello che devi dare “in più”. Coloro che hanno fame e sete di giustizia sono coloro che contro tutto rimangono giusti, che usano la loro intelligenza per dare a ognuno ciò che gli è dovuto: coloro che armonizzano azioni e pensieri con la volontà di Dio,  che hanno la passione dell’uomo e che pagano di persona perché l’uomo più non sia una merce che si compra e si vende: coloro che si battono perché egli possa vivere in piedi nella sua dignità.
5. Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia.
Tratterò gli altri come vorrei che gli altri trattassero me. È una promessa. È un principio efficace, è una norma di felicità. Dio si prende cura di te perché tu possa prenderti cura degli altri.
6. Beati i puri di cuore perché vedranno Dio.
Fatti amare. Il cuore puro è il cuore semplice, schietto, limpido.
7. Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio.
Sii costruttore di ponti. Essere pacificatori, facilitatori, motivatori. Essere tra coloro che resistono a tutte le forze dell’odio e della divisione che sconvolgono il mondo.
8.Beati i perseguitati per causa della giustizia perché di essi è il regno di Dio.
Scegli di essere felice! Sta a te sentirti felice, a te solo. Coloro che sono poveri in spirito sono come coloro che vengono perseguitati per la giustizia: uomini liberi interiormente, che non dipendono dall’opinione degli altri. Questi uomini sono liberi, perché non si lasciano dominare dagli altri e neppure dall’opinione pubblica, ma perché hanno trovato in Dio la loro vera essenza.
IL DECALOGO DELLA MESSA di Mons.Francesco Lambiasi
1.Non avrai altri giorni uguali a me. Non fare i giorni tutti uguali. La Domenica sia per te, fratello o sorella cristiana, il giorno libero da tutto; può diventare il giorno libero per Dio e per tutti.
2.Non trascorrere la Domenica invano, drogandoti di televisione, alimentandoti nell’evasione, caricandoti di altra tensione.
3.Ricordati di santificare la festa, non disertando mai l’assemblea eucaristica: la Domenica è la Pasqua della settimana, il Sole è l’Eucaristia e il cuore è Cristo Risorto.
4.Onora tu, padre, e tu, madre, il grande giorno con i tuoi figli! Contagia loro la tua gioia di andare a Messa: questo vale più di cento prediche.
5.Non ammazzare la Domenica con il doppio lavoro, soprattutto se remunerativo: non violarla ne svenderla, ma vivila gratis per amore di Dio e dei fratelli.
6.Considera il giorno del Signore “il momento di intimità fra Cristo e la sua Chiesa sposa” come ha detto il Papa; se sei sposato coltiva la tua intimità con il tuo coniuge.
7.Non rubare la Domenica a nessuno, ne alle colf, ne alle badanti, ne ai tuoi dipendenti. E non fartela rubare da niente e da nessuno, ne dal denaro, ne dal culturismo, ne dai tuoi datori di lavoro.
8.Non dire falsa testimonianza contro il giorno del Signore. Non vergognarti di dire ai tuoi amici non credenti che non puoi andare da loro in campagna o con loro allo stadio perché non puoi rinunciare alla Messa.
9.Non desiderare la Domenica degli “altri”: i ricchi, i gaudenti, i bontemponi. Desidera di condividere la Domenica con gli ultimi, i poveri, i malati.
10.Non andare a Messa solo perché è festa, ma fa festa perché vai a Messa!
 BEATITUDINI DEL NOSTRO TEMPO

BEATI quelli che sanno ridere di se stessi:

non finiranno mai di divertirsi.
BEATI quelli che sanno ascoltare e tacere:
impareranno molte cose nuove.
BEATI quelli che sono attenti alle richieste degli altri:
saranno dispensatori di gioia.
BEATI sarete voi se saprete guardare con attenzione
le cose piccole e serenamente quelle importanti:
andrete lontano nella vita.
BEATI voi se saprete apprezzare un sorriso e dimenticare uno sgarbo:
il vostro cammino sarà sempre pieno di sole.
BEATI voi se saprete interpretare con benevolenza
gli atteggiamenti degli altri anche contro le apparenze:
sarete giudicati ingenui ma questo è il prezzo dell’amore.
BEATI quelli che pensano prima di agire e che pregano prima di pensare:
eviteranno tanti stupidaggini.
BEATI soprattutto voi che sapete riconoscere il Signore in tutti coloro che incontrate:
avete trovato la vera luce e la vera pace.
CON MARIA VOGLIAMO SEGUIRE GESU’ Di Bruno Ferrero
Una notte ho fatto un sogno splendido. Vidi una strada lunga, una strada che si snodava dalla terra e saliva su nell’aria, fino a perdersi tra le nuvole, diretta in cielo. Ma non era una strada comoda, anzi era una strada piena di ostacoli, cosparsa di chiodi arrugginiti, pietre taglienti e appuntite, pezzi di vetro. La gente camminava su quella strada a piedi scalzi. I chiodi si conficcavano nella carne, molti avevano i piedi sanguinanti. Le persone però non desistevano: volevano arrivare in cielo. Ma ogni passo costava sofferenza e il cammino era lento e penoso. Ma poi, nel mio sogno, vidi Gesù che avanzava. Era anche lui a piedi scalzi. Camminava lentamente, ma in modo risoluto. E neppure una volta si ferì i piedi.
Gesù saliva e saliva. Finalmente giunse al cielo e là si sedette su un grande trono dorato. Guardava in giù, verso quelli che si sforzavano di salire. Con lo sguardo e i gesti li incoraggiava. Subito dopo di lui, avanzava Maria, la sua mamma. Maria camminava ancora più veloce di Gesù. Sapete perché? Metteva i suoi piedi nelle impronte lasciate da Gesù. Così arrivò presto accanto a suo Figlio, che la fece sedere su una grande poltrona alla sua destra. Anche Maria si mise ad incoraggiare quelli che stavano salendo e invitava anche loro a camminare nelle orme lasciate da Gesù, come aveva fatto lei.
Gli uomini più saggi facevano proprio così e procedevano spediti verso il cielo. Gli altri si lamentavano per le ferite, si fermavano spesso, qualche volta desistevano del tutto e si accasciavano sul bordo della strada sopraffatti dalla tristezza.
Maria, madre di Gesù, prega per noi, insegnaci ad essere come il tuo figlio. E se qualche volta sarà difficile seguirlo, dacci la mano, e ricordaci sempre che seguire Gesù è la cosa più bella che possiamo fare, è quello che ci renderà sempre felici. Amen.
CERCO DIO di Pino Pellegrino
Un giorno due ricchi mercanti decisero di mettersi alla ricerca della cosa più preziosa del mondo. Si sarebbero ritrovati quando l’avessero trovata.
Il primo non ebbe dubbi: partì alla ricerca di una gemma. Attraversò mari e deserti, salì sulle montagne e visitò città finché non l’ebbe trovata: era la più splendida gemma che avesse mai rifulso sotto il sole. Tornò allora in patria in attesa dell’amico. Passarono molti anni prima che questi arrivasse. Era partito alla ricerca di Dio! Aveva consultato i più grandi maestri; aveva letto e studiato, ma Dio non lo aveva trovato! Un giorno, mentre dopo tanto cercare stava seduto sulla riva di un fiume, vide un’anatra che in mezzo ai canneti cercava i piccoli che s’erano allontanati da lei. I piccoli erano tanti e birichini, per cui l’anatra cercò fino al calar del sole, finché non ebbe ricondotto sotto la sua ala l’ultimo dei suoi nati. Allora l’uomo sorrise e fece ritorno al paese. Quando l’amico lo rivide gli mostrò la sua gemma e poi trepidando gli chiese: “E tu, che cos’hai trovato di prezioso? Qualcosa di magnifico, se hai impiegato tanti anni. Lo vedo dal tuo sorriso…”.
“Ho cercato Dio”.
“E lo hai trovato?”. “Ho scoperto che era Lui che cercava me!”.
 IL FIUME
Tre persone si trovarono un giorno davanti ad un fiume dalle acque rapide e minacciose. Tutte e tre dovevano passare dall’altra parte. Era molto importante per loro.
Il primo, un mercante scaltro e gran trafficante, abile nel gestire uomini e cose, si inginocchiò e rivolse un pensiero a Dio: «Signore, dammi il coraggio di buttarmi in queste acque minacciose e di attraversare il fiume. Dall’altra parte mi attendono affari importanti. Raddoppierò i miei guadagni, ma devo fare in fretta…». Si alzò e, dopo un attimo di esitazione si tuffò nell’acqua. Ma l’acqua lo trascinò a valle.
Il secondo, un soldato noto per l’integrità e la forza d’animo, si mise sull’attenti e pregò: «Signore, dammi la forza di superare questo ostacolo. Io vincerò il fiume, perché lottare per la vittoria è il mio motto». Si buttò senza tentennare, ma la corrente era più forte di lui e lo portò via.
La terza persona era una donna. A casa l’attendevano marito e figli. Anche lei si inginocchiò e pregò: «Signore, aiutami, dammi il consiglio e la saggezza per attraversare questo fiume minaccioso». Si alzò e si accorse che poco lontano un pastore sorvegliava il gregge al pascolo. «C’è un mezzo per attraversare questo fiume?» gli chiese la donna. «A dieci minuti di qui, dietro quella duna, c’è un ponte» rispose il pastore.
A volte basta un briciolo di umiltà. E qualcuno che dia l’indicazione giusta.
LE TRE BARCHE Tratto da sito http://www.graficapastorale.it/
Un prete stava preparando una predica sulla provvidenza, quando sentì un gran boato. Si affacciò alla finestra e vide della gente che correva avanti e indietro in preda al panico e scoprì che aveva ceduto una diga, il fiume era in piena e stavano evacuando le persone. Il prete vide che l’acqua saliva dalla strada sottostante.
Fece un pò fatica a soffocare il panico che lo stava attanagliando, ma disse: “Sono qui a preparare una predica sulla provvidenza ed ecco che mi si presenta l’occasione per mettere in pratica quello che racconto agl’altri: Non fuggirò, starò qui e confiderò nella salvezza che mi verrà dalla provvidenza Divina”.
Quando l’acqua raggiunse la sua finestra, arrivò una barca carica di persone. “Salti dentro, padre”, gridarono. “No, no figli miei”, replicò il sacerdote con calma. “Confido nella provvidenza di Dio che mi salverà”.
Il padre tuttavia salì sul tetto e, quando l’acqua arrivò fino lassù, passò un’altra barca carica di persone, le quali incoraggiarono il prete a salire. Ma egli rifiutò di nuovo.
Alla fine dovette arrampicarsi in cima al campanile. Quando l’acqua gli arrivò alle ginocchia e gli mandarono un pompiere a salvarlo con una barca a motore. “No, grazie, amico”, egli esclamò con un sorriso tranquillo. “Ho fiducia in Dio, capisce? Lui non mi abbandonerà”.
Quando il prete annegò e andò in Paradiso, la prima cosa che fece fu di lamentarsi con Dio: “Mi sono fidato di te! Perché non hai fatto niente per salvarmi?”. “A dire il vero”, rispose Dio, “ti ho mandato ben tre barche!”.
L’ACQUILA REALE di Anthony De Mello
Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una gallina. L’aquilotto nacque e crebbe con i pulcini: razzolava in cerca di vermi e insetti, chiocciava e faceva coccodè. E agitava le ali alzandosi di poco da terra come i polli. Dopo tutto è così che vola una gallina, no? Gli anni passarono e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide molto in alto sopra di lei, nel cielo limpido, un magnifico uccello, che fluttuava maestoso e pieno di grazia. La vecchia aquila lo osservò piena di reverenziale timore. “Chi è quello?”, chiese al suo vicino. “E’ l’aquila, la regina degli uccelli”, il vicino rispose. “Ma non ci pensare. Tu ed io siamo diversi da lei”. Così l’aquila non ci pensò più. Morì pensando di essere una gallina.
Tu sei un’aquila, perché il Signore del mondo ti ha fatto a sua immagine e somiglianza: tu sei un pensiero dell’amore di Dio. Alzati in volo. Diventa ciò che sei. Non abbassare il capo tra le cianfrusaglie del mondo: vivresti da pollo e moriresti come un pollo!
L’APPUNTAMENTO Tratto dal sito http://www.qunram2.net/

Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di un’ottantina di anni arrivò per farsi rimuovere dei punti da una ferita al pollice. Disse che aveva molta fretta perché aveva un appuntamento alle 9,00.
Rilevai la pressione e lo feci sedere, sapendo che sarebbe passata oltre un’ora prima che qualcuno potesse vederlo. Lo vedevo guardare continuamente il suo orologio e decisi, dal momento che non avevo impegni con altri pazienti, che mi sarei occupato io della ferita. Ad un primo esame, la ferita sembrava guarita: andai a prendere gli strumenti necessari per rimuovere la sutura e rimedicargli la ferita.
Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altro appuntamento medico dato che aveva tanta fretta. L’anziano signore mi rispose che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie. Mi informai della sua salute e lui mi raccontò che era affetta da tempo dall’Alzheimer. Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po’ tardi. Lui mi rispose che lei non lo riconosceva già da 5 anni.
Ne fui sorpreso, e gli chiesi: “e va ancora ogni mattina a trovarla anche se non sa chi è lei?”. L’uomo sorrise e mi batté la mano sulla spalla dicendo: “Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi è lei”. Dovetti trattenere le lacrime… Avevo la pelle d’oca e pensai: “Questo è il genere di amore che voglio nella mia vita”.
Il vero amore non è né fisico né romantico. Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia.
Sii più gentile del necessario, perché ciascuna delle persone che incontri sta combattendo qualche sorta di battaglia.
IL PACCHETTO DI BISCOTTI Tratto dal sito http://www.qunram2.net/

Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d’attesa di un grande aeroporto. Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decise di comprare un libro per ammazzare il tempo. Comprò anche un pacchetto di biscotti. Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla.

Accanto a lei c’era la sedia con i biscotti e dall’altro lato un signore che stava leggendo il giornale. Quando lei cominciò a prendere il primo biscotto, anche l’uomo ne prese uno; lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro. Tra sé pensò: “Ma tu guarda, se solo avessi un po’ più di coraggio gli avrei già dato un pugno…”.
Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l’uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno ne prendeva uno anche lui. Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò: “Ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti!”.
L’uomo prese l’ultimo biscotto e lo divise a metà! “Ah!, questo è troppo”; pensò e cominciò a sbuffare indignata, si prese le sue cose, il libro, la sua borsa e si incamminò verso l’uscita della sala d’attesa.
Quando si sentì un po’ meglio e la rabbia era passata, si sedette in una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l’attenzione ed evitare altri dispiaceri.
Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro, quando nell’aprire la borsa vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno. Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscotti uguale al suo era di quell’uomo seduto accanto a lei che però aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, nervoso o superiore, al contrario di lei che aveva sbuffato e addirittura si sentiva ferita nell’orgoglio.
Quante volte nella nostra vita mangeremo o avremo mangiato i biscotti di un altro senza saperlo? Prima di arrivare ad una conclusione affrettata e prima di pensare male delle persone, guarda attentamente le cose, molto spesso non sono come sembrano!
 IL GRANDE BURRONE
Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva: “Ma chi l’ha detto che ognuno deve portare la sua croce? Possibile che non esista un mezzo per evitarla? Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!”.
Il Buon Dio gli rispose con un sogno.
Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione. Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l’altro. Anche lui era nell’interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale. Dopo un po’ si accorse che la sua croce era troppo lunga: per questo faceva fatica ad avanzare. “Sarebbe sufficiente accorciarla un po’ e tribolerei molto meno”, disse. Con un taglio deciso, accorciò d’un bel pezzo la sua croce. Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più spedito e leggero. E senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione degli uomini. Era un burrone: una larga ferita nel terreno, oltre la quale però incominciava la “terra della felicità eterna”. Era una visione incantevole quella che si vedeva dall’altra parte del burrone. Ma non c’erano ponti, né passerelle per attraversare. Eppure gli uomini passavano con felicità. Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l’appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra. Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini del precipizio. Passavano tutti. Ma non lui. Aveva accorciato la sua croce e ora essa era troppo corta e non arrivava dall’altra parte del baratro. Si mise a piangere e disperarsi: “Ah, se l’avessi saputo…”. Ma, ormai, era troppo tardi e lamentarsi non serviva a niente.
Vivere il tempo… con pace!

Vivere bene il tempo che ci è dato, senza frenesia, con pace e abbandono fiducioso in Dio. Nel ritmo incalzante delle attività che riprendono, i pensieri di madre Maria sono perle di sapienza di cui fare tesoro.

  • Con l’aiuto della Sacra Famiglia, prometto di usufruire bene del tempo col fare tutto a tempo e luogo e con ordine, recitare frequenti e fervorose preghiere e conservarmi sempre tranquilla in qualunque avventura. Sacra Famiglia, aiutami a farmi santa.
  • Prometto con il tuo aiuto, caro Gesù, di fare tesoro del tempo, procurando che ogni mia azione piaccia a Dio e sia degna di ricompensa eterna.
  • Col tuo aiuto, Gesù, voglio da qui in avanti accogliere ogni croce e tribolazione senza scoraggiarmi, ma con pace, con calma; e quando alcuna cosa venisse a turbare la serenità della mia mente e la pace del mio cuore, verrò da te affinchè tu possa provvedere.
  • Vivrò come una bambina abbandonata nelle mani di Dio, lasciando a Lui solo la cura della mia santificazione e quella dell’intero Istituto. A questo scopo farò le mie preghiere piene di fede e confidenza in Dio, come il bambino con la propria mamma; e dopo questo vivrò in pace, sicura che otterrò quanto spero e domando. (Dai “Proponimenti”)
  • Riguardo alle tue inquietudini, non ti avvilire, non perdere la pace che è tutta arte del demonio. Sta allegra, caccia via dalla tua mente tanti pensieri, confida in Dio. A questo riguardo prega e basta; vivi tranquilla, tranquillissima.
  • Stai tranquilla, vivi in pace, mantieniti di buon umore; intanto prega e porta pazienza, sii forte. Il Signore certamente ti aiuterà. (Dalle “Lettere”)

 

  • La pace. Se manca il cemento, le pietre cadono; così è di noi. Se la pace non regna nelle nostre case, i cuori saranno divisi, mancherà la carità, la grazia. Se amate la comunità, amate la pace. Se non coltiviamo la pace, abbiamo l’inferno in casa.  (Dagli “Appunti”)
Storie per Riflettere


La strada per Dio
Molti eremiti abitavano nei dintorni della sorgente. Ognuno di loro si era costruito la propria capanna e passava le giornate in profondo silenzio, meditando e pregando. Ognuno, raccolto in se stesso, invocava la presenza di Dio.
Dio avrebbe voluto andare a trovarli, ma non riusciva a trovare la strada. Tutto quello che vedeva erano puntini lontani tra loro nella vastità del deserto. Poi, un giorno, per una improvvisa necessità, uno degli eremiti si recò da un altro. Sul terreno rimase una piccola traccia di quel cammino. Poco tempo dopo, l’altro eremita ricambiò la visita e quella traccia si fece più profonda. Anche gli altri eremiti incominciarono a scambiarsi visite.
La cosa accadde sempre più frequentemente. Finché, un giorno, Dio, sempre invocato dai buoni eremiti, si affacciò dall’alto e vide che vi era una ragnatela di sentieri che univano tra di loro le capanne degli eremiti. Tutto felice, Dio disse: “Adesso si! Adesso ho la strada per andarli a trovare”. Ma com’è difficile tracciare uno di quei sentierini.


La pecorella di Dio
C’era una volta una pecorella ribelle.
Essa vagava senza ben sapere che strada prendere.
Più volte Dio gliel’aveva mostrata ma lei voleva fare di testa sua, voleva cavarsela da sola.
Poiché la strada che si era scelta era comoda e priva di sacrifici.
Un bel giorno stanca di vivere nell’oppio decise di seguire la voce di Dio.
La strada che Dio le mostrò era tutta in salita.
La pecorella voleva tornare indietro, Dio però la incoraggiò ed ella riprese il suo cammino… a volte cadeva a terra, Dio però non la lasciava sola, se la metteva in braccio e l’aiutava nel proseguire.
La pecorella arrivò alla meta proposta da Dio sanguinante e straziata.
Ma quel che è strano è che arrivò felice.
Il Signore se la portò in paradiso.
Ora le disse nessuno ti farà del male sarai tutta mia io che tanto ho sperato in te e che tanto ti ho amata. La pecorella capì che più grande ricompensa non poteva avere.

Il buffone e il re
Un re aveva al suo servizio un buffone di corte che gli riempiva le giornate di battute e scherzi. Un giorno, il re affidò al buffone il suo scettro dicendogli: «Tienilo tu, finché non troverai qualcuno più stupido di te: allora potrai regalarlo a lui». Qualche anno dopo, il re si ammalò gravemente. Sentendo avvicinarsi la morte, chiamò il buffone, a cui in fondo si era affezionato, e gli disse: «Parto per un lungo viaggio».
«Quando tornerai? Fra un mese?», «No», rispose il re, «non tornerò mai più». «E quali preparativi hai fatto per questa spedizione?», chiese il buffone. «Nessuno!» fu la triste risposta. «Tu parti per sempre», disse il buffone, «e non ti sei preparato per niente? To’, prendi lo scettro: ho trovato uno più stupido di me!».

La bibbia e la forchetta
C’era una donna alla quale era stata diagnosticata una malattia incurabile e a cui avevano dato solo tre mesi di vita. Decise allora di “mettere in ordine tutte le sue cose”. Contattò un sacerdote e lo invitò a casa sua per discutere alcuni aspetti delle sue ultime volontà.

Gli disse quali canti voleva che si facessero durante il suo funerale, quali letture si dovevano tenere ed il vestito con il quale doveva essere sepolta. Chiese anche di essere seppellita tenendo in mano la sua Bibbia preferita. Tutto era stato detto e il sacerdote se ne stava già per andare quando la donna si ricordò di qualcosa che per lei era molto importante.

“C’è ancora qualcosa” disse eccitata.
“Di che si tratta?” domandò il sacerdote. “Questo è molto importante”, rispose la donna. “Chiedo di essere sepolta con una forchetta nella mia mano destra”.
Il sacerdote rimase impassibile, guardando la donna, senza sapere che cosa dire. “La sorprende?”, domandò la donna.
“Beh, per essere sincero, la cosa mi lascia perplesso”, disse il sacerdote.
La donna spiegò: “Tutto le volte che ho partecipato a qualche pranzo speciale, ricordo che, dopo aver ritirato i piatti delle pietanze, qualcuno diceva sempre: “Tenete la forchetta”. Era ciò che aspettavo perché sapevo che il meglio doveva ancora venire… dolce al cioccolato, marzapane… qualcosa di meraviglioso e di molto nutriente”.
Desidero che la gente mi veda nella mia bara con la forchetta in mano perché si chieda: “Che se ne fa della forchetta?”. Allora lei dovrà dire: “Se ne andò con la forchetta perché per lei il meglio doveva ancora venire”.

Gli occhi del sacerdote si riempirono di lacrime mentre abbracciava la donna congedandosi. Sapeva che sarebbe stata l’ultima volta che la vedeva prima della sua morte. Sapeva tuttavia anche che la donna aveva un’idea più bella del cielo della sua. Sapeva infatti che qualcosa di meglio stava per venire.

Durante il funerale la gente che passava davanti alla bara della defunta vide la Bibbia e la forchetta che teneva nella mano destra.

Più volte il sacerdote udì ripetere la domanda: “Ma che fa con la forchetta in mano?” e più volte sorrise.
Durante l’omelia il sacerdote riferì ai presenti la conversazione tenuta con la donna poco prima di morire. Parlò loro della forchetta e di che cosa significasse per lei.
Era un segno bellissimo del modo con cui la donna intendeva la sua morte.
La prossima volta che prendi in mano una forchetta non dimenticarti che il meglio deve ancora venire.

La donna
Quando il Signore fece la donna era il suo sesto giorno di lavoro, facendo straordinari.
Apparve un angelo e disse:
«Perché usi tanto tempo nel fare questo?»
E il Signore rispose:
«Hai visto il formulario delle specifiche che possiede? Deve essere completamente lavabile ma non di plastica, ha duecento parti mobili e tutte sostituibili, funziona a caffè e resti di pranzo, ha un grembo nel quale stanno due bambini allo stesso tempo, possiede un bacio che può curare qualsiasi cosa, da un ginocchio sbucciato ad un cuore rotto ed ha sei paia di mani».
L’angelo era sorpreso da tutti i requisiti che la donna possedeva.
«Sei paia di mani! Non è possibile!»
«Il problema non sono le mani, sono i tre paia di occhi che le madri devono avere», rispose il Signore.
«Tutto questo nel modello standard?», chiese l’Angelo.
Il Signore assentì con il capo.
«Sì, un paio d’occhi servono affinché possa vedere attraverso una porta chiusa chiedendo ai figli cosa stanno facendo, nonostante lo sappia. Un altro paio sono nella parte posteriore della testa per vedere cose che ha bisogno di conoscere nonostante nessuno pensi che sia necessario.Il terzo paio sono nella parte anteriore della testa. Questi servono quando vede i figli smarriti e guardandoli dice loro che li capisce e li ama comunque senza bisogno di dire una parola».
L’Angelo cercò di fermare il Signore: «Questo è un carico troppo grande per la donna!»
«Ascolta il resto delle specifiche!», protestò il Signore.
«Si cura da sola quando è ammalata, può alimentare una famiglia con qualsiasi cosa e può far sì che un bambino di nove anni resti sotto la doccia».
L’Angelo si avvicinò e toccò la donna: «Però, l’hai fatta tanto morbida, Signore!»
«Lei è morbida e dolce» disse il Signore, «però allo stesso tempo l’ho fatta forte. Non hai alcuna idea di quanto possa essere resistente e di quanto possa sopportare».
«Potrà pensare?» chiese l’Angelo.
Il Signore rispose: «Non solo sarà capace di pensare ma anche di ragionare e di negoziare».
L’Angelo notò qualcosa, si stirò e toccò la guancia della donna.
«Oh! Sembra che questo modello abbia una perdita. Gliel’ho detto che stava cercando di metterci troppe cose!».
«Questa non è una perdita, obiettò il Signore, questa è una lacrima!»
«E a cosa servono le lacrime?» chiese l’Angelo.
Il Signore disse: «Le lacrime sono la forma nella quale esprime la sua allegria, il suo dolore, il disincanto, la solarità, il suo orgoglio».
L’Angelo era impressionato.
«Sei un genio Signore! Hai davvero pensato a tutto, visto che le donne sono veramente meravigliose!»
E aggiunse:
«Le donne hanno una forza che meraviglia gli uomini. Crescono i figli, sopportano le difficoltà, portano carichi pesanti, tacciono quando vorrebbero gridare. Cantano quando vorrebbero piangere. Piangono quando sono felici e ridono quando sono nervose. Litigano per ciò in cui credono. Si sollevano contro le ingiustizie. Non accettano un NO come risposta quando credono che esista una soluzione migliore. Se sono in ristrettezze comprano le scarpe nuove per i figli e non per se stesse. Accompagnano dal medico un amico spaventato. Amano incondizionatamente. Trionfano. Hanno il cuore rotto quando muore un amico. Soffrono quando perdono un membro della famiglia ma riescono ad essere forti quando non c’è più nulla da cui trarre energia. Sanno che un abbraccio ad un bacio possono aggiustare un cuore rotto. Le donne sono fatte di tutte le misure, le forme ed i colori. Amministrano, volano, camminano o ti mandano e-mail per dirti quanto ti amano. Le donne fanno più che trasmettere luce, portano allegria e speranza, compassione ed ideali. Le donne hanno infinite cose da dire e da dare. Sì, il cuore delle donne è meraviglioso».

Il discepolo e il sacco di patate
Un giorno il saggio diede al discepolo un sacco vuoto e un cesto di patate.
“Pensa a tutte le persone che hanno fatto o detto qualcosa contro di te recentemente, specialmente quelle che non riesci a perdonare. Per ciascuna, scrivi il nome su una patata e mettila nel sacco”.
Il discepolo pensò ad alcune persone e rapidamente il suo sacco si riempì di patate.
“Porta con te il sacco, dovunque vai, per una settimana” disse il saggio. “Poi ne parleremo”.
Inizialmente il discepolo non pensò alla cosa. Portare il sacco non era particolarmente gravoso. Ma dopo un po’, divenne sempre più un gravoso fardello. Sembrava che fosse sempre più faticoso portarlo, anche se il suo peso rimaneva invariato.
Dopo qualche giorno, il sacco cominciò a puzzare. Le patate marce emettevano un odore acre. Non era solo faticoso portarlo, era anche sgradevole.
Finalmente la settimana terminò. Il saggio domandò al discepolo: “Nessuna riflessione sulla cosa?”.
“Sì Maestro” rispose il discepolo. “Quando siamo incapaci di perdonare gli altri, portiamo sempre con noi emozioni negative, proprio come queste patate. Questa negatività diventa un fardello per noi, e dopo un po’, peggiora.”
“Sì, questo è esattamente quello che accade quando si coltiva il rancore. Allora, come possiamo alleviare questo fardello?”.
“Dobbiamo sforzarci di perdonare”.
“Perdonare qualcuno equivale a togliere una patata dal sacco. Quante persone per cui provavi rancore sei capace di perdonare?”
“Ci ho pensato molto, Maestro” disse il discepolo. “Mi è costata molta fatica, ma ho deciso di perdonarli tutti”.

Il volto di Gesù
In Sicilia, il monaco Epifanio un giorno scoprì in sé un dono del Signore: sapeva dipingere bellissime icone.
Voleva dipingerne una che fosse il suo capolavoro: voleva ritrarre il volto di Cristo. Ma dove trovare un modello adatto che esprimesse insieme sofferenza e gioia, morte e risurrezione, divinità e umanità?
Epifanio non si dette più pace: si mise in viaggio; percorse l’Europa scrutando ogni volto. Nulla. Il volto adatto per rappresentare Cristo non c’era.
Una sera si addormentò ripetendo le parole del salmo: “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto”.
Fece un sogno: un angelo lo riportava dalle persone incontrate e gli indicava un particolare che rendeva quel volto simile a quello di Cristo: la gioia di una giovane sposa, l’innocenza di un bambino, la forza di un contadino, la sofferenza di un malato, la paura di un condannato, la bontà di una madre, lo sgomento di un orfano, la severità di un giudice, l’allegria di un giullare, la misericordia di un confessore, il volto bendato di un lebbroso. Epifanio tornò al suo convento e si mise al lavoro.
Dopo un anno l’icona di Cristo era pronta e la presentò all’Abate e ai confratelli, che rimasero attoniti e piombarono in ginocchio. Il volto di Cristo era meraviglioso, commovente, scrutava nell’intimo e interrogava.
Invano chiesero a Epifanio chi gli era servito da modello. Non cercare il Cristo nel volto di un solo uomo, ma cerca in ogni uomo un frammento del volto di Cristo.


Perché partecipare alla S.Messa della domenica…
Un giorno un Pastore andò a trovare un suo parrocchiano che non partecipava
più da tanto tempo alla liturgia domenicale, lo trovò di fronte al fuoco del
caminetto. Senza dire niente prese un pezzo di legno che ancora bruciava e lo
mise al centro della stanza, dopo un po’ di tempo il legno lentamente si
spense.
Il suo parrocchiano gli disse:”Padre non ha bisogno di dirmi niente, ho
capito!”


Il tempo di Kahlil Gibran
E un astronomo disse:
Maestro, parlaci del Tempo
Il tempo è senza inizio nell’ordito di un tessuto dove il silenzio,
nell’affaticare dell’universo tace e voi vorreste misurare il ritmo
dell’universo, l’incommensurabile e l’immenso.
Vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro
spirito secondo le ore e le stagioni.
Del tempo vorreste fare un fiume per sostare presso la sua riva e guardarlo
fluire.
Ma l’eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo.
E sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.
E ciò che in voi è canto e contemplazione dimora quieto entro i confini di
quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio.
Chi di voi non sente che la sua forza d’amore è sconfinata?
E chi non sente che questo autentico amore, benché sconfinato, è racchiuso nel
centro del proprio essere, e non passa da pensiero d’amore a pensiero d’amore,
né da atto d’amore ad atto d’amore?
E non è forse il tempo, così come l’amore, indiviso e immoto.
Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni
stagione racchiuda tutte le altre, e che il presente abbracci il passato con il
ricordo, e il futuro con l’attesa.


La vecchia zia Ada
La vecchia zia Ada, quando fu molto vecchia, andò ad abitare al ricovero dei vecchi, in una stanzina con tre letti, dove già stavano due vecchine, vecchie quanto lei. La vecchia zia Ada si scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciolò un biscotto secco sul davanzale.
 Brava, così verranno le formiche, – dissero le altre due vecchine, stizzite.
Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, beccò di gusto il biscotto e volò via.
 Ecco, – borbottarono le vecchine, – che cosa ci avete guadagnato? Ha beccato ed è volato via. Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo, chissà dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano più.
La vecchia zia Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e l’uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un pensionante, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva.
Dopo qualche tempo l’uccellino portò anche i suoi piccoli, perché aveva fatto il nido e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo trovavano facevano un gran chiasso.
 Ci sono i vostri uccellini, – dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada, con un po’ d’invidia. E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al suo cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caffè e quello delle caramelle all’anice e intanto diceva:
 Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo.
 Eh, – mormoravano le altre vecchine, – se bastasse mettere un biscotto sul davanzale per far tornare i nostri figli. E i vostri, zia Ada, dove sono i vostri?
La vecchia zia Ada non lo sapeva più: forse in Austria, forse in Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e diceva loro: – Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per volare.
E quando avevano finito di beccare il biscotto: – Su, andate, andate. Cosa aspettate ancora? Le ali sono fatte per volare.
Le vecchine crollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po’ matta, perché vecchia e povera com’era aveva ancora qualcosa da regalare e non pretendeva nemmeno che le dicessero grazie.
Poi la vecchia zia Ada morì, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po’ di tempo, e non valeva piú la pena di mettersi in viaggio per il funerale. Ma gli uccellini tornarono per tutto l’inverno sul davanzale della finestra e protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.

I due bebè
Nel ventre di una donna incinta si trovavano due bebè. Uno di loro chiese all’altro:
 Tu credi nella vita dopo il parto?
 Certo. Qualcosa deve esserci dopo il parto. Forse siamo qui per prepararci per quello saremo più tardi.
 Sciocchezze! Non c’è una vita dopo il parto. Come sarebbe quella vita?
 Non lo so, ma sicuramente… ci sarà più luce che qua. Magari cammineremo con le nostre gambe e ci ciberemo dalla bocca.
 Ma è assurdo! Camminare è impossibile. E mangiare dalla bocca? Ridicolo! Il cordone ombelicale è la via d’alimentazione… Ti dico una cosa: la vita dopo il parto è da escludere. Il cordone ombelicale è troppo corto.
 Invece io credo che debba esserci qualcosa. E forse sarà diverso da quello cui siamo abituati ad avere qui.
 Però nessuno è tornato dall’aldilà, dopo il parto. Il parto è la fine della vita. E in fin dei conti, la vita non è altro che un’angosciante esistenza nel buio che ci porta al nulla.
 Beh, io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma sicuramente vedremmo la mamma e lei si prenderà cura di noi.
 Mamma? Tu credi nella mamma? E dove credi che sia lei ora?
 Dove? Tutta in torno a noi! E’ in lei e grazie a lei che viviamo. Senza di lei tutto questo mondo non esisterebbe.
 Eppure io non ci credo! Non ho mai visto la mamma, per cui, è logico che non esista.
 Ok, ma a volte, quando siamo in silenzio, si riesce a sentirla o percepire come accarezza il nostro mondo. Sai?… Io penso che ci sia una vita reale che ci aspetta e che ora soltanto stiamo preparandoci per essa…


L’arcobaleno
Nella nostra vita non c’è niente di preconfezionato, ogni cosa ce la dobbiamo costruire con i vari colori che formano la realtà.

Il BIANCO è il colore principale che servirà come base. È la quotidianità, il voler costruire, giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, la tua vita, che è unica e insostituibile.

Poi c’è il ROSSO che ci ricorda il sangue, la lotta, la passione, la sofferenza, i sacrifici… Sì, lo so, che quest’ultima parola non va di moda, ma è comunque essenziale.

Ecco L’AZZURRO che ricorda il cielo, la serenità, la gioia, la condivisione… l’allegria dello stare insieme agli altri.

Il GIALLO è il colore del successo, del benessere del pane abbondante che ci viene donato ogni giorno.

Il VIOLA è il colore della riflessione, del silenzio, della meditazione… del trovare noi stessi.

Poi c’è il VERDE il colore della natura, della speranza, dei passaggi, dell’attesa, della risurrezione… della vita.

L’ ARANCIONE è la capacità di rinnovarsi, di affrontare le cose in modo nuovo, vincendo la noia e la ripetitività di ogni giorno.

Ecco, prendi tutti questi colori e con essi vedi di dipingere l’affresco della tua vita. Non pensare che sarà un lavoro semplice, e nemmeno che te la caverai facilmente. L’affresco finirà solo con la tua vita; ma è nelle sapiente combinazione di questi colori che troverai ciò che hai sempre desiderato.

Come in natura i colori si uniscono formando un unico arcobaleno, così il Dio della vita, fedele alle sue promesse di alleanza, ci invita a divenire UNO in Lui armonizzando le nostre ricchezza doni, diversità e carismi. Questo è l’affresco che siamo chiamati a dipingere.

Il Miracolo
Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l’amore può fare meraviglie.
Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello. I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi.
Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime: “Non ce la facciamo più, cara. Credo sia finita. Solo un miracolo potrebbe salvarlo”.
La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito. Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina. Attese pazientemente il suo turno. Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista meravigliato, posò sul baco tutte le monete.
“Per cos’è? Che cosa vuoi piccola?”.
“È per il mio fratellino, signor farmacista. È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo”.
“Che cosa dici?” borbottò il farmacista.
“Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c’è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo”.
Il farmacista accennò un sorriso triste. “Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli”.
“Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora. Quanto costa un miracolo?”.
C’era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall’aria molto seria, che sembrava interessato alla strana conversazione. Il farmacista allargò le braccia mortificato. La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine.
L’uomo si avvicinò a lei. “Perché piangi, piccola? Che cosa ti succede?”.
“Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa… È per il mio fratellino Andrea che è molto malato. Mamma dice che ci vorrebbe un’operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Per questo ho portato tutto quello che ho”.
“Quanto hai?”.
“Un dollaro e undici centesimi… Ma, sapete…” aggiunse con un filo di voce, “posso trovare ancora qualcosa…”.
L’uomo sorrise “Guarda, non credo sia necessario. Un dollaro e undici centesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!”.
Con una mano raccolse la piccola somma e con l’altra prese dolcemente la manina della bambina. “Portami a casa tua, piccola. Voglio vedere il tuo fratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccol miracolo di cui avete bisogno”.
Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano. Quell’uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo. Operò il piccolo Andrea, che potè tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito.
“Questa operazione” mormorò la mamma “è un vero miracolo. Mi chiedo quanto sia costata…”.
La sorellina sorrise senza dire niente. Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesimi… più, naturalmente l’amore e la fede di una bambina.

“Se aveste almeno una fede piccola come un granello di senape, potreste dire a questo monte: Spostati da qui a là e il monte si sposterà. Niente sarà impossibile per voi”. Vangelo di Matteo 17,20.

Saggezza
Un gruppo di laureati, affermati nelle loro carriere, discutevano sulle loro vite durante una riunione. Decisero di fare visita al loro vecchio professore universitario, ora in pensione, che era sempre stato un punto di riferimento per loro. Durante la visita, si lamentarono dello stress che dominava la loro vita, il loro lavoro e le relazioni sociali.
Volendo offrire ai suoi ospiti un cioccolato caldo, il professore andò in cucina e ritornò con una grande brocca e un assortimento di tazze. Alcune di porcellana, altre di vetro, di cristallo, alcune semplici, altre costose, altre di squisita fattura.
Il professore li invitò a servirsi da soli il cioccolato. Quando tutti ebbero in mano la tazza con il cioccolato caldo il professore espose le sue considerazioni.
“Noto che son state prese tutte le tazze più belle e costose, mentre son state lasciate sul tavolino quelle di poco valore. La causa dei vostri problemi e dello stress è che per voi è normale volere sempre il meglio. La tazza da cui state bevendo non aggiunge nulla alla qualità del cioccolato caldo. In alcuni casi la tazza è molto bella mentre alcune altre nascondono anche quello che bevete. Quello che ognuno di voi voleva in realtà era il cioccolato caldo. Voi non volevate la tazza… Ma voi consapevolmente avete scelto le tazze migliori. E subito, avete cominciato a guardare le tazze degli altri. Ora amici vi prego di ascoltarmi… La vita è il cioccolato caldo… il vostro lavoro, il denaro, la posizione nella società sono le tazze. Le tazze sono solo contenitori per accogliere e contenere la vita. La tazza che avete non determina la vita, non cambia la qualità della vita che state vivendo. Qualche volta, concentrandovi solo sulla tazza, voi non riuscite ad apprezzare il cioccolato caldo che Dio vi ha dato. Ricordatevi sempre questo: Dio prepara il cioccolato caldo, Egli non sceglie la tazza. La gente più felice non ha il meglio di ogni cosa, ma apprezza il meglio di ogni cosa che ha! Vivere semplicemente. Amare generosamente. Preoccuparsi profondamente. Parlare gentilmente. Lasciate il resto a Dio. E ricordatevi: La persona più ricca non è quella che ha di più, ma quella che ha bisogno del minimo. Godetevi il vostro caldo cioccolato!!

Cicatrici
In un caldo giorno d’estate nel sud della Florida, un bambino decise di andare a nuotare nella laguna dietro casa sua. Uscì dalla porta posteriore correndo e si gettò in acqua nuotando felice. Sua madre lo guardava dalla casa attraverso la finestra e vide con orrore quello che stava succedendo. Corse subito verso suo figlio gridando più forte che poteva. Sentendola il bambino si allarmò e nuotò verso sua madre, ma era ormai troppo tardi. La mamma afferrò il bambino per le braccia, proprio quando il caimano gli afferrava le gambe. La donna tirava determinata, con tutta la forza del suo cuore. Il coccodrillo era più forte, ma la mamma era molto più determinata e il suo amore non l’abbandonava.
Un uomo sentì le grida, si precipitò sul posto con una pistola e uccise il coccodrillo. Il bimbo si salvò e, anche se le sue gambe erano ferite gravemente, poté di nuovo camminare.
Quando uscì dal trauma, un giornalista domandò al bambino se voleva mostrargli le cicatrici sulle sue gambe. Il bimbo sollevò la coperta e gliele fece vedere. Poi, con grande orgoglio si rimboccò le maniche e disse: “Ma quelle che deve vedere sono queste!”.
Erano i segni delle unghie di sua madre che l’avevano stretto con forza.
“Le ho perché la mamma non mi ha lasciato e mi ha salvato la vita”.

Anche noi abbiamo cicatrici di un passato doloroso. Alcune sono causate dai nostri peccati, ma alcune sono le impronte di Dio quando ci ha sostenuto con forza per non farci cadere fra gli artigli del male.
Ricorda che se qualche volta la tua anima ha sofferto… è perché Dio ti ha afferrato troppo forte affinché non cadessi!


La scala
Un bambino giocava a “fare il prete” insieme ad un coetaneo, sulle scale della sua casa. Tutto andò bene finché il suo piccolo amico, stufo di fare solo il chierichetto, salì su un gradino più alto e cominciò a predicare.
Il bambino naturalmente lo rimproverò bruscamente: “Posso predicare soltanto io! Tu non puoi predicare! Tocca a me! Rovini il gioco, sei cattivo!”.
Richiamata dagli strilli, intervenne la mamma e spiegò al bambino che per dovere di ospitalità doveva permettere all’altro di predicare.
A questo punto il bambino si imbronciò per un attimo, poi illuminandosi salì sul gradino più alto e rispose: “Va bene, lui può continuare a predicare, ma io farò Dio”. Se pensi che il mondo è fatto a scale, passi il tempo a sgomitare sui gradini, cercando di salire un po’ più in alto.

Ditelo prima
Lui era un omone robusto, dalla voce tonante e i modi bruschi. Lei era una donna dolce e delicata. Si erano sposati. Lui non le faceva mancare nulla, lei accudiva la casa ed educava i figli. I figli crebbero, si sposarono, se ne andarono. Una storia come tante.
Ma, quando tutti i figli furono sistemati, la donna perse il sorriso, divenne sempre più esile, non riusciva più a mangiare e in breve non si alzò più dal letto.
Preoccupato, il marito la fece ricoverare in ospedale.
Vennero al suo capezzale medici e specialisti famosi. Nessuno riusciva a scoprire il genere di malattia. Scuotevano la testa e dicevano: “Mah!”. L’ultimo specialista prese da parte l’omone e gli disse: “Direi semplicemente che sua moglie non ha più voglia di vivere!”.
Senza dire una parola, l’omone si sedette accanto al letto della moglie e le prese la mano. Una manina sottile che scomparve nella manona dell’uomo. Poi, con la sua voce tonante, disse deciso: “Tu non morirai!”.
“Perché?”, chiese lei, in un soffio lieve.
“Perché io ho bisogno di te!”.
“E perché non me l’hai detto prima?”.
Da quel momento la donna cominciò a migliorare. E oggi sta benissimo. Mentre medici e specialisti continuano a chiedersi che razza di malattia avesse e quale straordinaria medicina l’avesse fatta guarire così in fretta.
Non aspettare mai domani per dire a qualcuno che l’ami. Fallo subito. Non pensare: “Ma mia madre, mio figlio, mia moglie lo sa già”. Forse lo sa. Ma tu ti stancheresti mai di sentirtelo ripetere? Non guardare l’ora, prendi il telefono: “Sono io, voglio dirti che ti voglio bene”. Stringi la mano della persona che ami e dillo: “Ho bisogno di te! Ti voglio bene, ti voglio bene, ti voglio bene”.
L’amore è la vita. Vi è una terra dei morti e una terra dei vivi. Chi li distingue è l’amore.

La saggezza
Il ricco industriale del nord rimase inorridito trovando il pescatore del sud pigramente sdraiato accanto alla sua barca a fumare la pipa.
“Perché non sei in mare a pescare?”, gli domandò l’industriale.
“Perché ho preso abbastanza pesce per oggi”, rispose il pescatore.
“Perché non ne prendi più di quanto te ne serve?” domandò l’industriale.
“Che cosa ne dovrei fare?”, disse il pescatore.
“Potresti guadagnare più soldi”, fu la risposta. “Così potresti dotare la tua barca di un motore. Allora potresti spingerti in acque più profonde e prendere più pesce. Allora avresti abbastanza soldi per comprare reti di nylon. Queste ti frutterebbero più pesce e più soldi. Ben presto avresti abbastanza denaro per possedere due barche… magari un’intera flotta di barche. Allora saresti un uomo ricco come me”.
“Che cosa farei allora?” domandò il pescatore.
“Allora potresti sederti e goderti la vita”, rispose l’industriale.
“Che cosa pensi che stia facendo in questo preciso momento?”, disse il pescatore soddisfatto. È più saggio mantenere intatta la propria capacità di godersi la vita che guadagnare un sacco di soldi.

La malattia più grave
Un giorno, a un luminare della medicina venne chiesto quale fosse la più grave malattia del secolo.
I presenti si aspettavano che dicesse il cancro o l’infarto.
Grande fu lo stupore generale quando lo scienziato rispose: “L’indifferenza!”
Tutti allora si guardarono negli occhi e ognuno si accorse di essere gravemente ammalato.
Infine gli domandarono quale ne fosse la cura.
E lo scienziato disse: “Accorgersene! “

Ogni Giorno
Un rabbino, dotto e stimato, fu invitato a tenere una conferenza sull’Esodo in uno dei centri culturali più esclusivi della città. Il pubblico, colto e preparato, seguiva attentamente l’esposizione.
Il rabbino presentò così l’episodio della manna che cadeva dal cielo: “Il Signore faceva piovere il suo pane, che aveva sapore di focaccia con il miele, quanta bastava per il giorno. Non si conservava fino al giorno dopo, eccetto il venerdì. Quando il sole cominciava a scaldare si scioglieva…..”.
Un ascoltatore lo interruppe: “Che spreco di tempo! Perchè per un giorno? Non sarebbe stato meglio se Dio avesse inviato provviste che durassero almeno per un anno? Sarebbe stato più pratico e molto meno faticoso….”.
Il rabbino, com’era solito fare, rispose con una storia: “Un grande re aveva un figlio. Era solo un bambino ma doveva salire al trono e la sua educazione era un affare di stato. C’era una legge che imponeva che il re vedesse il figlio solo una volta all’anno. Il re amava molto il suo bambino e il principino amava molto il suo papà. Quanto avrebbero voluto stare insieme un po’ di più! ma la legge era inesorabile. Così piano piano divennero due estranei“. E continuò: “Per questo Dio mandava il suo dono ogni giorno……”. Per questo noi preghiamo ogni giorno.

Il Giardino di Dio
C’era una volta un giardino chiuso da altissime mura, che suscitava a curiosità di molti.
Finalmente una notte quattro uomini si munirono di un’altissima scala per vedere che mai ci fosse di là.
Quando il primo raggiunse la sommità del muro, si mise a ridere forte e saltò nel giardino.
Salì a sua volta il secondo, si mise a ridere e saltò anch’egli.
Così il terzo.
Quando toccò al quarto, questi vide dall’alto del muro uno splendido giardino con alberi da frutta, fontane, statue, fiori di ogni genere e mille altre delizie.
Forte fu il desiderio di gettarsi in quell’oasi di verde e di quiete, ma un altro desiderio ebbe il sopravvento: quello di andare per il mondo a parlare a tutti dell’esistenza di quel giardino e della sua bellezza. È questo il tipo di uomo che salva l’umanità.
Colui che avendo visto Dio desidera condividerne con gli altri la visione.
Costui avrà un giorno nel giardino un posto speciale, accanto al cuore di Dio

Il Re e il Falco
C’ era un re il cui migliore amico era un falco che non lo abbandonava mai.
Un giorno, di ritorno da una guerra , il re aveva molta sete.
Scese dal suo cavallo e s avvicinò a un fiume e si sporse per bere, ma il suo fedele amico lo graffiò disturbandolo.
Il re lo caccio’ via innervosito per non aver potuto bere e si chinò nuovamente.
Si sporse per bere e il falco nuovamente lo disturbò e questi s adirò, sfoderò la spada e lo uccise.
Stremato dalla guerra aveva compiuto quel triste gesto.
Nuovamente si chinò per bere e una donna li venne incontro urlante ‘ maestà non bevete il fiume è avvelenato’

La macchia nera
Una volta, un maestro fece una macchiolina nera nel centro di un bel foglio di carta bianco e poi lo mostrò agli allievi.
“Che cosa vedete?”, chiese.
“Una macchia nera!”, risposero in coro.
“Avete visto tutti la macchia nera che è piccola piccola”, ribatté il maestro, “e nessuno ha visto il grande foglio bianco”. La vita è una serie di momenti: il vero successo sta nel viverli tutti. Non rischiare di perdere il grande foglio bianco per inseguire una macchiolina nera.

DALLA  TERRA  ALLE  ALTEZZE
O  Spirito potente
manda un raggio della tua soavità,
concedi alla mia anima
di godere la pienezza delle grazie
della tua grande misericordia.
Ara il campo del mio cuore indurito,
perché possa accogliere e far fruttificare
il tuo seme spirituale.
Confessiamo che soltanto per la tua somma sapienza
tutti i doni fioriscano e crescono in noi.
Sei tu che consacri gli apostoli,
ispiri i profeti, istruisci i maestri,
fai parlare i muti e apri le orecchie dei sordi.
Stendi, vicinissima, la tua destra su di me
e fortificami con la grazia della tua compassione;
dissipa dal mio spirito la fosca nebbia dell’odio
e disperdi con essa le tenebre del peccato,
perché possa elevarmi, con l’acume dell’intelletto,
dalla vita terrena alle altezze.( SAN GREGORIO DI  NAREK )
CRISTO NON HA MANI

 

Cristo non ha più le mani,
ha soltanto le nostre mani
per fare il suo lavoro.
Cristo non ha più piedi,
ha soltanto i nostri piedi
per guidare gli uomini sui suoi sentieri.
Cristo non ha più voce,
ha soltanto la nostra voce
per raccontare di sé agli uomini di oggi.
Cristo non ha più forze,
ha soltanto il nostro aiuto
per condurre gli uomini a sé.
Noi siamo l’unica Bibbia,
che i popoli leggono ancora;
siamo l’unico messaggio di Dio
scritto in opere e parole.

( Anonimo Fiammingo )

NON SEPARARCI

 

Signore Dio,
non possiamo sperare nulla di meglio per gli altri,
che la felicità sperata da noi stessi.
Perciò, te ne supplico,
non separarmi dopo la morte
da quelli che ho amato veramente.
Ti supplico, Signore:
permetti che dove sono io,
gli altri si trovino con me
e che lassù io abbia la gioia della loro presenza,
di cui fui privato sulla terra.
Signore Dio, io ti imploro:
accogli senza tardare
nel seno della vita i figli diletti.
Al posto della loro breve vita terrena
dà loro felicità eterna.
Signore, tu sai la nostra tristezza:
in questa prova fortifica la nostra fede.
Che i nostri morti conoscano per sempre
la pace presso di te.
Che essi trovino in te il perdono dei loro peccati.
Che condividano la gioia eterna dei tuoi amici.
Dio, Padre nostro,
accoglili con tutti quelli che ci hanno preceduto.

( SANT’AMBROGIO )

LA FEDE E’ TUTTO
Mio Dio, com’è assurda la mia vita
Senza il dono della fede!
Una candela fumigante è la mia intelligenza.
Un braciere colmo di cenere è il mio cuore.
Una fredda e breve giornata d’inverno
è la mia esistenza.
Dammi la fede!
Una fede che dia senso al mio vivere,
forza al mio cammino,
significato al mio sacrificio,
certezza ai miei dubbi,
speranza alle mie delusioni,
coraggio alle mie paure,
vigore alle mie stanchezze,
sentieri ai miei smarrimenti,
luce alle notti del mio spirito,
riposo e pace alle ansie del cuore.( Don Serafino Falvo )
ABBIAMO BISOGNO DI  TE
Abbiamo bisogno di te, o Dio,
anche se non sempre ti cerchiamo.
Abbiamo bisogno di sentirci amati
e di essere perdonati, anche se
non ti sappiamo chiedere perdono.
Abbiamo bisogno di sentirti
vicino come padre,
anche se non ci comportiamo da figli.
Vogliamo essere nel tuo disegno,
anche se non lo comprendiamo.
Abbiamo bisogno di te, o Dio,
perché solo tu puoi cancellare i peccati
che ci impediscono di essere trasparenza.
Mio Dio, abbiamo bisogno di te. ( ERNESTO OLIVERO )
SIGNORE, AIUTAMI…
Ad abbassare il tono della mia voce.
A trovare il silenzio dentro e fuori di me.
Ad ascoltare le parole appena sussurrate.
A sentire il profumo di un fiore appena sbocciato.
A discernere il bene dal male.
Ad usare sempre parole buone.
A benedire e non a maledire.
A comprendere i sogni 
ed i desideri nascosti nel cuore della gente.
Ad inginocchiarmi davanti al tuo Santissimo Corpo.
Ad essere una persona dalle mani dure
ma dal cuore buono.
A riconoscere sempre i miei errori.
A togliere l’orgoglio dalla mia vita.
A portare ogni giorno la mia croce.
A riconoscerti nel volto di ogni essere umano.
Ad essere in ogni luogo espressione della tua felicità.
Aiutami, Signore, a riconoscere sempre la tua voce.
Amen!( ADOLFO REBECCHINI )
IO SONO VIVO
Signore Dio, sii lodato e benedetto
per aver chiamato l’uomo
a godere del dono della vita.
Signore misericordioso,
sapendo bene che io sono vivo,
aiutami a godere di questo tuo dono,
così che in me non ci sia tristezza.
O vera luce e splendore dei giusti,
se gli uomini provano gioia
alla vista degli alberi colmi di fogliame,
dei fiori e dei frutti, alla vista dei ruscelli,
delle praterie e dei boschi,
devono godere anche di se stessi, sentendosi vivi,
perché chi gode della bellezza che è esterna a sé
a maggior ragione deve godere
di quella che è dentro di sé.
Sono tanto felice, o Signore!
Della mia gioia e pace
faccio la mia dimora e il mio tempio.( BEATO RAIMONDO LULLO )
LA FORZA DEL PERDONO
Se crediamo che il perdono
è più forte del male che ci colpisce, 
e più grande del nostro orgoglio
e della nostra sofferenza;
se crediamo che il perdono 
è capace di trasformare lo spirito e il cuore
per strapparci ai nostri limiti e spingerci oltre;
se crediamo che il perdono
è sorgente di una più grande libertà 
pace e dolcezza e che fa crescere la vita;
se crediamo che il perdono è accoglienza,
umiltà e maturazione
e che è in grado di forgiare un essere nuovo e bello;
se crediamo che il perdono 
fa crescere nel più profondo di noi stessi
la gioia della resurrezione e l’allegria della Pasqua;
allora noi trasformeremo la nostra vita.( CRISTINA RAIMBOLT )
LA GRAZIA DEL RISPETTO
Signore Gesù, metti un lucchetto
alla porta del nostro cuore,
per non pensare male di nessuno,
per non giudicare prima del tempo,
per non sentir male, per non supporre,
per non profanare il santuario sacro delle intenzioni.
Signore Gesù,
legame unificante della nostra comunità,
metti un sigillo alla nostra bocca
per chiudere il passo ad ogni mormorazione
o commento sfavorevole.
Concedici di custodire fino alla sepoltura,
le confidenze che riceviamo
o le irregolarità che vediamo,
sapendo che il primo e concreto modo di amare
è custodire il silenzio.
Semina nelle nostre viscere fibre di delicatezza.
Dacci uno spirito di profonda cortesia,
per riviverci l’uno con l’altro,
come avremmo fatto con Te.
Signore Gesù Cristo,
dacci la grazia di rispettare sempre. Così sia.( IGNACIO LARRANAGA )
SONO DEBOLI COME GLI ALTRI
Dio onnipotente ed eterno, per i meriti
del Tuo Figlio e per il tuo amore verso di Lui,
abbi pietà dei sacerdoti della Santa Chiesa.
Nonostante questa dignità sublime
sono deboli come gli altri.
Incendia i loro cuori con il fuoco del Tuo Amore.
Non lasciare che perdano la vocazione o la sminuiscono.
O Gesù, dei sacerdoti che ti servono fedelmente,
che guidano il Tuo gregge e Ti glorificano.
Abbi pietà di quelli perseguitati, incarcerati,
abbandonati, piegati dalle sofferenze.
Abbi pietà dei sacerdoti tiepidi, che vacillano nella fede.
Abbi pietà dei sacerdoti che hanno abbandonato,
abbi pietà dei sacerdoti infermi e moribondi,
abbi pietà di quelli che stanno in purgatorio.
Gesù ti supplichiamo: abbi pietà dei sacerdoti: sono Tuoi!
Illuminali, fortificali e consolali.
O Gesù, ti affidiamo i sacerdoti di tutto il mondo,ma
soprattutto quelli che ci hanno battezzato ed assolto,
quelli che per noi hanno offerto il Santo sacrificio.
Ti affidiamo i sacerdoti, che hanno dissipato i nostri dubbi,
indirizzato i nostri passi, consolato le nostre pene.
Per tutti loro, imploriamo la Tua misericordia. Amen.( MONS. IGNATIUS KUNG, VESCOVO DI  SHANGAI, SCRITTA IN PRIGIONIA )
PREGHIERA  A SAN GIUSEPPE
Giuseppe,
io penso che hai avuto più coraggio
tu a condividere il progetto di Maria,
di quanto ne abbia avuto lei
a condividere il progetto del Signore.
Lei ha puntato tutto
sulla onnipotenza del Creatore,
tu hai scommesso tutto
sulla fragilità della creatura.
Lei ha avuto più fede,
ma tu hai avuto più speranza:
la carità ha fatto il resto in te e in lei.( MONS. TONINO BELLO )
ENTRA NELLA MIA CASA
Vieni e fa’ tu stesso la Tua volontà in me.
I tuoi comandamenti non c’entrano nel mio cuore stretto,
e la mia mente limitata non afferra il loro contenuto…
Se tu non vorrai benevolmente dimorare in me,
allora io inevitabilmente camminerò verso il buio.
So che tu non agisci con violenza,
ma ti supplico entra con potere nella mia casa
e  fa’ rinascere tutto me.
Cambia il buio infernale della mia superbia,
nel tuo amore umile.
Trasforma la mia natura corrotta,
in modo che nessuna passione rimanga in me,
capace di ostacolare la venuta
di tuo Padre insieme a Te.
Fa’ di me quella Santa Vita
che tu stesso mi hai permesso
di assaporare in parte…
Sì, Signore, ti prego, non privarmi
di questo segno della tua bontà.( ARCHIMANDRITA SOFRONIO )
ECCOMI CON LE MIE VILTA’
Ho fuggito la santità, ho avuto timore,
ho tergiversato, esitato,
proceduto con calcoli meschini,
proprio quando più si imponeva
una piena disponibilità.
Gesù, Signore, eccomi con le mie viltà
e i miei sciocchi desideri.
Concedimi la tua benevolenza e il tuo aiuto:
ho veramente bisogno della tua infinita bontà.
Dimentica il pessimo amico che sono stato:
vorrei iniziare con te un’amicizia nuova,
un’amicizia giovane e ardente,
un’amicizia in cui tutto sia veramente comune,
un’amicizia per la vita e per la morte.
Dammi un cuore nuovo,
un cuore fedele ed umile come quello di Maria,
entusiasta e fiero come quello di Paolo.
( Pierre Lyonnet )
PATRONO DEI FIDANZATI
Caro San Valentino
che da secoli aiuti i fidanzati a vivere nell’amore,
proteggi e aiuta anche noi.
Insegnaci ad ascoltare il Vangelo
e a metterlo in pratica.
Vedremo i nostri cuori aprirsi alla condivisione,
alla generosa dedizione reciproca.
Sappiamo che Gesù andò
al matrimonio di due giovani, a Cana di Galilea,
e salvò la loro festa cambiando l’acqua in vino.
Aiutaci a comprendere che senza Gesù
è difficile amarci tra noi gratuitamente
fino al sacrificio, fino alla felicità.
Guida anche noi nei momenti sereni e in quelli tristi,
portaci al dialogo fiducioso,
con Maria Madre di Gesù e Madre nostra,
perché interceda per noi presso il Figlio.
Siamo certi che si compirà anche per noi,
come quei due giovani del Vangelo,
il miracolo dell’Amore. Amen.
( Mons. Vincenzo Paglia )
GIORNATA MONDIALE  DEL MALATO
RIMANI ACCANTO, MARIARimani, Maria,accanto a tutti gli ammalati del mondo,di coloro che in questo momento,
hanno perso conoscenza e stanno per morire;
di coloro che stanno iniziando una lunga agonia,
di coloro che hanno perso ogni speranza di guarigione;
di coloro che gridano e piangono per la sofferenza;
di coloro che non possono curarsi perché poveri;
di quelli che vorrebbero camminare
e devono restare immobili;
di quelli che vorrebbero riposare 
e la miseria costringe a lavorare ancora;
di quelli che sono tormentati dal pensiero 
di una famiglia in miseria;
di quanti devono rinunciare ai loro progetti;
di quanti soprattutto
non credono ad una vita migliore;
di quanti si ribellano e bestemmiano Dio;
di quanti non sanno o non ricordano
che il Cristo ha sofferto come loro.( Trovato nella chiesa di LA ROCHE-POZAY )
GIORNATA NAZIONALE IN DIFESA DELLA VITA
PER UN BAMBINO NON ANCORA NATOO Madre, Maria
tu che tutto conosci sulla gioia
e la felicità e l’incertezza
che ogni madre sente
per il proprio figlio non ancora nato.
Benedici i genitori
e benedici questo bambino
per quanto piccolo e minuto possa essere.
Preparagli una vita
piena di pace e di gioia,
di amore e di felicità.
Proteggi questa piccola vita
con tutta la tua forza
con tutta la tua attenzione.
Carissima Madre, Maria
vigila affinché questo piccolo cuore
che pulsa nel ventre di sua madre
nessuno lo colpisca prima di nascere
e prima di aver compiuto la sua missione
in questo mondo
che il Padre nostro benevolmente
ci ha donato. Amen.
( Beata Teresa Di Calcutta)

L’angolo della preghiera

Preghiera:
Dio, Signore mio, non ho idea di dove vada.
Non vedo la strada davanti a me,
non posso sapere con certezza dove porterà.
Né mi conosco realmente.
Il fatto di pensare che sto compiendo la tua volontà non significa che in realtà la stia facendo.
Credo che il desiderio di compiacerti ti sia gradito e spero di avere questo desiderio in tutto ciò che faccio, di non fare nulla senza questo desiderio.
Pertanto, confiderò sempre in te,
anche se mi sembrerà di essere perduto
e in punto di morte.
Non avrò paura, perchè sarai sempre con me e non lascerai mai che io affronti da solo i miei pericoli.
(T. Merton)

 

2 minuti di preghiera

Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli!
accarezza il malato e l’anziano!
Spingi gli uomini a deporre le armi
e a stringersi in un
universale abbraccio di pace!
Invita i popoli, misericordioso Gesù,
ad abbattere i muri creati
dalla miseria e dalla disoccupazione,
dall’ignoranza e dall’indifferenza,
dalla discriminazione e dall’intolleranza.
Sei Tu, Divino Bambino di Betlemme,
che ci salvi liberandoci dal peccato.
Sei Tu il vero e unico Salvatore,
che l’umanità spesso cerca a tentoni.
Dio della Pace, dono di pace all’intera umanità,
vieni a vivere nel cuore di ogni uomo
e di ogni famiglia.
Sii Tu la nostra pace e la nostra gioia! Amen.

(Preghiera di Giovanni Paolo II)